IL SEDERE DELL'ANGELO
di Valentino
Rocchi
Adesso, per favore, quando vi dirò che lavoro
faccio non cominciate con gli scongiuri! M'indispongono e dimostrano
l'ignoranza di coloro che si rifiutano di capire. Si tratta del lavoro più
sereno e tranquillo del mondo. Che si svolge in un ambiente di quiete e di pace
assolute.
Sì: io faccio il custode del camposanto!
Ve l'avevo chiesto: niente scongiuri. Per favore!
Anche perché contrasterebbero con la mia personale soddisfazione. Quella di
svolgere un lavoro facile, tranquillo in una posizione autorevole. Chiarisco:
io non faccio il becchino o l'affossatore. Quindi io non adopero le braccia. Io
non sudo. Io faccio l'impiegato del cimitero. Ho il compito di tenere
aggiornato un registro dove segno le entrate e le… no! Le uscite no, non le
segno. Perché non ce ne sono, ovviamente.
Me
ne sto tutto il santo giorno sotto il loggiato dell'ingresso ad osservare i
frequentatori del camposanto. Impettito, con la divisa grigia tutta bordata col
cordoncino viola, il berretto piatto con lo stemma come quello degli ufficiali,
e le mostrine bianche e rosse dei colori del comune. E mi hanno detto perfino
che durante l'orario di servizio sono un pubblico ufficiale! Lo capite?
Pubblico Ufficiale!
Se
potesse vedermi la mia mamma che diceva che solo lo studio può portare al
successo! Chissà che soddisfazione!
Immaginate:
mi hanno concesso la casa di bando proprio lì. Quieta e silenziosa. Quindi casa
e lavoro senza nemmeno il pericolo di prendere la pioggia per recarmici. Clienti tranquilli e senza grilli per il capo.
Qualche mancia da raggranellare qua e là fornendo qualche indicazione.
Lo
credereste? I più generosi sono gli amanti! Non avendo potuto seguire le
esequie, devono per forza rivolgersi a me per avere indicazioni e poter pregare
sulla salma del caro estinto o estinta, a seconda del
caso. A volte sono costretto a fingere indifferenza quando a chiedermi
l'indirizzo, gli amanti che si presentano in successione sono più d'uno. In
quel caso cerco di consigliare loro un orario perché non s'incontrino: uno al
mattino… uno alla sera… e così via. Tanto per evitare grane.
Devo
confessare: non è che tutto fili sempre liscio. Di quando in quando qualche
scocciatura la rimedio anche. Ma fino ad oggi sono sempre riuscito a
sbrigarmela da solo.
Qualcuno
protesta per una lampada votiva che s'è fulminata, qualcuno si lamenta perché i
fiori si sono subito appassiti, a differenza di quelli di fronte che sono
durati più a lungo, attribuendone la responsabilità al fioraio. Scordando
magari d'essere stati loro stessi a pretendere un bel loculo soleggiato.
Fatti
di poco conto, insomma, che risolvo da solo.
Ma adesso il problema s'è fatto più grave. E io
dovrei possedere la saggezza di re Salomone per venirne a capo senza far
scoppiare una guerra. Una guerra che solleverebbe un vero vespaio. Anche perché
motivo del contendere è un'opera d'arte!
Voi
lo conoscete tutti, quasi sicuramente, il signor Anselmo. Chissà quante volte
siete entrati, magari per partecipare all'acquisto di un regalo di nozze, nel
suo negozio di casalinghi, porcellane, cristalli, argenteria che apre le
vetrine proprio in piazza, vicino al municipio. Avrete sicuramente letto sui
giornali, perché ne hanno scritto a lungo sulle pagine della cultura,
dell'angelo che proprio lui ha fatto scolpire da un grande scultore, chiamato
apposta dalla città, per onorare la memoria della sua defunta consorte: la
signora Amalia.
Si
tratta di un angelo a grandezza d'uomo, di marmo bianco, bellissimo, quasi
trasparente, con le ali spiegate.
Qualcuno
ha voluto obiettare che per portare in cielo la povera signora Amalia sarebbe
stato più proporzionato un Boeing 707, a causa della sua stazza extra extra large.
La ricordate ristretta dentro il bancone della
cassa del negozio, con le dita a salsiccia a battere sul registratore che
fuoriusciva a fatica da sotto il seno straripante?
Fortunatamente
l'opera scultorea non le somiglia. I critici sono stati tutti concordi. Per
descriverla ed esaltarla hanno chiamato in causa certi scultori di un tempo che
si chiamavano Canova, Rodin,
Donatello… e chissà quanti altri ancora. Una scultura che mi procura già
qualche preoccupazione, perché vengono in visita critici d'arte e scolaresche.
