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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La domanda, la risposta, di Leonardo Colombi 01/08/2007
 

                 La domanda, la risposta

                  di Leonardo Colombi

 

 

“Allora?”

Un altro pugno, violento, all'addome.

Mi piego in avanti per il dolore: annaspo e non trovo respiro. Le mani ancora saldamente legate dietro alla sedia su cui mi trovo ormai da più di mezz'ora. I legacci quasi mi segano i polsi tanto sono stretti.

Una mano brutalmente mi afferra i capelli e mi raddrizza. La cortesia non è di casa qui.

Il dolore è acuto per via dei tagli e delle piccole bruciature sul petto, la smorfia sul mio volto lo rende ancor più evidente.

Quando li riapro, i suoi occhi assassini sono fissi nei miei.

“Ti decidi a parlare? Quanto vuoi farci aspettare ancora?”

Ho paura.

Tremo mentre le lacrime scivolano sulle mie guance.

Accanto a me - il corpo ancora scosso da tremiti - il cadavere di un mio compagno. Si muove ancora di tanto in tanto, rapide convulsioni di un corpo senza vita e sangue, sangue che sgorga dalla profonda ferita sul collo colandogli addosso fino alla pozza di sangue che sta sul pavimento. Ha gli occhi sbarrati ed il capo rivolto verso l'alto. Ancora stringe il bavaglio che gli hanno messo in bocca prima di sgozzarlo: non ha potuto nemmeno urlare mentre lo ammazzavano.

Lui non ha parlato.

Non conosceva la risposta.

La stessa, che ora pretendono da me.

Eravamo in tre, quando ci hanno fatto entrare qui dentro, la stanza degli orrori e delle torture. Non ci conoscevamo nemmeno.

Ma capimmo subito che qui i diritti umani e le leggi non esistono: vige solo la violenza, la crudeltà. Ogni mezzo è legittimo purché loro abbiano ciò che vogliono. La pietà non è concessa.

E ora, di tre, solo io rimango.

Il primo di noi l'hanno percosso ripetutamente, deriso, e poi freddato con un colpo di pistola alla nuca dopo avergli prima rotto entrambe le braccia.

Per la stessa domanda, la stessa risposta che dalla sua bocca per tre volte non è giunta.

Nuovamente uno degli aguzzini si avvicina con un ferro arroventato.

Urlo terrorizzato: “Non lo so…vi prego…lasciatemi andare….vi prego…”

Riuscirò a sopravvivere?

E poi le mie urla strazianti mentre bruciano la mia carne.

“Parla! E ti lasceremo andare: hai la nostra parola”

Ansimo e cerco di calmarmi. Il dolore insopportabile, come l'odore di carne bruciata che si diffonde nell'aria e mi si appiccica alle narici. Il puzzo della mia condanna. 

Non lo so se posso credergli…non so più nulla…non doveva andare così, non doveva essere così!!

Piango in preda alla disperazione…

“Non lo so…” è l'unica cosa che mi riesce di dire tra un singhiozzo e l'altro…

“Su, su, non fare così…sei un uomo…lo sappiamo che conosci la risposta. E poi…non vorrai mica fare la fine degli altri due? Stupidi ignoranti, esseri inutili…”

Poi, avvicinando il suo volto al mio, sussurrandomi ad un orecchio:

“Dopotutto…non ti stiamo chiedendo chissachè! Avanti, rispondi alla nostra domanda. Tu non li puoi vedere ma, dietro quel vetro alle mie spalle, i nostri padroni ci stanno guardando : non vorrai mica deluderli? Sai…loro sono convinti che tu conosca la risposta…e di certo sapranno ricompensarti se tu…”

La mia mente in subbuglio, il mio animo turbato…conosco la risposta? Cazzo cazzo cazzo….avanti…cerca nella memoria…un brandello, qualche cosa, qualsiasi….sforzati dannazione!!! La conosco la risposta???

“Su, dicci quello che vogliamo e ti lasceremo andare…sarà stato solo una brutta esperienza, un brutto incubo, nulla di più.

Lo osservo con un misto di odio e di paura.

Un incubo? Maledetto figlio di puttana, mi hai torturato! Mi hai torturato, cazzo! E hai perfino ucciso questi altri due!!!

“Su, avanti, il tempo stringe…è la tua ultima possibilità”

Allora si fanno avanti gli altri due suoi colleghi: sono vestiti in modo impeccabile, proprio come lui. Entrambi in smoking, entrambi con un fucile in mano.

Milioni di pensieri si affollano nella mia mente…non so più nulla…non me lo ricordo…forse, non l'ho mai saputo….

“Allora? Ancora non vuoi rispondere? Facciamo così”, dice scambiando un'occhiata di intesa con gli altri due “ora contiamo fino a 5: se ci darai la risposta sarai libero…altrimenti…beh…lo sai anche tu cosa ti aspetta”.

Maledetto!

