Cinzia Pierangelini
Da oggi cambio vita
Quel
giorno Emma si guardò, come sempre faceva, nel lungo specchio del bagno: di
profilo, davanti, piegata in due, di tre quarti. Questo rito si ripeteva da
tempo immemore, e seguiva la quotidiana pesatura sulla vecchia bilancia
meccanica. C'erano alti e bassi, è ovvio; ma, di solito, i due o tre rotolini di ciccia di troppo o, peggio, i due o tre chili
in più, riuscivano a rovinarle gran parte di ogni giornata.
Controllarsi
l'aspetto dell'addome era davvero una fissazione per lei; non c'era nulla che
odiasse più della sua pancia. Non le riusciva di
guardare la tv o sfogliare un giornale, né di rilassarsi sulla spiaggia, senza
soppesare, è il caso di dirlo, le splendide pance altrui. Pareva che l'intero
universo femminile in circolazione, fosse nato apposta per sfoggiare indumenti
a vita bassa. Non c'era proprio nulla da fare, quasi tutte le donne che
conosceva o incontrava, avevano un bel ventre sodo, piatto, muscoloso, scavato,
concavo…Insomma nulla a che vedere con quel suo globo gassoso, dispettoso,
indomito; capace di gonfiarsi e sgonfiarsi come un palloncino, assumendo tutte
le possibili varianti di forma che intercorrono tra un cuscino bitorzoluto e un
aerostato. Questo non ostante lei si prodigasse, con ogni possibile sforzo, per
tenerlo sotto controllo: occhiatacce astiose davanti allo specchio, ginnastica
mirata, dieta rigidissima.
A
proposito di diete, le aveva davvero provate tutte: quella del minestrone, a
zona, tre-cinque-sette chili
da perdere in ugual numero di giorni, la dieta del professore di fama, del
nutrizionista alternativo, del guru in odore di santità… Niente! la pancia era lì, sorridente, ghignante addirittura.
L'uso
smodato dei regimi alimentari più vari e innovativi, aveva finito col renderla
dieta-dipendente, incidendo sulle sue abitudini e persino sul mobilio. Per non
cadere in tentazione, infatti, aveva attrezzato la cucina con un piccolo tavolo
e una credenzina in cui trovavano posto minuscoli piatti, irrisorie zuppiere, e pentole mignon.
Ma
ciò che davvero saltava agli occhi, era il frigorifero! Ci aveva messo tre giorni
a sceglierlo: il più piccolo in commercio, escludendo quelli per caravan,
roulotte, barca e casa dei puffi. Un frigo ideato per la sopravvivenza di un
single anoressico o di un anacoreta con l'hobby dei fioretti privativi. Ci
trovavano posto: un'insalata, un vaso di yogurt da cinquecento grammi, una
confezione da sei uova, un paio di chili tra frutta e verdura, due bottiglie.
La ghiacciaia era così limitata, da risultare praticamente inaccessibile a una
vaschetta di gelato, e appena sufficiente per una confezione di filetti di
nasello porzionato. Era un frigo che rendeva
impossibile la tentazione di una teglia di pasta al forno o parmigiana, di un
ricco, unto arrosto di maiale con patate; persino una modesta insalata di riso
freddo avrebbe avuto seri problemi a trovarvi una collocazione. Il frigo
triste, di una dieta triste, di una persona triste.
Quel
giorno dunque sembrava proprio uguale a tutti gli altri, tranne che per un
trascurabile particolare: era il giorno del suo quarantesimo anno. Mentre controllava allo specchio le varie
espressioni della sua pancia, assumendo le più improbabili posizioni, sempre
che di mestiere non si faccia il contorsionista, le capitò di ricordare, per un
attimo, una grande torta alla panna, con cui, in una infanzia ormai lontana, aveva festeggiato un
qualche sereno compleanno. Una torta tonda, decorata con profumate roselline di
zucchero. Uno di quei sontuosi dolci che
il suo povero frigo non avrebbe mai avuto l'onore di ospitare. Commossa dal
ricordo, innocentemente lasciò che il suo sguardo, in maniera inconsapevole e
sbadata, abbandonasse per un attimo la desolata visione dell'
addome flaccido, per spaziare su su per il
busto, fino al viso. Lo specchio le restituì l'immagine di una donna spenta, di
un'età incerta che poteva spaziare dai cinquanta ai sessantacinque anni.
Il
colmo? Nel fisico un po' cadente, quella pancia pienotta rappresentava, alla
fin fine, l'unica nota allegra. Le occhiaie e un colorito grigiastro
completavano la penosa visione.
Due
grosse lacrime cominciarono a scorrerle, bruciando, sulle guance; mentre
piangeva, la pancia, sorniona, sussultava allegra a ogni singhiozzo. Emma sentì, dentro di sé, una vocina beffarda che le sussurrava:
“Che stupida! Anni e anni a guardarsi la ciccia,
mentre la vita passava e tutto il resto andava in miseria!” Per la rabbia smise
subito di piagnucolare e, con un urlo liberatorio, afferrò la bilancia e la
fracassò sul pavimento. Il
baccano dell'orrendo marchingegno che andava in mille pezzi, le parve una
melodia meravigliosa e così, improvvisamente allegra e canticchiando, si
trasferì in cucina. Lì trovò di suo gusto accompagnare l'estemporanea
esibizione con il lancio d'ogni singolo pezzo delle sue stoviglie dei sette
nani; il turbinio di frammenti scintillanti e i botti, le rammentarono i fuochi
d'artificio. Ormai di ottimo umore,
pensò di concludere le danze con un terribile calcio al frigo, che ebbe
l'effetto di sfondarne lo sportello; quindi stanca e con un piede
dolorante, ma improvvisamente felice, si
sedette al mini-tavolo e: “Mi farò un regalo! Una bella torta
rotonda, di panna, con tante roselline di zucchero… Prima mi serve un vero
frigo, però!” disse.
Non
ci mise molto a sceglierlo; si accontentò del primo negozio che le capitò a
tiro e, al gentile impiegato che la serviva, disse soltanto:
“Voglio
il frigo più grande che avete: da oggi cambio vita!”
(da Dall'ultimo leggio – Traccediverse,
2005)