Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Poesie  Narrativa  Poesie in vernacolo  Narrativa in vernacolo  I maestri della poesia  Poesie di Natale  Racconti di Natale 

  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'intruso, di Annamaria Trevale 09/11/2007
 

                                                                                                                               

                                      L'intruso

                            di Annamaria Trevale

 

Il bambino non piangeva più. Esausta, Sara si appoggiò all'indietro contro lo schienale della poltroncina a fiori cullandolo ancora in modo quasi impercettibile, quindi rimase per qualche minuto pressoché immobile, respirando lentamente e a fondo per rilassarsi.

La casa ora era immersa nel silenzio. Avvertiva soltanto, a tratti, echi di una musica proveniente da chissà dove, e poi nient'altro che la sensazione piacevole di tepore che sapeva comunicarle quel fagottino adagiato contro di lei, ed il respiro regolare del bambino ormai immerso nel sonno: dormiva, finalmente, e su questo non c'erano dubbi.

Muovendosi con estrema circospezione per non svegliarlo, Sara si alzò in piedi e depose suo figlio nel lettino a pochi passi da lei, gli rimboccò le coperte e finalmente fu libera di lasciare la stanza da letto per trasferirsi in soggiorno.

Quasi tutti l'avevano giudicata una pazza quando aveva deciso di mettere al mondo quel bambino nonostante che il padre, suo compagno da molto tempo, l'avesse lasciata sola non appena informato dell'incipiente gravidanza, ma Sara non si era curata delle opinioni contrastanti: aveva trentatré anni, un lavoro che le garantiva l'indipendenza economica, e viveva in un appartamento lasciatole in eredità dal padre scomparso qualche anno prima, perciò poteva permettersi di non temere il futuro.

Certo, aveva anche amato Marco, il padre del suo bambino, e progettato di formare una famiglia con lui, tanto che vederlo fuggire in quel modo aveva costituito una delusione davvero cocente, tuttavia gli anni passavano e Sara temeva di non avere più davanti a sé molto tempo a disposizione per avere dei figli. E se non avesse incontrato un altro uomo?

L'orologio biologico correva, ed era per questo che Sara aveva scartato a priori la possibilità di abortire.

Sua madre, risposatasi con un amico di gioventù col quale aveva scelto di condividere serenamente la terza età, non aveva ostacolato la sua decisione:

“Stai per assumerti una responsabilità enorme, mia cara, perché ti sarà doppiamente difficile crescere un bambino senza padre. Un giorno tuo figlio potrebbe anche rimproverarti per questo…Però Giovanni ed io saremo felici di aiutarti in tutti i modi, e quando dovrai riprendere il lavoro naturalmente ce n'occuperemo noi, almeno finché non ti sarà possibile mandarlo al nido, e poi all'asilo.

Così, in una fresca e luminosa giornata d'aprile, era nato Valerio, e la vita di Sara era cambiata completamente: ritmi, orari, abitudini. Pensieri, preoccupazioni teoriche e pratiche riguardo a pannolini e biberon, pappe ed omogeneizzati, e poi una serie d'altre cose di cui, fino a quel momento, Sara aveva ignorato l'esistenza, ma che ora le sembravano tutte assolutamente fondamentali.

Tra poche settimane, terminato anche il periodo di congedo per maternità facoltativo, Sara avrebbe ripreso definitivamente il suo lavoro in ufficio, e già si chiedeva che effetto le avrebbe fatto ritrovarsi dopo tanto tempo dietro la sua scrivania, in un mondo che al momento le appariva del tutto estraneo, ma al quale, bene o male, avrebbe dovuto riabituarsi: dopotutto, in precedenza aveva goduto di una certa fama da “donna in carriera”, no?

Valerio, con i nonni, sarebbe stato benissimo.

Il telefono ruppe il silenzio e Sara, strappata ai suoi pensieri, andò a rispondere di malavoglia.

“Pronto!”

