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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La tovaglia di zia Marta, di Sabrina Campolongo (seconda e ultima parte) 01/05/2008
 

La tovaglia di zia Marta

                            di Sabrina Campolongo

 

                            Seconda e ultima parte

 

Qualche giorno dopo. Di nuovo il suono del telefono la distoglie dallo studio. È Stefano.

Scusa ti disturbo? Sai tra una settimana è il compleanno di Federica e vorrei regalarle qualcosa che sia di suo gusto. L'ultima volta non è andata troppo bene. Non so, ti va di accompagnarmi questo pomeriggio?

Normale. Non è la prima volta che le capita. Che un ragazzo chieda consiglio a lei per compiacere Federica. Lei e Stefano tra poco saranno addirittura cognati, è ovvio che si rivolga a lei.

Meno ovvio quel tuffo al cuore, ma anche a quello è piuttosto preparata. Sa che saprà gestirlo, mentre gli dice di sì.

 

Camminano ridendo, infagottati nelle giacche pesanti. Oggi lui ne indossa una sportiva, e i capelli spuntano da un berretto di lana verde scuro.

Le hanno comprato una camicia da notte di seta. E un paio di calzettoni a righe con le dita. Un insieme sexy e spiritoso, come lei. A Federica piaceranno senz'altro.

– Cosa le hai regalato l'ultima volta? – chiede Claudia, togliendosi i guanti, mentre si infilano nel calore di una caffetteria.

– Un libro. – risponde Stefano, liberando i riccioli biondi dal cappello.

Mentre gli chiede “quale?” Claudia pensa che è bellissimo, il più bel ragazzo con il quale sia mai uscita.

Ma non sta uscendo con lui, si ricorda. Lo ha aiutato a scegliere un regalo per sua sorella, aggiunge, tanto per spazzare via ogni dubbio.

Le risponde quando si sono accomodati a un tavolino vicino alla vetrina.

Il grande Gatsby. È uno dei miei romanzi preferiti.

Claudia alza gli occhi dal menù.

 – È un libro bellissimo.

Stava per replicare che è anche uno dei suoi libri preferiti, ma poi le è sembrato stupido dirlo.

– Non ci credo che a mia sorella non è piaciuto.

Stefano sorride.

– In realtà non credo che l'abbia letto. È ancora dove l'ha appoggiato quella sera.

Claudia non ne è sorpresa. Ricorda di averle scritto biglietti ispirati, a volte, e di averli poi ritrovati ricoperti da fiocchi di polvere sotto al letto, o abbandonati in mezzo alla pila delle riviste, quando lei li avrebbe conservati con cura. Lei avrebbe iniziato a leggere quel libro la sera stessa, avrebbe pensato che per Stefano aveva un senso averglielo regalato, che non l'aveva scelto a caso. Si sarebbe chiesta cosa aveva voluto dirle con quel dono. Si sarebbe commossa scoprendo che era la storia di un amore così forte da rasentare la follia, da portare alla morte. Avrebbe pensato che lui avesse voluto dirle che era così che l'amava.

Nonostante questo non giudica Federica. Non è un'egoista e nemmeno una persona superficiale. Solo c'è una nota di noncuranza, in lei, una leggerezza che la tiene staccata dalle cose, una capacità di non sovraccaricare ogni gesto di significati, che spesso Claudia le ha invidiato.

Prova a spiegarlo a Stefano. Lui l'ascolta, serio.

Poi parlano di Gatsby. Del suo sogno. Scoprono che entrambi ricordano a memoria le ultime fulgide righe del romanzo.

 

…Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C'è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia... e una bella mattina...

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

 

La recitano assieme e poi scoppiano a ridere, imbarazzati, ma anche entusiasti, come bambini.

La risata si spegne. Claudia beve un sorso del suo thè. Stefano sta ancora sorridendo. Sembra assorto. Forse pensa ancora a Gatsby, guardando il buio  oltre la vetrata. I lampioni si sono accesi, la gente si muove più in fretta, ansiosa di rientrare a casa.

Anche lui probabilmente deve rientrare. Federica starà per tornare dal lavoro.

Claudia però non dice nulla. Approfitta della sua distanza per osservarlo. Le spalle larghe, sotto al maglione norvegese, gli occhi grigi, così luminosi, la sottile cicatrice che spezza la curva perfetta del labbro superiore. Si chiede cosa prova Federica, guardandolo. Sapendo di possedere quel corpo, quegli occhi, potendolo toccare.

