La
tovaglia di zia Marta
di
Sabrina Campolongo
Prima
parte
Claudia è sdraiata sul suo letto e
guarda il soffitto. Un tempo, avrà avuto otto o nove anni - età di catechismo e
prima comunione - si era convinta di vedere il volto di Cristo, tra i
chiaroscuri dell'intonaco.
Lo vedeva soltanto nel chiarore fioco
della lucina da notte, il suo Micky Mouse di
plastica. Scompariva quando accendeva la plafoniera sul soffitto e di giorno,
con le imposte aperte. Però di notte era lì, il volto tormentato e bello. Lo
ritrovava senza difficoltà ogni volta, era l'ultima cosa che guardava, prima di
lasciarsi andare al sonno.
Anche dopo che si era voltata sul
fianco, nel buio dietro le palpebre abbassate riusciva ancora a sentirli,
quegli occhi tristi e dolci che vegliavano su di lei. E si addormentava serena.
Da quanto tempo non dorme più così?
Quella notte non ha chiuso occhio.
Non è più abituata alla presenza della sorella nel letto accanto, ma non è
soltanto per questo, lo sa bene.
Ora si alza a sedere.
La luce che filtra tra le persiane è
azzurrina, perlata. Il sole sta per sorgere.
Guarda verso l'altro lato della
stanza.
Federica dorme girata su un fianco,
verso di lei. La testa appoggiata su un braccio, il braccio steso, la mano
arresa nel vuoto.
Come se avesse ceduto al sonno
guardandola.
Claudia l'ha sentita agitarsi a
lungo, mentre fingeva di dormire. L'ha sentita sospirare, ma non ha aperto gli
occhi.
Sicuramente l'ha delusa.
Non è così che Federica dev'essersi immaginata quell'ultima sera tra loro, l'ultima
prima del suo matrimonio.
Non era andata a quel modo, la notte
prima che si trasferisse, che andasse a vivere con Stefano.
Quella volta erano rimaste in salotto
fino a tardi, sprofondate sul divano a sgranocchiare noccioline pralinate e
biscotti danesi al burro, davanti a una selezione dei loro film preferiti,
noleggiati per l'occasione. E avevano tirato ancora più tardi,
sdraiate ognuna sul proprio letto, al buio, chiacchierando.
Invece, la sera prima Claudia ha
abbandonato la cucina subito dopo cena, con la scusa di una versione di greco
da preparare, ignorando lo sguardo sconcertato di Federica, e il – ma come? –
di sua madre. Suo padre invece le ha rivolto un sorriso complice, prima di
permettere alle due donne di
tirarlo nuovamente dentro il gorgo degli ultimi arrangiamenti per
il giorno dopo.
E Claudia li ha lasciati in fretta,
attorno al tavolo a discutere di equipaggi delle varie auto, e di chi doveva
ricordarsi di prendere i fiori sull'altare per portarli al ristorante e di chi
avrebbe portato le bomboniere e di chissà quali altri accordi fondamentali,
fino a tardi.
Quando Federica si è ritirata in camera,
Claudia già le mostrava la schiena. Ha
risposto con un mormorio indistinto al ‘buonanotte'
mezzo seccato mezzo deluso della sorella.
Ora si alza. Attraversa la stanza a
piedi nudi. Si accovaccia sul parquet, davanti al viso di Federica.
Sarebbe tentata di prenderle la mano
e rimetterla a riposare sul materasso, ma ci ripensa. Non vuole svegliarla.
La guarda dormire. Scruta il suo
volto rilassato. La fronte spaziosa, il naso sottile, quegli zigomi alti che
danno al suo viso una solida, elegante bellezza. Che danno un senso a ciò che
invece in Claudia sembra impreciso, abbozzato.
Le labbra piene, rotonde, quasi
imbronciate, nel sonno. Chissà se lui è nei suoi sogni, ora. Chissà come lei
lo sogna.
