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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La tovaglia di zia Marta (Prima parte), di Sabrina Campolongo 25/04/2008
 

La tovaglia di zia Marta

di Sabrina Campolongo      

 

Prima parte 

 

Claudia è sdraiata sul suo letto e guarda il soffitto. Un tempo, avrà avuto otto o nove anni - età di catechismo e prima comunione - si era convinta di vedere il volto di Cristo, tra i chiaroscuri dell'intonaco.

Lo vedeva soltanto nel chiarore fioco della lucina da notte, il suo Micky Mouse di plastica. Scompariva quando accendeva la plafoniera sul soffitto e di giorno, con le imposte aperte. Però di notte era lì, il volto tormentato e bello. Lo ritrovava senza difficoltà ogni volta, era l'ultima cosa che guardava, prima di lasciarsi andare al sonno.

Anche dopo che si era voltata sul fianco, nel buio dietro le palpebre abbassate riusciva ancora a sentirli, quegli occhi tristi e dolci che vegliavano su di lei. E si addormentava serena.

Da quanto tempo non dorme più così?

Quella notte non ha chiuso occhio. Non è più abituata alla presenza della sorella nel letto accanto, ma non è soltanto per questo, lo sa bene.

Ora si alza a sedere.

La luce che filtra tra le persiane è azzurrina, perlata. Il sole sta per sorgere.

Guarda verso l'altro lato della stanza.

Federica dorme girata su un fianco, verso di lei. La testa appoggiata su un braccio, il braccio steso, la mano arresa nel vuoto.

Come se avesse ceduto al sonno guardandola.

Claudia l'ha sentita agitarsi a lungo, mentre fingeva di dormire. L'ha sentita sospirare, ma non ha aperto gli occhi.

Sicuramente l'ha delusa.

Non è così che Federica dev'essersi immaginata quell'ultima sera tra loro, l'ultima prima del suo matrimonio.

Non era andata a quel modo, la notte prima che si trasferisse, che andasse a vivere con Stefano.

Quella volta erano rimaste in salotto fino a tardi, sprofondate sul divano a sgranocchiare noccioline pralinate e biscotti danesi al burro, davanti a una selezione dei loro film preferiti, noleggiati per l'occasione. E avevano tirato ancora più tardi, sdraiate ognuna sul proprio letto, al buio, chiacchierando.

Invece, la sera prima Claudia ha abbandonato la cucina subito dopo cena, con la scusa di una versione di greco da preparare, ignorando lo sguardo sconcertato di Federica, e il – ma come? – di sua madre. Suo padre invece le ha rivolto un sorriso complice, prima di permettere alle due donne di  tirarlo nuovamente dentro il gorgo degli ultimi arrangiamenti per il giorno dopo.

E Claudia li ha lasciati in fretta, attorno al tavolo a discutere di equipaggi delle varie auto, e di chi doveva ricordarsi di prendere i fiori sull'altare per portarli al ristorante e di chi avrebbe portato le bomboniere e di chissà quali altri accordi fondamentali, fino a tardi.

Quando Federica si è  ritirata in camera, Claudia  già le mostrava la schiena. Ha risposto con un mormorio indistinto al ‘buonanotte' mezzo seccato mezzo deluso della sorella.

Ora si alza. Attraversa la stanza a piedi nudi. Si accovaccia sul parquet, davanti al viso di Federica.

Sarebbe tentata di prenderle la mano e rimetterla a riposare sul materasso, ma ci ripensa. Non vuole svegliarla.

La guarda dormire. Scruta il suo volto rilassato. La fronte spaziosa, il naso sottile, quegli zigomi alti che danno al suo viso una solida, elegante bellezza. Che danno un senso a ciò che invece in Claudia sembra impreciso, abbozzato.

Le labbra piene, rotonde, quasi imbronciate, nel sonno. Chissà se lui  è nei suoi sogni, ora. Chissà come lei lo sogna.

Claudia cerca le tracce che Stefano deve avere lasciato sul viso, sul corpo di Federica. Non i segni della passione. Quello che sta cercando è l'impronta lasciata su di lei dalla quotidianità di quell'amore. Come la forma dell'acqua sulle rocce sotto a una cascata.  Una ruga in più, per un sorriso che prima non conosceva, il punto sulla sua spalla su cui la mano di Stefano si posa, l'ombra dei suoi baci sulle guance, sul collo.

Si fa più vicina.

Annusa i suoi capelli, ma sente soltanto uno spettro di shampoo e il profumo che ricorda.

Guarda le sue mani. Da piccola erano sempre sbucciate, scorticate da quella sua passione di arrampicarsi sugli alberi. Nel giardino della scuola, al parco, nei boschi attorno alla loro casa in montagna.

Ora invece sono belle, curate, fresche di manicure. Nude. Gli anelli riposano sul comodino. E oggi non li porterà.

Claudia invece si mangia ancora le unghie. E ha avuto sempre troppa paura per seguire Federica nelle sue arrampicate.

Un botto nel corridoio. La porta scorrevole del salotto aperta troppo rudemente.

Federica sobbalza. Apre gli occhi e per un secondo incontra i suoi a un palmo dal suo viso.

