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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il ragazzo che s'innamorò follemente di un cartellone pubblicitario, di Donato Altomare 02/07/2008
 

IL RAGAZZO CHE SI INNAMORO' FOLLEMENTE DI UN CARTELLONE PUBBLICITARIO

di Donato Altomare

 

 

 

         No, non è come pensate, non si tratta di uno squilibrato, o un feticista, no, credetemi, io l'ho conosciuto bene. Era un ragazzo come tutti gli altri, intelligente al punto giusto, bravo... come migliaia di altri.

         Ho fatto la sua conoscenza anni addietro, a causa di una cagna che aveva morsicato al petto un ragazzo della mia classe durante una visita scolastica ai Sassi. La cagna aveva partorito da poco e quando vide intorno alla sua tana decine di ragazzini che saltavano e si rincorrevano da ogni parte festanti probabilmente ha pensato che fossero in pericolo i suoi cuccioli. Ed ha assalito il ragazzo più vicino. Ma questa è un'altra storia. Serve soltanto per dire che è stata in quella occasione che ho conosciuto. Lui lavorava al Pronto Soccorso della sua città. Medicò il ragazzo sfortunato e compilò tutte le scartoffie necessarie. E dovetti tornare da lui un paio di volte, giusto per accorgermi che era un super appassionato di racconti fantastici. Proprio come me.

         Io non sono originario della sua terra, ma ero a Matera da sei mesi come insegnante. E ci sarei rimasto ancora a lungo, senza una scadenza precisa, visto che per il momento un trasferimento in terra di Bari pareva del tutto impossibile. Così cominciammo ad andare insieme in libreria, a cinema, dietro qualche ragazza. Ne conoscemmo un paio che… ma non c'entra nulla con la mia storia.

         Tragica, purtroppo.

        

Gli fu fatale quel giorno che, come d'incanto, ci trovammo di fronte il gigantesco manifesto. Raffigurava uno splendido seno avvolto in capelli bagnati. Il volto della donna si intravedeva appena chinato di lato in un pudore sensualissimo. Era il seno più incredibilmente perfetto che avessimo mai visto, anzi, che avessimo mai soltanto immaginato.

         Su di lui le ragazze dei cartelloni pubblicitari avevano un'attrazione molto particolare, ne rimaneva sempre molto affascinato, ma a me non la davano a bere. Quelle donne non esistevano, erano una specie di... montaggio, perché donne così perfette, con visi da sette meraviglie uniti a corpi da infarto, non potevano esistere davvero, sarebbe stato un attentato alla salute pubblica vederle andare in giro.

         Lui scuoteva il capo e sorrideva.

“Non esistono in questo sud bigotto e mezzo addormentato,” diceva sempre rispondendo al mio scetticismo “ma se vai nelle grandi città... lì sì che ci sono.

         “No,” obiettavo io “è tutto un imbroglio. Anche qui ci sono ragazze molto belle, a volte straordinarie, ma quelle, quelle… da favola… non esistono, le si fanno diventare tali. Con un po' di trucco e qualche operazione di taglia e cuci nelle immagini ne verrebbe fuori una sventola come questa. La pubblicità... è capace di tutto.” Quasi la pubblicità fosse un qualcosa di vivo, dotata di propria volontà.

         “E' tutta invidia,” insisteva lui “è come la storia della volpe e dell'uva acerba.”

“Sciocchezze!”

“Scommettiamo?”

         “Sì, scommettiamo.”

        

         Si scommetteva su tutto, ricordo. Senza una vera e propria posta. In genere era il caffè della mattina quando ci trovavamo al solito bar prima di andare al proprio lavoro. Chi perdeva pagava la consumazione.

         Era un modo molto economico e piuttosto divertente di passare il tempo. Specie per le battutine ironiche che doveva ‘subire' il perdente. Ma la questione del cartellone pubblicitario non terminò subito, anche perché bisognava dimostrare chi avesse ragione.

E così passavano molte delle nostre serate fermi di fronte al cartellone, quello del seno bagnato per capirci, lui estasiato, io ad osservarlo attentamente in cerca di qualche traccia di mistificazione.

“Guarda... l'occhio sinistro sembra più lungo... e poi il collo... vedi, per me è un fotomontaggio.”

 Lui sorrideva e scuoteva il capo. Come si fa con i ritardati.

 

         E poi si passava ad un altro cartellone, con una donna sdraiata a pubblicizzare una sconosciuta bibita. E ad un terzo. Poi fu una specie di caccia alle donne dei cartelloni. Soltanto allora ci accorgemmo che erano tante e che per pubblicizzare anche un collare per cani si usavano donne formose e ammiccanti.

         Io ne ridevo divertito. Ma lui aveva cominciato ad avere una sorta di attrazione morbosa per una delle ‘modelle', quella del primo cartellone che lui giurava di aver visto in altre due pubblicità. Io cominciai anche a prenderlo benevolmente in giro, la sua frenetica eccitazione mi divertiva un mondo. Ma mi sarei comportato diversamente se avessi soltanto immaginato a che punto di infatuazione lui fosse giunto. Ormai ogni sera si girava la città in caccia. Chi trovava un cartellone nuovo aveva diritto alla brioche oltre che al caffè.

         Ma la scommessa ancora non aveva un vincitore.

 

         Quando l'hanno ritrovato morto, suicida, tutti sono rimasti increduli. Nulla, dicevano, l'avrebbe potuto far soltanto supporre. In fondo era un ragazzo normale, senza grilli per la testa, senza insoddisfazioni. Insomma, un ragazzo... come migliaia di altri. Tranquillo.

         Soltanto io avevo capito tutto.

         Certo, il mio amico era stato un ragazzo tranquillo, ma forse un po' troppo sognatore. Non aveva lasciato nulla a spiegare il suo gesto insano, eppure qualcosa c'era, sfuggita a tutti. Un giornale, e in fondo alla pagina qualcosa che soltanto io avevo notato. Proprio la foto del cartellone con lo splendido seno. E a fianco un articolo. Una specie di scoop. Qualcuno aveva scoperto che la modella usata per quella pubblicità aveva il seno rifatto, gonfiato con il silicone. E le labbra ritoccate.

         “Te l'avevo detto, testone!” Borbottai al suo corpo esanime disteso sul letto. Poi uscii in lacrime. 

Dispiaciuto.

         Per una scommessa vinta che non avrei voluto mai vincere in quel modo.

 

 
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