Claudia cerca le tracce che Stefano
deve avere lasciato sul viso, sul corpo di Federica. Non i segni della
passione. Quello che sta cercando è l'impronta lasciata su di lei dalla
quotidianità di quell'amore. Come la forma dell'acqua sulle rocce sotto a una
cascata. Una ruga in più, per un sorriso
che prima non conosceva, il punto sulla sua spalla su
cui la mano di Stefano si posa, l'ombra dei suoi baci sulle guance, sul collo.
Si fa più vicina.
Annusa i suoi capelli, ma sente
soltanto uno spettro di shampoo e il profumo che ricorda.
Guarda le sue mani. Da piccola erano
sempre sbucciate, scorticate da quella sua passione di arrampicarsi sugli
alberi. Nel giardino della scuola, al parco, nei boschi attorno alla loro casa
in montagna.
Ora invece sono belle, curate,
fresche di manicure. Nude. Gli anelli riposano sul comodino. E oggi non li
porterà.
Claudia invece si mangia ancora le
unghie. E ha avuto sempre troppa paura per seguire Federica nelle sue arrampicate.
Un botto nel corridoio. La porta
scorrevole del salotto aperta troppo rudemente.
Federica sobbalza. Apre gli occhi e
per un secondo incontra i suoi a un palmo dal suo viso.
Poi Claudia si butta all'indietro, si
sottrae a quello sguardo. Per un attimo si sente come se sua sorella l'avesse
scoperta a masturbarsi.
Non sa cosa dire.
– Cosa è stato? – chiede invece
Federica, strascicando le parole.
– Ma-mamma,
credo. – balbetta Claudia.
Infatti ecco il
rumore delle sue ciabatte nel corridoio. E poi la sua voce,
di un ottava più alta del normale.
– Fede, amore, l'estetista è già
arrivata!
Federica affonda la faccia nel
cuscino.
– Mi sembra di essermi addormentata
mezz'ora fa– mugola.
– Grazie per la solidarietà – dice
poi, alzando la testa. L'accusa è rivolta a Claudia, però non sembra veramente
arrabbiata. Sta sorridendo.
Si libera delle lenzuola e mette i
piedi giù dal letto.
– Volevi dirmi qualcosa? – chiede
poi, allungando le braccia lunghe e sottili, il bel corpo forte e elastico
verso il soffitto.
– Volevo…avvisarti che la mamma era
in arrivo – mente.
– E bella carica! – conclude
Federica, con una risata.
Intanto, colei di cui parlano lancia
un altro strillo.
– Fede amore hai sentito? L'estetista
è già
– Sposa in arrivo – grida Federica,
di rimando. – Ma non merito almeno un caffè, chessò?
Poi è andata.
Sei mesi prima, più o meno. Pioggia
gelata che scivola lungo i vetri.
Il suono del telefono. Il cordless è
posato sulla scrivania, accanto alla mano di Claudia.
Risponde meccanicamente. Immagina che
sia ancora Sonia, la sua compagna di scuola, con cui ha appena messo giù.
– Dimmi.
– Alla buon'ora. Ma con chi eri al
telefono?
La voce è quella di Federica.
– Sonia. Ci interrogano assieme
domani.
– In?
– Filosofia.
– Sei un mezzo genio in filosofia! Di
che ti preoccupi?
– Non lo so, mi sembra che mi sia
andato tutto insieme. Ti serviva qualcosa? Mamma è fuori.
– O merda! Dove è andata?
– Dal parrucchiere. Roba lunga.
– Merda.–
ripete, tra i denti. – Senti, Cla,
me lo faresti un favore? Non dovrebbe portarti via troppo ai tuoi libri
– Spara: cos'altro ti serve?
Federica è andata a vivere con
Stefano da più tre mesi e ancora non passa settimana in cui non chiami o non si
faccia vedere per recuperare qualcosa di suo rimasto in solaio, o in cantina, o
ancora nell'armadio della camera da letto che ora è soltanto di Claudia.
