I
racconti di Versailles
di Bruna Alasia
MOZART E MARIA ANTONIETTA
Racconto diciassettesimo
La reggia di Versailles era stata concepita ai tempi di Luigi XIII come
un luogo di ritiro e di protettiva solitudine. La sua architettura in
origine semplice, modesta e intima, era divenuta magnifica solo con l'avvento
di Luigi XIV, il re Sole, che influenzato dalla cultura italiana dei parenti
aveva seguito il loro stile rifacendolo in grande soprattutto a partire dai
giardini. Boschetti, cascate, labirinti, teatri d'acqua riecheggiavano in fondo
quelli di Frascati e di Bagnaia ma con una inimitabile apertura verso l'infinito.
Tale prospettiva
si palesò a Luigi XVI e Giuseppe II quando arrivarono alla terrazza situata
sopra la fontana di Latona, sulla quale svettava una
ninfa di bronzo. Quel 24 maggio 1777 l'orizzonte pulito inquadrava il viale che
conduceva al bacino di Apollo, adagiato tra la vegetazione.
-
Wunderbar… - mormorò l'imperatore austriaco
guardando con la coda dell'occhio il re di Francia che abituato a quella
magnificenza, assorto in altri problemi, non vi fece caso.
Luigi
scese le gradinate imboccando il parco. L'andatura goffa, la fronte
corrucciata, l'evidente sforzo di attenzione gli davano un'aria di zelo
mansueto:
-
Non so spiegarvi perché io mi ritiri da vostra
sorella prima… non so davvero… faccio il mio dovere…
-
Non negate che come dovere è piacevole…. o no? - l'imperatore lo guardò di sottecchi con un
misto di stupore e rabbia.
Luigi si
confuse, non rispose, pensò che lasciarsi andare nel ventre di Maria Antonietta
gli metteva ansia quasi potesse essere inghiottito.
-
Non dite nulla? – insisté Giuseppe II
-
Oh sì certo… certamente… però…
-
Dovete abbandonarvi… riconosco che mia sorella non
vi aiuti molto ma parlerò con lei… rilassatevi, non ritiratevi prima del tempo: i figli
si fanno eiaculando dentro! Fra poco
parto, promettete che farete ogni sforzo…
-
Lo prometto – disse volonteroso Luigi sentendosi
rassicurato da quello sprone fraterno e risoluto.
Quando
rientrarono il re di Francia si ritirò nelle sue stanze e chiese di essere
lasciato solo. Prese dalla scrivania l'ultimo diario dove appuntava con minuzia soprattutto
resoconti di caccia. Registrare quanti cinghiali, cervi, daini, fagiani, beccaccini
avesse ucciso, gli dava sicurezza: un punto fermo le 117 spedizioni dell'anno
1775. Amava i numeri, non le parole e anche quella sera fu laconico: “Passeggiato
da solo a piedi con l'imperatore”.
***
Il
banchiere Jacques Necker, di famiglia brandeburghese,
era nato nel 1732 in
Svizzera, sul lago di Ginevra. A soli sedici anni, dopo gli studi all'accademia
di Belle Lettere, partito per Parigi, si era introdotto come semplice commesso
nella banca di un compatriota. A ventiquattro era già interessato a una
fortuna: un quarto degli utili di una società finanziaria elvetica, ottenuti
con la speculazione sul grano e con la Compagnia delle Indie. Nel 1769, quando la Compagnia ebbe dei
rovesci e l'amministrazione reale decise di sopprimerla, Necker
si oppose pronunciando un'arringa che fece sensazione. Nel frattempo aveva
guadagnato in borsa al punto che si favoleggiava fosse milionario.
Sua
moglie, la ginevrina Louise Suzanne Curchod,
istitutrice e dama di compagnia, era graziosa e innamorata tanto da trasformare
le residenze in salotti che fungessero da trampolino di lancio per il “grande”
marito. Per ricevere l'intellighentia si era aggiudicata il venerdì, ultimo
giorno libero nel calendario mondano di Parigi.
La
figlioletta Germaine, all'epoca undicenne, ascoltava quelle conversazioni con curiosità.
Non bella come
la madre, né come lei eterea, aveva un viso appuntito incorniciato da riccioli
neri, che le acconciature torreggianti facevano assomigliare ad un uccello, ma
gli occhi erano vivaci e intelligenti. Diderot, D'Alambert, Buffon, Marmontel
l'avevano definita sorprendentemente matura.
-
Per l'occasione dovrai indossare un abito che
faccia risaltare la perfezione interiore… - diceva madame Necker
alla figlia seduta con lei nel boudoir.