Poi Claudia si butta all'indietro, si sottrae a quello sguardo. Per un attimo si sente come se sua sorella l'avesse scoperta a masturbarsi.

Non sa cosa dire.

– Cosa è stato? – chiede invece Federica, strascicando le parole.

Ma-mamma, credo. – balbetta Claudia.

Infatti ecco il rumore delle sue ciabatte nel corridoio. E poi la sua voce, di un ottava più alta del normale.

– Fede, amore, l'estetista è già arrivata!

Federica affonda la faccia nel cuscino.

– Mi sembra di essermi addormentata mezz'ora fa– mugola.

– Grazie per la solidarietà – dice poi, alzando la testa. L'accusa è rivolta a Claudia, però non sembra veramente arrabbiata. Sta sorridendo.

Si libera delle lenzuola e mette i piedi giù dal letto.

– Volevi dirmi qualcosa? – chiede poi, allungando le braccia lunghe e sottili, il bel corpo forte e elastico verso il soffitto.

– Volevo…avvisarti che la mamma era in arrivo – mente.

– E bella carica! – conclude Federica, con una risata.

Intanto, colei di cui parlano lancia un altro strillo.

– Fede amore hai sentito? L'estetista è già

– Sposa in arrivo – grida Federica, di rimando. – Ma non merito almeno un caffè, chessò?

Poi è andata.

 

Sei mesi prima, più o meno. Pioggia gelata che scivola lungo i vetri.

Il suono del telefono. Il cordless è posato sulla scrivania, accanto alla mano di Claudia.

Risponde meccanicamente. Immagina che sia ancora Sonia, la sua compagna di scuola, con cui ha appena messo giù.

– Dimmi.

– Alla buon'ora. Ma con chi eri al telefono?

La voce è quella di Federica.

– Sonia. Ci interrogano assieme domani.

– In?

– Filosofia.

– Sei un mezzo genio in filosofia! Di che ti preoccupi?

– Non lo so, mi sembra che mi sia andato tutto insieme. Ti serviva qualcosa? Mamma è fuori.

– O merda! Dove è andata?

– Dal parrucchiere. Roba lunga.

Merda.– ripete, tra i denti. – Senti, Cla, me lo faresti un favore? Non dovrebbe portarti via troppo ai tuoi libri

– Spara: cos'altro ti serve?

Federica è andata a vivere con Stefano da più tre mesi e ancora non passa settimana in cui non chiami o non si faccia vedere per recuperare qualcosa di suo rimasto in solaio, o in cantina, o ancora nell'armadio della camera da letto che ora è soltanto di Claudia.

– Stasera viene a cena la zia Marta, te l'avevo detto no?

– Auguri

– No comment, please. Ti ricordi di quell'orrenderrima tovaglia ricamata che mi ha regalato l'anno scorso?

– E come dimenticarla. Non vorrai mica che te la trovi! Sarà infognata in solaio, sotto chissà quale montagna di roba!

– Ti prego, ti prego! Se non se la trova sul tavolo stasera, quella si offende e inizierà a tormentarmi. Come minimo racconta a Stefano di quando mi mangiavo di nascosto i biscottini del cane.

– E lui si farà due risate. Del resto che vuoi che faccia? Mica si metterà a sculacciarti.

– Troverà da ridire su ogni cosa che le metterò nel piatto, farà di tutto per farmi innervosire e rendermi ridicola. Cla, ti prego.

– Che palle.

– Ti voglio bene. Ti mando Stefano a prenderla, appena esce dal lavoro.

E così Claudia si è ritrovata in solaio, tra le sdraio  sfondate a cui, svariati anni prima, sua madre aveva deciso di rifare la tela, e le tute da sci di taglie e modelli che nessuno avrebbe più potuto indossare, e i pattini a rotelle, e i travestimenti per carnevale di quando erano bambine. Dedita alla sconfortante ricerca – impossibile senza la presenza della mamma trovare qualcosa là dentro – di una inguardabile tovaglia ricamata.

E dopo più di un'ora è ancora là, con una vecchia edizione di Piccole Donne illustrata in mano – quanto tempo aveva passato guardando le figure delle sorelle March, a chiedersi a chi assomigliava, da piccola? Federica era Jo, su questo non c'erano dubbi. E lei? La saggia Meg? La fragile Beth? – quando sente il suono del citofono.

Non può essere già Stefano. E invece, mentre scende le scale, vede dal lucernario la sua auto parcheggiata davanti al cancello. Eccolo, infatti, Stefano, davanti alla porta, con il suo completo grigio scuro “da ufficio” sotto al cappotto slacciato. Con i capelli biondo chiaro da surfista pettinati ordinatamente all'indietro e ‘domati' dal gel, con il suo sorriso da telefilm americano.

– Scusa, probabilmente mi aspettavi più tardi, ma mi è saltato un appuntamento. Magari ti una mano a cercare. Fede mi ha detto che avevi da studiare.