1”

I due uomini caricano il fucile sincronizzati nella volontà di uccidere. Un'occhiata furtiva allo specchio alle sue spalle. 

2”

Il suo braccio si abbassa fino al petto. I proiettili sono nella canna, ben posizionati prima di esplodere addosso alle mie carni. Due biglietti per l'altro mondo.

Dannazione!

3”

Pensa! Pensa! Cazzo, pensa!

4”

I due uomini si avvicinano: uno mi preme il fucile sulla tempia, l'altro sulle palle. Sorridono sadici.

Dio! Dio! Dio…

“E cinq…”

“Aspetta!”, il mio grido all'improvviso, la mia voce disperata e squillante.

Sono vivo, sono ancora vivo!!

“Conosco la risposta…”

“Dimmela allora”

Mi si avvicina curioso e terribile al contempo. E' freddo, troppo freddo, spietato come la morte.

“Ma è il tuo ultimo tentativo, non te lo chiederò un'altra volta. Con te sono stato anche fin troppo paziente…Dopotutto, gli altri due sono morti troppo presto e non ho nemmeno potuto divertirmi. E nemmeno i nostri padroni lì dietro, credo, abbiano apprezzato il triste spettacolo che hanno offerto loro… ”

Maledetta carogna!

“E ora, rispondi alla mia domanda”

“Si tratta di Mossadeq, nel 1953”

“Non basta, devi dirmi anche dove: credevo di essere stato chiaro poco fa…”

“In Iran…”, aggiungo velocemente.

Sorride: i suoi occhi brillano per la soddisfazione.

Io ansimo. 

Osserva gli altri due e ad un suo cenno questi abbassano i fucili.

Ho risposto giusto?

E' questo quello che volevano sapere?

E' giusto?

L'uomo parla ad una ricetrasmittente militare abbandonata sul tavolo, un piccolo tavolo traballante in questa stanza soffocante e spoglia. Parla piano e non comprendo.

Ti prego, ti prego, ti prego…

La mia testa ciondola per l'agitazione mentre riprendo a balbettare…non so più nulla…non so più nulla…voglio andarmene…lasciatemi stare, vi prego…

Poi, mi si avvicina soddisfatto.

“Perfetto, la tua risposta soddisfa i nostri padroni. E' corretta, è ciò che volevamo sentirti dire”.

Poi, estrae un grosso coltello che fino a quel momento teneva legato alla cintura.

Sorride e mi si avvicina.

Noo” protesto “ho risposto giusto, ho risposto giusto! Ve l'ho detto…ve l'ho detto…”

Mi agito e scalcio. Immediato e brutale un pugno al volto da parte di uno dei suoi colleghi di torture. Cado a terra, stordito, ancora legato alla sedia.

A stento, con l'occhio semichiuso lo seguo mentre si sposta…ora mi è alle spalle…piango…si inginocchia…no, ti prego…sento la sua mano sulla spalla….non voglio morire…non voglio morire!!

Con il coltello recide la corda che mi teneva bloccate le braccia allo schienale della sedia. Con cura sega i lacci che mi stringevano le mani.

Riapro gli occhi : sono vivo!

“Alzati!”, mi ordina deciso.

Obbedisco.

Ed è allora che la stanza sembra muoversi, le parete si spostano e si sollevano. Anche il vetro che copriva l'intera parete di fronte a me viene tirato da parte e scompare lasciando spazio alla verità.

La realtà diventa più che evidente mentre scolorano le mie certezze.

Telecamere e luci di scena: dal buio un applauso scrosciante e urla e fischi.

Il pubblico mi accoglie mentre il presentatore entra in scena.

Due vallette seminude mi si fanno incontro, mi baciano, si strusciano e mi offrono una busta.

Non comprendo molto bene, tanta è la confusione che alberga nella mia mente devastata da ciò che ho vissuto.

E ora, la realtà supera l'immaginazione.

Era solo un quiz, uno stupido, maledettissimo, quiz televisivo…

 

 

 

 

 

 

 

Nota:

 

La domanda : “Quand'è stato il primo colpo di Stato appoggiato dalla CIA in un Paese del Medio Oriente?”

 

La risposta : “Nel 1953, il 19 agosto, la CIA organizza tumulti popolare in Iran che portano alla perdita del potere da parte di Mossadeq (per un governo laico e riformista) a favore del generale Zahedi, ben accetto dagli americani e più incline a permettere lo sfruttamento del petrolio locale da parte degli statunitensi.

Sembra che nasca da qui l'avversione antiamericana da parte del popolo iraniano e musulmano verso gli USA, quella stessa avversione che ha portato alla diffusione e alla presa di potere del fondamentalismo di Khomeini prima e del “terrorismo” di questi anni poi.

Lo stesso presidente Bill Clinton, nel 2000, ha ammesso la responsabilità degli Stati Uniti nel golpe del 1953 che aprì la porta in Iran al fondamentalismo dei mullah e poi alla piaga del terrorismo islamico.

 
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