Stefano torna a rivolgersi a lei. Sembra confuso.

– Scusa, hai detto qualcosa?

– No, pensavo che dovremmo andare.

– Sì, hai ragione. Ti ho rapita per tutto il pomeriggio.

– È stato un piacere.

Non sta flirtando. Non vorrebbe che lui lo pensasse. Però non le dispiace vederlo arrossire.

In macchina parlano ancora di libri. Ora che sono entrati in argomento scoprono svariati amori in comune. Libri ma anche passaggi, frasi da cui entrambi sono stai colpiti. Stefano le parla con trasporto di alcuni testi che lei non ha ancora letto.

Quando la riaccompagna sotto casa, stanno parlando di Joyce. Pur dichiarandosene affascinato, lui ammette di non essere riuscito a terminare l'Ulysse.

– Devi leggere Gente di Dublino, prima – dice Claudia, con convinzione.

 – Se vuoi te lo presto. – offre, più timidamente.

– Mi piacerebbe. Oltretutto in questo momento non sto leggendo nulla.

– Te lo prendo allora.

Claudia scende dall'auto e si avvicina al cancello.

La villetta è completamente al buio. I suoi genitori non rientrano mai prima delle otto.

Mentre tira fuori le chiavi dalla borsetta, Claudia realizza che Stefano l'ha seguita, che è un passo dietro di lei. Le sue mani cominciano a tremare.

Alla fine riesce a infilare la chiave nella serratura del cancelletto. Prosegue verso il portone. Il cuore le martella nel petto. Fa scattare entrambe le serrature.

È nel salone ora. Stefano è sempre dietro di lei, in silenzio. Nessuno dei due parla.

Claudia allunga la mano verso l'interruttore della luce.

Nel buio un'altra mano ferma la sua. La stringe.

Claudia chiude gli occhi. Dal petto le esce un sospiro rotto.

Le labbra sono contro le sue, non sa nemmeno come. Non sa se si è voltata verso di lui, o se è lui che l'ha attirata a sé.

Solo quelle labbra. E le sue braccia che la stringono. Il suo calore, sotto al freddo umido della giacca. Il suo odore, i suoi capelli tra le dita.

E la sua pelle, sopra il suo letto di ragazzina, tra i girasoli delle sue lenzuola. La sontuosa accoglienza di quel corpo, la sua forza e la sua dolcezza. La bellezza. Da piangere per quella pelle, da impazzire.

Baciarlo, leccarlo, non è una prova di seduzione, come con l'unico ragazzo con cui è andata a letta, come con gli altri con i quali ha mischiato saliva, umori e sudore impacciato in macchina, non è concentrazione chiedendosi se sta andando bene, se lui che la guarda la trova bella, se non trova ridicoli quei suoi seni minuscoli, quei fianchi stretti. Leccarlo e morderlo è bramosia di averlo, sotto le dita, contro la pelle, dentro la bocca, dentro, dappertutto.

Non esiste più nient'altro, l'ingiustizia di quello che stanno facendo, la crudeltà, la colpa, Federica, tutto è così meravigliosamente lontano, remoto come un film muto proiettato alle loro spalle. Niente può toccarli ora.

Stefano stringe le mani attorno al suo viso.

– Dio mio – mormora soltanto, – dio mio – come se pregasse davvero, baciandole le guance, gli occhi, le labbra.

Alla fine è tardi, tardissimo, i genitori di Claudia stanno per arrivare. Devono separarsi, separarsi sapendo che la vita è lì, dietro la porta, pronta ad avventarsi sulle loro gole, che è stata là tutto il tempo dei loro gemiti, a compilare compiaciuta il suo conto, che non farà sconti.

Continuano a baciarsi  con gli occhi chiusi, per tenerla lontana fino all'ultimo, fino alla porta. Poi Claudia deve aprire gli occhi, per guardarlo tornare verso la propria auto camminando all'indietro, guardandola ancora.

Resta sulla soglia, a farsi pungere le gambe nude dalla nebbiolina gelata di gennaio, fino a che lo vede sparire in fondo alla strada.