-
Come faccio a sembrare perfetta?
-
Non si può ma… la perfettibilità è la facoltà che
fa la differenza… - madame Necker pensò che l' aforisma
andava scritto.
-
Ho un padre importante adesso?
-
Lo é sempre
stato, ora lo è di più.
Il 29
giugno 1777 Jacques Necker aveva riunito nelle sue
mani ciò che oggi chiameremmo Ministero dell'economia, con il titolo non di
controllore, non poteva essendo protestante, ma di direttore generale delle
Finanze di Luigi XVI. L'uomo che nel 1775 aveva scritto un saggio sul commercio
del grano per confutare le liberalizzazioni di Turgot,
ora gli succedeva trionfante. La ricchezza gli permise di infischiarsene
dell'onorario di duecentomila luigi e delle tangenti annesse, facendo salire le
sue quotazioni presso l'opinione pubblica. Necker si guardò bene dal
precisare che in cambio aveva chiesto e ottenuto un titolo nobiliare perché
era, nel senso attuale del termine, un comunicatore e un abile curatore della
propria immagine. La sua ascesa venne orchestrata con metodo e disciplina da
una moglie animata da uguali ambizioni.
-
Germaine, al
ricevimento in onore di tuo padre, neanche un capello fuori posto…
La
bambina allargò gli occhi.
-
Siederai con grazia – spiegò la mamma - avrai l'aria pacata
ma interessata, sarai attenta, senza premura di esprimere le tue idee… per non
passare da presuntuosi bisogna sembrare
superiori a quello che si dice… non essere troppo vivace, soprattutto non usare brutte parole… sei un angelo e ti voglio
anche migliore…
Tutti
ritenevano che Louise Suzanne Curchod incensasse i
suoi al punto da renderli insopportabili, l'economista Condorcet
aveva soprannominato il collega Necker “pallone gonfiato”,
ma madame riguardo alla prole non aveva tutti i torti.
Germaine la guardò perplessa dando segni di stanchezza.
-
Dov'è il mio libro ?
-
Quale?
-
Quello che stavo leggendo...
Sgusciò
via per andare a prenderlo mentre sua madre sospirava: non poteva immaginare
che la piccola Anne Louise Germaine Necker
un giorno sarebbe diventata una scrittrice che avrebbe superato
l'usura dei secoli col nome di Madame De Staël.
***
Quell' estate a Compiègne Maria
Antonietta e Luigi dormirono più spesso insieme, i consigli dell'imperatore
Giuseppe II dovevano aver fatto misteriosamente breccia perché il re divenne
più disinvolto. A ottobre, come di consueto, si trasferirono nel castello di
Fontainebleau, poi a Choisy dove l'intimità fu quasi
assodata, anche se Luigi preferiva cacciare e Maria Antonietta giocare d'azzardo con
Artois, la Polignac, Vaudreuil, Besenval, il duca di Guines, di Coigny e altri sfaccendati. L'ultimo mese dell'anno lo
trascorsero a Versailles perché aveva stanze riscaldate.
Una notte
di dicembre, il talamo dove era stato gettato il seme di una stirpe regnante da
otto secoli, l'immenso salone regale con la sua balconata, i broccati in oro, gli specchi, i
busti, i marmi, gli arazzi, gli ebani, le porcellane e i cristalli, rischiarati dalla fioca luce del mortaio brillavano sinistri nella
penombra dove un re in affanno ansimava:
- Si! Si!
Si! – urlò cadendo di fianco.
Si
separò dalla moglie soddisfatto non tanto dal piacere ma dal dovere compiuto,
provando gratitudine verso di lei che lo aveva reso uomo.
Un lungo silenzio.
-
Tutto bene monsieur? – chiese la regina
-
Come potrei dirti il contrario? – la sua voce era dolce e affettuosa e quel “tu” insolito suonava intimo come
mai.
-
Bene – rispose Maria Antonetta,
sollevata ma certa che in nessun caso sarebbero divenuti amanti. Si girò verso di lui - Niente potrebbe andare meglio… non credevo che Necker
arrivasse a darmi 150.000 luigi di tasca sua, gli avevo solo chiesto di
prelevarli….
