La
finestra
di
Grazia Giordani
Splendeva
nel buio come un rettangolo di luce, nelle notti illuminate dalla
luna; rettangolo mutevole, a seconda delle ore e delle stagioni,
pronto a velarsi di nebbie o a colorarsi di albe e tramonti. Questa
era la finestra di camera mia. Una finestra ampia, con scuri a
quattro ante e un tendaggio lieve, quasi sempre tirato verso la
parete, per lasciare libero lo sguardo di spaziare lontano.
Spesso
alzavo gli occhi dal libro - quello che stavo leggendo, per scriverne
una recensione -, e riposavo lo sguardo annebbiato, fattosi torbido
per la lunga sosta sulla pagina, distraendomi alla vista mutevole che
mi offriva l'apertura della finestra.
Cominciavo
persino, con una sconosciuta tendenza al voyeurismo, a curarmi della
vita dei vicini, per qualche rapido flash.
C'era
un bimbo piagnucoloso, che vedevo di spalle, proprio nella casa di
fronte, restio a fare i compiti, quasi disperato all'idea di mettere
la testa sui libri.
Ogni
giorno la stessa storia.
Al
piano terreno della stessa casa vedevo due vecchietti, marito e
moglie, seduti a tavola in silenzio, con gli occhi volti verso un
lato della stanza, certamente seguivano un programma in TV.
Al
piano superiore di un isolato più avanti, potevo solo intravedere e
più che altro immaginare. Qui c'era una vasta terrazza sui tetti,
sembrava piena di piante; avevo l'illusione di vedere un annaffiatoio
irrorarle d'acqua al cadere del sole.
Peccato
non poter gustare i particolari nelle minime sfumature. Mi sembrava
che lassù si avvicendassero personaggi sempre diversi; non c'era la
ripetitività di sagome e gesti dei miei dirimpettai - i vecchi e il
bambino - di cui quasi udivo le voci, vedevo nitidamente il gestire,
la copertina dei libri di scuola del ragazzino, il colore della
tovaglia degli anziani sposi.
Lassù
tutto era più misterioso, meno evidente, più opinabile, un po' per
la distanza che mi separava dalla scena osservata e molto per la
volubilità dei personaggi, vestiti con abiti sempre diversi e con
mutevoli capigliature (parrucche? cappelli? Non avrei proprio saputo
dirlo).
L'unica
costante era rappresentata dagli orari, prevalentemente tardo
pomeridiani. Non li avevo mai visti il mattino; raramente, a tarda
notte, sembravano imbandire un lungo tavolo, ma non distinguevo né
suppellettili né vivande.
Cenavano
così tardi?
Giocavano
a carte?
Nulla
era chiaro.
Tutto
avrebbe potuto essere.
L'estate
cominciava a prendere i colori dell'autunno e già pensavo che gli
estrosi abitanti del terrazzo presto si sarebbero celati alla mia
vista. I primi freddi avrebbero certamente modificato le loro
abitudini, inducendoli a vivere, nel chiuso delle stanze, la loro
insolita esistenza.
Avrei
dovuto adocchiare qualche altro spazio antistante, ben sapendo che i
mesi freddi mi avrebbero offerto più avare occasioni di intrusioni
visive nella vita altrui, svago a cui mi andavo morbosamente
abituando, nella solitudine della mia vita di solitaria zitella,
isolata, senza amicizie.
Quella
sera non avevo voglia di leggere.
Pensai:
Accendo la TV.
Spettacolo
noioso.
Sonnolenza
in arrivo.
Alzai
gli occhi, senza speranza, in direzione del terrazzo.
Un
gestire concitato colpì immediatamente la mia vista.
Braccia
alzate.
Movenze
scomposte.
Un
revolver mi parve brillare, per un attimo in distanza, nelle mani di
un uomo (o donna?).
Una
sagoma cadde a terra.
Un
correre scomposto sul piano del terrazzo.
Sempre
più confusione.
Immagini
sfocate di un grande disordine.
Il
vicinato restava tranquillo.
Ai
piani inferiori della casa nessun segno di allarme.
Che
io abbia le traveggole - mi dissi?
Troppi
film gialli?
Pensai
di chiamare la polizia.
Mi
trattenne la paura di passare per una zitella visionaria.
Quella
notte mi rivoltai nel letto, cambiando opinione ogni minuto.
L'indomani
non seppi trattenermi e, con la scusa di fare acquisti nel negozietto
di porcellane sotto casa (a dire il vero non sapevo proprio cosa
comperare, vista la scarsità dei miei desideri), finsi di aver
bisogno di un servizio di tazze per il caffè, scegliendole con cura
meticolosa per attaccar discorso con la commessa, preparando il
terreno alla mia "indagine" sull'accaduto della notte.
Non
sapevo da che parte cominciare.
Partii
alla larga.
Alla
fine mi decisi a raccontare l'accaduto.
"Ah,
i ragazzi del terrazzo - mi rispose, sorridendo la commessa - hanno
messo su una compagnia di prosa, sono bravissimi. Vada a vederli a
teatro. Domani ci sarò anch'io fra gli spettatori. Mettono in scena
un giallo".
Andai
anch'io a teatro la sera dopo, mescolandomi a un pubblico vivace.
Lo
spettacolo "rubato" dalla finestra ai miei occhi aveva
perso tutto il suo interesse.