– Stasera viene a cena la zia Marta,
te l'avevo detto no?
– Auguri
– No comment,
please. Ti ricordi di quell'orrenderrima
tovaglia ricamata che mi ha regalato l'anno scorso?
– E come dimenticarla. Non vorrai
mica che te la trovi! Sarà infognata in solaio, sotto chissà quale montagna di
roba!
– Ti prego, ti prego! Se non se la
trova sul tavolo stasera, quella si offende e inizierà a tormentarmi. Come
minimo racconta a Stefano di quando mi mangiavo di nascosto i biscottini del
cane.
– E lui si farà due risate. Del resto
che vuoi che faccia? Mica si metterà a sculacciarti.
– Troverà da ridire su ogni cosa che
le metterò nel piatto, farà di tutto per farmi innervosire e rendermi ridicola.
Cla, ti prego.
– Che palle.
– Ti voglio bene. Ti mando Stefano a
prenderla, appena esce dal lavoro.
E così Claudia si è ritrovata in
solaio, tra le sdraio
sfondate a cui, svariati anni prima, sua madre aveva deciso di rifare la
tela, e le tute da sci di taglie e modelli che nessuno avrebbe più potuto
indossare, e i pattini a rotelle, e i travestimenti per carnevale di quando
erano bambine. Dedita alla sconfortante ricerca – impossibile senza la presenza
della mamma trovare qualcosa là dentro – di una inguardabile
tovaglia ricamata.
E dopo più di un'ora è ancora là, con
una vecchia edizione di Piccole Donne illustrata in mano – quanto tempo aveva passato guardando le figure delle sorelle March, a
chiedersi a chi assomigliava, da piccola? Federica era Jo, su questo non
c'erano dubbi. E lei? La saggia Meg? La fragile Beth?
– quando sente il suono del citofono.
Non può essere già Stefano. E invece,
mentre scende le scale, vede dal lucernario la sua auto parcheggiata davanti al
cancello. Eccolo, infatti, Stefano, davanti alla porta, con il suo completo
grigio scuro “da ufficio” sotto al cappotto slacciato. Con i capelli biondo
chiaro da surfista pettinati ordinatamente all'indietro e ‘domati' dal gel, con
il suo sorriso da telefilm americano.
– Scusa, probabilmente mi aspettavi
più tardi, ma mi è saltato un appuntamento. Magari ti dò una mano a cercare. Fede mi ha detto che avevi da
studiare.
Ed eccoli, assieme nella soffitta,
con la sola luce fioca di una lampadina spenzolante dal soffitto ad aiutarli
nella ricerca. Seduti per terra. Stefano è in maniche di camicie. La cravatta e
la giacca giacciono in un angolo, sopra una pila di libri.
– E se andassimo a comprarla,
una cazzo di tovaglia ricamata? – sbotta, ridendo.
– Se ne accorgerebbe.
– Ma è davvero così terribile, questa
zia Marta?
– Hai presente “zia March” di Piccole
Donne? – risponde Claudia, che proprio pochi istanti prima, con il libro in
mano, si è ricordata di come lei e la sorella avessero notato quella
incredibile somiglianza, da bambine. – Ma magari tu non l'hai letto.
– Sì che l'ho letto. Non dirmi che
sbatte il bastone per terra, per obbligarti a prestarle attenzione.
Claudia ride.
– Non ha un bastone, ancora. Ma se ce
l'avesse stai sicuro.
– Meno male. I vicini di sotto già
non ci sopportano. Certo che ne avete di attrezzatura sportiva. Sembra il retro
di un negozio.
– Tutta roba di Fede. È lei la
sportiva di casa.
– Già.
Stefano sorride. I due si sono
conosciuti su una pista da sci.
– Siete molto diverse voi due. – dice
poi.
Claudia, senza farlo apposta, abbassa
lo sguardo.
– Salta all'occhio, sì. – risponde,
meccanicamente.
