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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Una storia del tempo che fu, di Gabriella Cuscinà 24/05/2008
 

Una storia del tempo che fu

       di Gabriella Cuscinà

 

Mio nonno, che ormai ha più di novant'anni, mi raccontò che suo bisnonno una volta gli aveva raccontato la sua triste storia:

 << Sono uscito dal carcere dopo una detenzione di trent'anni.  Esercitavo la professione di cappellaio qui a Palermo. Ho amato solo la mia dolce Matilde, uccisa dal suo consorte che l'aveva colta in fragrante adulterio con me.  Ma andiamo per ordine:  di fronte alla mia bottega di cappellaio, trent'anni fa, abitavano due donne, una giovanissima, Matilde, e sua madre Irene, anch'ella abbastanza giovane. La mia bottega era adiacente alla loro casa e appena  vidi Matilde affacciata al balcone, il mio cuore prese a battere violentemente per quella fanciulla dolce e tenera. La salutai e lei rispose al saluto. Le chiese quanti anni avesse e rispose che ne aveva sedici. Il suo sorriso e i suoi occhi mi fecero intendere che non le ero indifferente. Infatti spesso si metteva sul balcone e conversavamo amorevolmente. Un giorno vidi arrivare in quella casa un importante notaio e seppi che Matilde era sua pupilla. Dopo qualche tempo le due donne traslocarono. Le cercai e le trovai in un quartiere molto lontano. Mi presentai a sua madre e chiesi la mano di Matilde, ma donna Irene mi rispose che era già promessa al figlio del notaio. Mi sentii addolorato e domandai se la ragazza fosse consenziente a quelle nozze, ma lei non rispose. Continuai ad andare sotto la finestra della nuova casa di Matilde e   mi disse che non voleva sposare quell'uomo perché ormai amava solo me. Ne fui felice e le proposi di fuggire assieme. Non volle acconsentire  per non  deludere e non abbandonare la madre. Qualche giorno dopo anzi, Matilde fu condotta via e rinchiusa in un convento, giacché qualche lingua malevola aveva raccontato al notaio dei miei appostamenti. Andai anche dinanzi al convento per vederla e mi sentivo disperato in quanto ormai capivo che ne sarebbe uscita solo per recarsi all'altare con figlio del notaio. E così fu infatti. La mia dolce Matilde andò sposa ed io mi sentii l'uomo più infelice della terra. Un giorno andai a sfogarmi a casa di sua madre ed Irene mi accolse affranta e addolorata  perché sapeva che la figlia era infelice e che s'era sposata contro la propria volontà. Ma non avevano potuto fare altrimenti poiché erano obbligate a sottostare ai voleri del notaio. Irene scoppiò in lacrime e cominciò a raccontare:

      “ La mia vita è stata sempre tribolata e piena di disgrazie. Sono figlia di Corrado di Estamura, conte di Bagheria. Giovanissima, fui promessa sposa al barone Paolo Silincione, che io non volevo poiché era  sgradevole, arrogante e violento, ma avrei dovuto sposarlo per forza. Un giorno mi trovavo a passeggio nei possedimenti di mio padre con la mia dama di compagnia. Improvvisamente inciampai in una tagliola e il mio piede rimase bloccato e ferito. Gridai ed ero terrorizzata perché la ferita sanguinava, ma improvvisamente dal bosco uscì un giovane bellissimo che corse in mio aiuto e in pochi istanti liberò il mio piede. Dopo lo fasciò col suo fazzoletto. Ci guardammo e l'amore scoccò all'istante. Disse di essere un cacciatore di frodo e che cacciava per sfamare la madre vedova e i suoi quattro fratelli. Era però addolorato per aver procurato la mia ferita. Restai incantata dai suoi occhi blu e dai suoi modi impacciati e cortesi. Ci rivedemmo molto spesso perché veniva sotto la mia finestra ogni giorno e il nostro amore cresceva sempre più. Poi egli scoprì il modo in cui introdursi di notte nella mia stanza all'insaputa di tutti. Allora dormivamo insieme abbracciati e felici dopo lunghe ore d'amore. All'alba, il mio bel cacciatore fuggiva via ed io trepidavo nell'attesa di rivederlo. Sin quando un giorno, il mio ventre  cominciò ad ingrossare e la mia dama di compagnia s'accorse che ero incinta. Ne fu esterrefatta e andò a comunicarlo a mio padre che andò su tutte le furie. Mi scacciò dalla sua casa e mi fece portare a Palermo in casa del notaio che era suo parente. Non potei mai più rivedere il mio amore perché mi fu allontanato in tutti i modi. Nacque comunque mia figlia Matilde e insieme conducemmo una vita di stenti perché il notaio ci trattava da serve e ci forniva il minimo per vivere. Poi egli riuscì ad estorcere a mio padre una  promessa:  quando la mia creatura fosse stata in età da marito avrebbe sposato suo figlio e le ricchezze degli Estamura sarebbero andate alla famiglia del notaio, visto che io ero figlia unica. Ecco perché chiuse Matilde  in convento. Perché fosse al sicuro fino al momento delle nozze. Ma ormai è andata sposa. Rassegnatevi.”

    << Invece non mi rassegnai, pensavo sempre alla mia dolce fanciulla e saperla infelice mi faceva vivere nell'angoscia. Allora mi informai dove abitasse col figlio del notaio e seppi che stavano in un quartiere ricco. Mi andai ad appostare sotto il suo balcone e un giorno la vidi affacciare. Anch'ella mi scorse e i suoi occhi furono colmi di gioia. Poi tornarono tristi e capii quanto soffrisse e quanto ancora mi amasse. Cominciai a perlustrare la zona e studiai tutti i vari accessi al palazzo. Così una notte mi intrufolai di soppiatto nei quartieri della servitù. Poi salendo ai piani superiori, finalmente trovai la stanza di Matilde. Ella dormiva da sola e non si aspettava di vedermi comparire. Si svegliò e stava per gridare, ma  mi feci riconoscere. Fu estremamente felice e mi cadde tra le braccia. Il nostro fu un amore travolgente e appassionato. Ci amammo sino all'alba, dopo di che fuggì promettendo di tornare presto. Così mi recavo di notte da lei molto spesso, ma una volta vedemmo entrare a catapulta suo marito che ci sorprese e sguainò la spada. Colpì per prima Matilde che cadde esanime. Poi si scagliò su di me, ma mi difesi disperato poiché vedevo il mio amore giacere in una pozza di sangue. Allora reagì e volli vendicarla. Afferrai un lume e lo fracassai sulla testa del marito che morì all'istante. Quindi mi chinai accanto a lei e piansi stringendola al petto. Nel frattempo erano arrivati i servi e dopo di loro gli sbirri che mi arrestarono e mi portarono in carcere. Vi ho trascorso trent'anni della mia vita, ma non mi sono mai rassegnato di aver perso Matilde e ho sempre pensato a lei. >>

 

 

 
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