 

Non ha più rivisto Stefano, da quella sera, da solo. E solo per pochi istanti assieme a Federica. Ha fatto in modo di non farsi mai trovare, quando erano ospiti a cena, ignorando le proteste di sua madre. Anzi, per non correre il rischio che la circostanza fosse notata, ha fatto in modo di non stare quasi mai a casa, nell'ultimo periodo.

Lui non l'ha mai chiamata. Né Claudia se lo era aspettato.

Ha passato notti intere a pensare a come evitare quel matrimonio, ma alla fine ha sempre saputo che ci sarebbe andata.

Adesso, infatti, è seduta al tavolo della cucina ed è il suo turno di farsi pettinare. La parrucchiera tira i suoi capelli sottili con un impegno che rasenta la ferocia, infilzandoli con dovizia di forcine che le graffiano la pelle.

Federica vaga per casa in body di seta e calze autoreggenti, chiacchierando al cellulare con le amiche, inseguita dalla mamma che le intima di tagliar corto.

– Cosa avrete da dirvi, anche adesso. Forza, dì alla Betty di andare a vestirsi, che tanto vi vedete in chiesa.

E Federica ride e Claudia ha l'impressione che perda tempo apposta per fare impazzire la madre.

Finalmente la sposa viene trascinata a forza nella camera dei genitori e il cellulare le viene sottratto, nonostante le sue proteste semiserie.

Nella casa regna per qualche minuto un religioso silenzio, mentre la parrucchiera lotta per fare stare su l'ultimo suo riccio e il padre la guarda scuotendo la testa dalla porta del salotto.

Claudia si lascia sfuggire un sorriso.

– Fatto! – esclama l'acconciatrice, trionfante.

Claudia si guarda nello specchio che le viene messo davanti. Sembra la brutta copia di Federica, stessa acconciatura ma molto meno volume. E i suoi occhi ancora più grandi. Spauriti sembrano. Come quelli di quei cagnetti ridicoli che stanno sul palmo di una mano e sembrano chiedersi come diavolo possono vivere, in un mondo di giganti, senza venire schiacciati.

Sorride.

– Grazie, sono perfetti.

Si dirige verso la sua stanza. Nel corridoio incrocia la madre, che incede malferma, come una sonnambula, con gli occhi aperti e lucidi.

– Come siete belle – mormora, guardandola.

E quasi viene da piangere anche a lei.

Forse accorgendosene, la madre allunga una mano e le carezza una guancia.

– Meno male che non siamo ancora truccate. – ride poi.

Ancora qualche passo, e Claudia potrà rifugiarsi per un po' nella sua stanza.

La porta della camera matrimoniale però si apre, al suo passaggio. Una mano l'afferra per il braccio e la trascina dentro.

Si trova faccia a faccia con Federica, bella come la principessa di una favola nell'abito bianco, se non fosse per il rimmel colato sulle guance.

– Doveva usare un mascara waterproof.

Ha detto la prima sciocchezza che le è venuta in mente.

Federica emette una via di mezzo tra una risata e un singhiozzo.

– Dimmi che sto facendo la cosa giusta – dice.

No, ti prego no, non a me.

– Perché te lo domandi? – chiede invece.

– Non lo so. Solo panico credo.

Ma, in contrasto con la rassicurazione che quelle parole dovrebbero trasmettere, Federica si lascia cadere sul bordo del letto, in uno sbuffare di tulle. Claudia resta in piedi.

– Invece a volte mi sembra che ci sia dell'altro – Federica continua a parlare senza guardarla – Mi sembra che ci sia qualcosa che non va, soprattutto in lui, ultimamente. E se ci stesse ripensando? E se non si presentasse?

– Ma dai. Non lo farebbe mai.

Claudia sente la propria voce uscire da chissà dove. Nella testa invece ribollono le parole della sorella.

– Lo so che è assurdo. È che ci sono cose in lui. Stanze nelle quali mi sembra di non riuscire a entrare. E ho paura di deluderlo, perché forse lui si aspetta che io lo capisca in tutto.

– Ha scelto te.

Federica solleva lo sguardo. Sembra confusa. Forse ha percepito la durezza nel suo tono. O il dolore dietro le parole.

– Ha scelto te, no? – ripete, più dolce – Probabilmente non ha bisogno di qualcuna che lo capisca proprio in tutto. È te che vuole.

Federica sorride, sollevata.

– Già – dice, asciugandosi le lacrime.

Poi si alza e l'abbraccia.