Diverse sì. Una diversità che suona
come: Federica alta, Federica bella, atletica, Federica allegra, solare,
Federica intelligente e pratica. Claudia minuta, Claudia corpo da bambina e
occhi troppo grandi per la faccia, Claudia imbranata, Claudia sempre con il
naso sprofondato nei libri, Claudia troppo emotiva, Claudia a cui sembra sempre
mancare la terra sotto i piedi.
– Anche io e mio fratello non ci
assomigliavamo granché. – dice Stefano.
Claudia si riscuote. Abbozza un
sorriso, si sente in imbarazzo. Stefano deve essersi accorto che ci è rimasta
male. Che stupida, perché non riesce a tenersi ciò che prova sotto la pelle?
Stupida e distratta. Nemmeno si ricordava che Stefano avesse un fratello.
Glielo dice, tanto per spostare la conversazione su qualcosa che non sia il
confronto tra lei e Federica.
– Non ricordavo che tu avessi un
fratello.
– Non ce l'ho più. Gioele è morto in un incidente di montagna, tre anni fa.
Claudia non sa cosa dire. Si sente
avvampare.
– Mi dispiace – mormora.
Stefano le sorride.
– Scusami. Non so perché l'ho detto.
Sarà questa atmosfera da soffitta a innescare i ricordi. Non volevo angosciarti
però. Già stai buttando via il tuo tempo qui con me per una stupida
– No.
Claudia lo blocca. Poi però non sa
come continuare. Come dirgli che lei è il genere di persona con cui si può
parlare di cose tristi? Che lei non diventa nervosa, che non si incupisce, che
non si imbarazza, che non sente il bisogno di scappare via, di fronte al dolore
degli altri?
– Parlami di lui. Se ti va.
Glielo dice. Lo guarda e non aggiunge
altro.
Anche Stefano la sta guardando.
– Giò era
malato per il rischio. Adorava mettere in gioco l'osso del collo, era drogato
di adrenalina. E adorava la montagna. Era l'unica cosa che ci accomunava, nelle
passioni. Così ci arrampicavamo assieme, a volte. Quella volta dovevo esserci
anch'io. Eravamo arrivati al rifugio dopo una scalata pazzesca sotto a un
temporale, il giorno prima. Dovevamo salire assieme all'alba, però nella notte
sono stato male, mi è venuta la febbre. Però la giornata era splendida e lui ha
deciso di andarci lo stesso, con un altro. Un ragazzo che avevamo conosciuto la
sera prima al rifugio. Lui era fatto così.
Stefano abbassa la testa. Si passa la
mano tra i capelli, liberandoli dalla loro immobilità forzata. Ciocche un po'
rigide di gel ricadono scomposte sulla fronte.
– Il ragazzo era un dilettante, ho
poi scoperto, e la
via che avevamo scelto era difficile. Non siamo mai riusciti a sapere
esattamente come è andata. Sono stati investiti da una pioggia di sassi,
probabilmente. Sono caduti entrambi e morti tutti e due.
Claudia non dice nulla. Pensa a
Federica bambina che la saluta dalla cima di un albero, a se stessa che la
guarda con le mani sudate. A quel gusto di cercare il rischio che alla sorella
ancora non è passato del tutto. Si chiede se è per questo che Stefano si è
innamorato di lei, se gli ricorda Giò.
Si chiede anche se
lui si senta in colpa, per quell'incidente. Però non osa domandarglielo. Se
Federica fosse caduta da un albero sul quale lei non aveva voluto seguirla, si
sarebbe sentita in colpa? Non sa rispondere.
Vorrebbe dire qualcosa di saggio e
partecipe insieme, ma le parole non arrivano.
– Sarà mica
questa?
La voce di Stefano la sorprende. Il
tono è completamente diverso da quello con cui le stava parlando prima.
Si volta a guardarlo. Ha un involto
bianco in mano.
– Sì, è lei!
La tovaglia di zia Marta.