Io veramente sarei contrario a fare entrare i visitatori più giovani: l'angelo,
infatti, non si presenta così etereo, spirituale ed efebico com'è
nell'immaginario collettivo. Si tratta invece di un angelo
femmina. Inequivocabilmente femmina! E che femmina! D'accordo, porta le
ali, ma tutto il resto è decisamente muliebre. Il velo che ne ricopre il corpo
scende adagiandosi alle curve dolci e conturbanti sottolineandole, anziché
nasconderle. Una vera provocazione!
Il
signor Anselmo è ben felice del risultato, e passa davanti a me orgoglioso,
quando entra al camposanto, perché sa d'essere diventato un benemerito del
luogo. Così tronfio che non mi degna più nemmeno di uno sguardo.
Ma,
ahimè, quella statua è stata capace di provocargli una grossa preoccupazione.
Una decina di giorni fa è corso da me trafelato:
«Qualcuno
tocca il sedere di quell'angelo della mia Amalia.»
Non
sono uno stupido: ho capito subito che non si trattava della povera defunta, ma
della statua di marmo.
«Ne
è certo?»
Mi
pregò di seguirlo.
L'angelo
è sistemato, sulla tomba, sopra una colonna che funge da piedistallo, così che
il suo posteriore risulta appena più in alto del viso di un visitatore.
Purtroppo
era vero. Su quella rotondità così poco eterea e celestiale c'era, netta,
decisa, inconfondibile, l'impronta di una mano! Secondo il signor Anselmo
chiunque l'avesse lasciata aveva commesso un'azione sacrilega, e doveva essere
punito in conseguenza.
«E, mi creda, non è la prima volta che
succede! Credevo di aver sbagliato, ma questa volta, guardi bene, non ci sono
più dubbi! Bisogna chiamare la polizia», disse il signor Anselmo, «perché
prendano le impronte digitali e ritrovino quel depravato!»
«E
poi, le impronte, con quali le confrontano?», obiettai, «con tutti quelli che
vengono al cimitero?». Anche io leggo i libri gialli, e certe cose le so.
«E
allora?» chiese lui grattandosi il mento, perplesso.
«Lei dice che non si tratta della
prima volta, vero? Allora aspettiamo tentando di cogliere quel pervertito
quando ripeterà il gesto.»
Lo
trovammo! Accidenti se lo trovammo! Anzi, lo trovai proprio io dopo un
appostamento che non durò nemmeno a lungo. Il colpevole non era del tutto un
estraneo all'ambiente cimiteriale. Si trattava, infatti, di uno dei muratori
che stanno costruendo i nuovi loculi in fondo al campo cinque.
Per questo lasciava le impronte! Quando passava a compiere il suo gesto, aveva
le mani sporche di cemento o di gesso.
Lo
trattenni ed avvertii il signor Anselmo. Pensavo che il poveretto, che avevo
colto con le mani nel… sacco, avrebbe protestato e cercato di sottrarsi al
giudizio. Invece rimase lì immobile, tranquillo, senza battere ciglio.
«Lei
non ha nessun diritto…», esordì il signor Anselmo puntandogli contro il dito
teso.
Mi
aspettavo il volto contrito e penitente dell'accusato.
Ebbi
invece la sorpresa:
«E
chi l'ha detto?»
«Io!»
ribatté l'altro. «Quella è la tomba di mia moglie e la statua l'ho pagata io!»
«Ma chi l'ha pagata più cara? Io o
lei?»
Questa
era davvero nuova. Per me e anche per il signor Anselmo, che volle precisare,
sfregando il pollice e l'indice:
«Sapesse lei quanto m'è costato quello
scultore! E lei adesso viene a dire…»
«Che
è costato anche a me!»
«E
allora si spieghi, dunque!»
«Lei
sa, per caso, chi ha posato per quell'angelo?»
«Una modella, penso. E penso anche che
con quello che l'artista mi ha fatto spendere l'abbia anche largamente
compensata.»
«Non solo non l'ha pagata, ma se l'è anche portata
via!» Sembrava stesse per piangere. «Era mia moglie!»
Finalmente
esplose in un singhiozzo liberatorio:
«E
lei vorrebbe proibirmi di lasciarmi concedere, da mia moglie, il piccolo
piacere che ancora può offrirmi!»
Ne
nacque una discussione animata e a volte perfino furiosa. Ciascuno dei due
tentava d'accampare dei proprio diritti che
l'avversario intendeva negare. Quindi si appellarono alla mia veste di pubblico
ufficiale per avere un giudizio al di sopra delle parti.
Cosa dicevo? Bisognerebbe possedere la saggezza di
re Salomone! Io ho provato a ragionarci sopra e mettere i diritti di ciascuno
dei due su due piatti di una bilancia presa a prestito da una giustizia che
s'erge sulla tomba di un giudice. Ho messo sul primo i soldi del signor Anselmo
e sull'altro le corna del muratore. E la bilancia non s'è mossa.
Non
potreste darmi un consiglio voi?