Ed eccoli, assieme nella soffitta, con la sola luce fioca di una lampadina spenzolante dal soffitto ad aiutarli nella ricerca. Seduti per terra. Stefano è in maniche di camicie. La cravatta e la giacca giacciono in un angolo, sopra una pila di libri.

– E se andassimo a comprarla, una cazzo di tovaglia ricamata? – sbotta, ridendo.

– Se ne accorgerebbe.

– Ma è davvero così terribile, questa zia Marta?

– Hai presente “zia March” di Piccole Donne? – risponde Claudia, che proprio pochi istanti prima, con il libro in mano, si è ricordata di come lei e la sorella avessero notato quella incredibile somiglianza, da bambine. – Ma magari tu non l'hai letto.

– Sì che l'ho letto. Non dirmi che sbatte il bastone per terra, per obbligarti a prestarle attenzione.

Claudia ride.

– Non ha un bastone, ancora. Ma se ce l'avesse stai sicuro.

– Meno male. I vicini di sotto già non ci sopportano. Certo che ne avete di attrezzatura sportiva. Sembra il retro di un negozio.

– Tutta roba di Fede. È lei la sportiva di casa.

– Già.

Stefano sorride. I due si sono conosciuti su una pista da sci.

– Siete molto diverse voi due. – dice poi.

Claudia, senza farlo apposta, abbassa lo sguardo.

– Salta all'occhio, sì. – risponde, meccanicamente.

Diverse sì. Una diversità che suona come: Federica alta, Federica bella, atletica, Federica allegra, solare, Federica intelligente e pratica. Claudia minuta, Claudia corpo da bambina e occhi troppo grandi per la faccia, Claudia imbranata, Claudia sempre con il naso sprofondato nei libri, Claudia troppo emotiva, Claudia a cui sembra sempre mancare la terra sotto i piedi.

– Anche io e mio fratello non ci assomigliavamo granché. – dice Stefano.

Claudia si riscuote. Abbozza un sorriso, si sente in imbarazzo. Stefano deve essersi accorto che ci è rimasta male. Che stupida, perché non riesce a tenersi ciò che prova sotto la pelle? Stupida e distratta. Nemmeno si ricordava che Stefano avesse un fratello. Glielo dice, tanto per spostare la conversazione su qualcosa che non sia il confronto tra lei e Federica.

– Non ricordavo che tu avessi un fratello.

– Non ce l'ho più. Gioele è morto in un incidente di montagna, tre anni fa.

Claudia non sa cosa dire. Si sente avvampare.

– Mi dispiace – mormora.

Stefano le sorride.

– Scusami. Non so perché l'ho detto. Sarà questa atmosfera da soffitta a innescare i ricordi. Non volevo angosciarti però. Già stai buttando via il tuo tempo qui con me per una stupida

– No.

Claudia lo blocca. Poi però non sa come continuare. Come dirgli che lei è il genere di persona con cui si può parlare di cose tristi? Che lei non diventa nervosa, che non si incupisce, che non si imbarazza, che non sente il bisogno di scappare via, di fronte al dolore degli altri?

– Parlami di lui. Se ti va.

Glielo dice. Lo guarda e non aggiunge altro.

Anche Stefano la sta guardando.

Giò era malato per il rischio. Adorava mettere in gioco l'osso del collo, era drogato di adrenalina. E adorava la montagna. Era l'unica cosa che ci accomunava, nelle passioni. Così ci arrampicavamo assieme, a volte. Quella volta dovevo esserci anch'io. Eravamo arrivati al rifugio dopo una scalata pazzesca sotto a un temporale, il giorno prima. Dovevamo salire assieme all'alba, però nella notte sono stato male, mi è venuta la febbre. Però la giornata era splendida e lui ha deciso di andarci lo stesso, con un altro. Un ragazzo che avevamo conosciuto la sera prima al rifugio. Lui era fatto così.

Stefano abbassa la testa. Si passa la mano tra i capelli, liberandoli dalla loro immobilità forzata. Ciocche un po' rigide di gel ricadono scomposte sulla fronte.

– Il ragazzo era un dilettante, ho poi scoperto, e  la via che avevamo scelto era difficile. Non siamo mai riusciti a sapere esattamente come è andata. Sono stati investiti da una pioggia di sassi, probabilmente. Sono caduti entrambi e morti tutti e due.

Claudia non dice nulla. Pensa a Federica bambina che la saluta dalla cima di un albero, a se stessa che la guarda con le mani sudate. A quel gusto di cercare il rischio che alla sorella ancora non è passato del tutto. Si chiede se è per questo che Stefano si è innamorato di lei, se gli ricorda Giò.

Si chiede anche se lui si senta in colpa, per quell'incidente. Però non osa domandarglielo. Se Federica fosse caduta da un albero sul quale lei non aveva voluto seguirla, si sarebbe sentita in colpa? Non sa rispondere.

Vorrebbe dire qualcosa di saggio e partecipe insieme, ma le parole non arrivano.

– Sarà mica questa?

La voce di Stefano la sorprende. Il tono è completamente diverso da quello con cui le stava parlando prima.

Si volta a guardarlo. Ha un involto bianco in mano.

– Sì, è lei!

La tovaglia di zia Marta.

 

 

 
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