- Quel Necker
sta pensando a una politica dei prestiti, a una lotteria… addirittura dice che
potremmo permetterci la guerra senza tasse…
- Un ministro tanto geniale non
l'abbiamo mai avuto…
***
Il 30 dicembre 1777 un fatto inaspettato
scosse i regni d'Europa: Massimiliano Giuseppe, elettore di Baviera, morì a
soli cinquant'anni senza lasciare eredi. Su quei territori il fratello di Maria
Antonietta aveva mire espansionistiche e da tempo rivendicava i possedimenti della
moglie defunta, una principessa bavarese. Il 15 gennaio 1778 Giuseppe II ordinò che quindicimila
soldati austriaci invadessero la
Baviera meridionale e in risposta Federico II di Prussia
minacciò, se l'imperatore non avesse ritirato le sue truppe, di fare altrettanto
con la Boemia.
Istruita dall'ambasciatore Mercy
Argenteau, spronata da Maria Teresa che temeva una
conflagrazione generale, Maria Antonietta si precipitò a perorare la causa del fratello
presso il marito. Mentre Luigi misurava la sala nervosamente, lei lo
scongiurava:
-
Mantenete gli impegni con la mia famiglia in base
al trattato, aiutatelo!
-
L'ambizione dei vostri parenti sta sconvolgendo l'Europa!
– brontolava il re - Prima la
Polonia, ora la
Baviera… questo smembramento è contrario alla mia volontà… non
possiamo avere altri nemici, abbiamo problemi con l'Inghilterra perché
sosteniamo gli Stati Uniti…
La regina
scoppiò a piangere.
-
Il trattato non obbliga a soccorre l'Austria per
terre annesse di recente… - puntualizzò Luigi - e poi la guerra costa…
Maria Antonietta, sapendo che la
politica dei prestiti di Necker aveva incontrato
grande favore e la gente correva a comprare quella sorta di “buoni del tesoro”
antesignani, protestò:
- I soldati hanno dovuto frenare la folla
che ci portava scudi!
-
E con questo? La mia risposta è no!
Smacco totale
per la regina: non era mamma e la sua influenza di governo valeva zero.
Nell'impero asburgico si sarebbero adirati con lei mentre in Francia era solo
una sporca “filoaustriaca”: il primo sole fugava
l'inverno ma sentiva la sua vita fallire. Faticò a distrarla persino la Polignac. Giorni uguali e logoranti: sapendo
che la decisione non dipendeva tanto dal marito bensì dagli odiosi ministri che lo avevano
consigliato, invano gli chiese di ritirarli. Diradò allora i rapporti, subendolo
solo qualche notte.
Il giorno
che Luigi la vide entrare all'improvviso nel gabinetto del tornio, si stupì al
punto che fece cadere una pinza. Al falegname
che la raccolse ordinò di allontanarsi.
Maria
Antonietta gli sorrise sorniona:
-
Buongiorno sire…
-
Madame a cosa devo…?
Lei
atteggiò un broncio divertito:
-
Vengo a lagnarmi di un vostro suddito che mi prende
a calci...
Silenzio
interrogativo e interdetto.
-
E' un birbante sire, si muove spesso dentro di me….
non è una grande gioia?
Allora comprese, l'abbracciò estatico e quando
tornò a guardarla i suoi occhi erano lucidi:
-
Tonietta…
- Vi
dico una cosa confermata dai medici – si
illuminò di orgoglio - presto dovremo
renderla pubblica… nel dare la notizia avrei pensato a 500 luigi da devolvere
agli insolventi, non ai debitori qualsiasi, a quelli che non hanno potuto
pagare le balie da latte…
Luigi
annuì.
-
Dovremo anche fare beneficienza ai poveri di
Versailles.
-
Certamente…. – assentì il sovrano con voce commossa.
***
La gravidanza
di Maria Antonietta attutì le ansie di una eventuale
guerra e rinsaldò il fragile legame tra Francia e Austria. Luigi divenne sottomesso,
premuroso, grato: si era perdutamente innamorato della moglie a otto anni dalle
nozze. Quando la notizia si diffuse molti vennero a congratularsi con la prima
madre di Francia: ufficiali di ritorno dalla battaglia navale contro gli inglesi, alti dignitari, aristocratici, finanzieri, gran dame e
questuanti. Un giorno, a uno di questi incontri, inaspettatamente la
regina si turbò: davanti alla sua figura appesantita si era inchinato un uomo
di eccezionale bellezza.
-
Siete una vecchia conoscenza o sbaglio? – Maria Antonietta
arrossì
-
Non sbagliate…. vostro
servitore conte Axel von Fersen.
Lo
svedese incontrato all'opera, strano non averlo dimenticato! Le dava un leggero
brivido quel sorriso così candido, si augurò di non essere invecchiata. Lui la trovò ancora più sensuale proprio perché incinta.
-
Quanto è passato ? – proseguì Antonietta
-
Avevo diciott'anni, oggi ventiquattro.