– Grazie – sussurra al suo orecchio e Claudia vorrebbe morire.

 

 

La folla davanti alla chiesa all'inizio le impedisce di vederlo. Poi la voce dell'arrivo dell'auto della sposa corre come una scarica elettrica tra gli invitati che immediatamente fanno ala, lasciando libere le scale.

Ed eccolo. Stefano. Un'apparizione in tight. Gardenia all'occhiello. Perfetto. Il sorriso appena un po' rigido gli fa guadagnare sguardi inteneriti dalle signore.

L'auto di Federica, la Jaguar prestata dallo zio, appare in fondo alla strada.

L'espressione di Stefano si fa più tesa. Sembra cercare qualcosa o qualcuno, tra la folla.

Claudia sente lo stomaco che si chiude.

Vorrebbe nascondersi, ma i suoi piedi restano incollati al selciato.

È lei che cerca. È lei che trova.

L'auto nuziale si immette nel piazzale e si ferma davanti alla scalinata.

Gli occhi di Stefano ancora non lasciano i suoi.

Claudia pensa a Gatsby, in piedi sul pontile, lo sguardo fisso alla luce dall'altra parte della baia.

Poi scuote la testa, un movimento solo accennato.

Stefano la fissa ancora per un istante. Le sembra che annuisca, prima di rivolgere il viso verso l'auto della sposa.

Anche Claudia guarda suo padre – molto meno a suo agio di Stefano, nel tight – aprire la portiera di Federica e prendere nella sua la bella mano inguantata.

– C'è sfuggito allora ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… e una bella mattina…

Una donna si volta a guardarla. Claudia sorride, imbarazzata. Non si è resa conto di avere recitato ad alta voce.

La donna la fissa con insistenza. Magari la conosce. È che tra le lacrime non riesce a distinguere il suo viso, semi nascosto, per di più, da un gigantesco cappello.

Lei ora le sta tendendo qualcosa. Un fazzoletto di carta.

Claudia lo prende.

– Vieni qua davanti, assieme a me.

Non è un'offerta, è un ordine.

Finalmente la mette a fuoco. La voce comunque sarebbe bastata, l'avrebbe riconosciuta tra mille.

– Zia Marta

– Non ci si dispera a un matrimonio. – continua lei, trascinandola contro il suo fianco. Odora di cipria e di lavanda.

– Non sono disp

Seee – la liquida, con un gesto brusco della mano. – E io sono uscita dall'uovo stamattina. Forza, bambina, fai un bel sorriso. Così, brava. Voi giovani siete così sciocchi. Vi piace tanto complicarvi la vita. Magari, esserlo ancora. Giovane, non sciocca.

Ridacchia.

– Sei sempre stata la mia preferita, sai? – riprende, mentre Claudia si tampona le lacrime con il fazzolettino. – Tu avrai una vera tovaglia ricamata a mano, quando ti sposi. Mica paccottiglia fatta dai cinesi.

Le strizza l'occhio.  A Claudia spunta un sorriso. Irreale, è tutto così irreale.

Intanto segue, come tutti, la marcia di Federica verso la soglia della chiesa, dove Stefano l'attende. Cammina piano, le mani serrate attorno al bouquet di fresie, quasi temesse di vederlo spiccare il volo.

Claudia si sente sommergere da un'ondata di tenerezza. Di amore per lei.

La zia Marta le stringe una mano attorno al braccio nudo.

Avvicina il viso al suo, accogliendola sotto la vasta falda del suo cappello.

– Sii dolce con la vita, tesoro. È troppo breve per struggersi. E non guardatevi più a quel modo oggi, per carità. Per tua fortuna erano tutti girati verso la sposa.

Claudia la fissa a bocca aperta.

La vecchia zia sta sorridendo. Nei suoi occhi stretti danza una luce che non le ha mai visto prima. Che non avrebbe mai detto potessero possedere.

– Vedrai, prima o poi ogni fiume trova il suo corso. Forza, entriamo. Oggi è la festa di tua sorella.

Claudia solleva il viso verso il portone della chiesa. Si accorge di essersi persa il momento in cui suo padre ha ceduto il braccio di Federica a Stefano. Guarda di nuovo la zia. Si chiede se l'ha fatto apposta. Impossibile capirlo dal suo volto. L'espressione è tornata quella arcigna di sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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