“Sara? Ciao, sono Marco.”

Sara ebbe la sensazione che il respiro le mancasse di colpo.  Dovette aspettare un attimo prima di rispondere, e lo fece bruscamente per evitare che la voce s'incrinasse, tradendo la sua sorpresa:

“Che cosa vuoi?”

“Io…vorrei parlarti.”

“Non abbiamo niente da dirci.”

“Non è vero! Io ho bisogno di dirti alcune cose, Sara.

“Non mi riguardano più.”

“Non puoi trattarmi così!”

“Perché, tu come mi hai trattata?”

“Lo so, sono stato un essere spregevole, ma ti sto chiamando proprio per questo. Sono qui, sotto casa tua, e vorrei vederti, parlarti e sapere del bambino.

Non ce la faccio più ad andare avanti senza avere notizie di te, di voi. E vorrei vedere mio figlio. Insomma, possiamo parlarne?”

Stranamente, la voce di Marco aveva un tono disperato, mentre lei, passato il terribile attimo di smarrimento iniziale, si sentiva già più fredda e controllata: ma doveva prendere tempo, perché c'era qualcosa che non le andava in quella situazione.

“Hai detto che sei qui sotto casa mia?”

“Certo, ti sto chiamando dal cellulare.”

“Va bene, scendo giù.”

“Non posso salire?”

“No! Scendo io.”

Sara passò rapidamente in camera da letto: Valerio dormiva, immerso in un sonno profondo, alla tenue luce della piccola lampada schermata. Non si sarebbe accorto di nulla, sperando che non si svegliasse proprio nei successivi dieci minuti…pregando mentalmente perché ciò non accadesse, Sara spense tutte le luci, in modo che le finestre verso strada fossero buie, indice di una casa vuota, e uscì.

Marco era in piedi accanto al portone, visibilmente nervosissimo, mentre la sua auto blu spiccava parcheggiata di traverso sul passo carraio.

“Come stai?”

“Bene.”

“Dimmi del bambino, ti prego.”

Sarà lo squadrò da capo a piedi. Era l'uomo che aveva amato, ed era il padre di Valerio, che dormiva ignaro tre piani più in alto, ma se n'era andato un anno prima per paura di diventarlo, lasciandola sola ad affrontare la maternità.

Tutti quei mesi erano stati solo suoi…Anche il futuro avrebbe potuto essere solo suo, perché no?

“Non c'è nessun bambino” rispose con calma.

Marco ebbe una reazione inattesa: le afferrò con le mani gli avambracci e la scosse con violenza, sconcertato e rabbioso.

“Cosa? Non è possibile!”

“Perché ti meravigli tanto? Ho fatto quello che mi consigliavano tutti quanti dopo la tua fuga vergognosa: ho abortito. Pensavi fossi così sciocca da tenermi un figlio rifiutato dal padre?”

Incapace di trovare una risposta, Marco la lasciò andare. Intuendo che stava risultando convincente, Sara continuò: “Ora capisci che non abbiamo veramente più nulla da dirci?

Vattene, e lasciami in pace. Non voglio rivederti mai più da queste parti, intesi?” e con un movimento rapido gli voltò le spalle, fece girare la chiave nella serratura del portone e scomparve dentro il palazzo, lasciando Marco ancora immobile, come pietrificato sul marciapiede deserto.

L'appartamento al terzo piano era sempre immerso nel silenzio, ma Sara si accorse di tremare mentre si chinava sul lettino a contemplare Valerio placidamente addormentato, pensando tuttavia con sollievo che lui non avrebbe mai saputo nulla di quanto era appena accaduto.

Poi, quando iniziò a sentirsi sufficientemente calma, andò ad aprire la finestra del soggiorno e lanciò una rapida occhiata alla strada, dove non c'era più traccia né di Marco né della sua auto: ora era tempo di andarsene finalmente a dormire accanto al suo bambino.

 

 

 

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014060083 »