-
Non venite la domenica? Giochiamo a carte…
-
Sono venuto… non c'era ricevimento.
-
Che sfortuna…. dobbiamo
rimediare.
Appena Fersen si fu allontanato il pensiero della donna fu per il
parrucchiere: “Voglio che Leonard mi rimetta a nuovo, i miei capelli sono un disastro”. Poi rivolta al marito: – Monsieur questo lévite vi piace?”
– si riferiva all'ampio abito di seta trasparente
–
Adesso me lo chiedete? – borbottò lui stupito
***
La caldissima estate del 1778 vide le finestre di Monsieur e Madame,
situate a pianterreno, aperte al mondo esterno, i loro appartamenti,
rischiarati da candele, offerti agli sguardi più curiosi. Non piovve per mesi.
Affaticata la regina trascorse il tempo nelle sue stanze riuscendo ad
addormentarsi solo quando, scesa la sera, l'aria rinfrescava. Capitava che per
propiziarsi il sonno passeggiasse con le principesse, i fratelli e le amiche. Qualcuno ebbe l'idea di rallegrare quelle
notti di scirocco con orchestre di strumenti a fiato: fu ordinato ai musicisti
di suonare su un palco posto al centro del parco.
-
Venite al concerto stasera?– chiese la regina al consorte
-
Sapete che non mi piace cambiare l'orario del sonno.
Il re non si smentì e si presentò solo due
volte, ma la notizia delle serenate si diffuse: migliaia di persone accorsero a
Versailles da Parigi e dintorni, ogni volta festeggiando sino alle due, le tre di notte.
Una sera
suonatori di cappella e suonatrici di camera si esibirono al Colonnato,
peristilio circolare, nel cuore di un boschetto, con in
centro Proserpina e Plutone scolpiti da Girardon. Ma,
diversamente dal solito, l'avvenimento era esclusivo: Madame Campan si occupò degli inviti e si assicurò che fosse
mandato via chi non aveva un biglietto firmato da suo suocero. Entrarono solo
gli amici della regina: i signori di Polignac, di Coigny, di Besenval, di Vaudreuil,
di Guines e pochi altri. Musica perfetta, cornice seducente.
Il duca di Guines,
ex ambasciatore francese a Londra coinvolto in un processo, aveva orecchio ed era
abile con il flauto. Poco tempo prima aveva assunto un compositore di Salisburgo
perché istruisse la figlia che suonava l'arpa. Ma questa, dovendosi sposare,
era tutta presa da altre cose e il musicista era stato licenziato dopo
ventiquattro lezioni. Tra un intervallo e l'altro il duca raccontò alla regina:
-
Un vostro connazionale ha insegnato da me e gli ho
commissionato un concerto per flauto e arpa…
-
Chi è?
-
Mozart.
-
Chi?
-
Wolfgang Amadeus Mozart… pare sia stato un prodigio
da bambino, ha lavorato alla corte di Salisburgo… un tipo permaloso, non
l'avevo pagato e mi è venuto a chiedere i soldi… vorrebbe avere un incarico
come organista, vi
assicuro che ha talento…
-
Mozart… non mi dice granché… a parte i miei problemi…
Mozart ripartì da Parigi nel settembre del 1778 senza essere ricevuto da
Maria Antonietta. Il concerto originariamente destinato a Guines
e a sua figlia, è quello per flauto, arpa e orchestra in Do maggiore K. 299, che
oggi viene riproposto con successo e appartiene a chi vuole ascoltarlo . Quella notte invece, quando i suonatori riposero gli
strumenti, l'esiguo numero degli invitati dileguò scatenando invidie e
maldicenze che annullarono l'effetto della beneficenza fatta: la pubblica
opinione considerò un affronto non aver concesso a tutti quelle serenate e si
vendicò con piacere usando fandonie stuzzicanti. Prosperarono canzonette e
libelli satirici che raccontavano come l'erede al trono fosse figlio di Carlo
conte di Artois, fratello minore del re, e si aggiunse
che a metterli in giro fosse il secondogenito, l'invidioso Provenza.
Caroline Chevrier, andata a Versailles sperando di poter guadagnare
vendendo limonate
e tisane, tornò a Parigi su un carro insieme alla figlia Marianne e a un gruppo
di bambini che, dopo aver elemosinato,
facevano un chiasso infernale. A un tratto la madre con stupore udì Marianne intonare
con una voce più potente dei suoi sette anni :
Il figlio di Antonietta
è figlio di Carlino!
Gli altri tutti in coro:
Giro girotondo
Bastardo è il delfino!