Il mistero della boschina
Racconto di Marniko
A mio nonno
Angelo
“Muore lento,
quest'uomo,
muore lento
come se volesse
gustarsela,
sgranarla
sotto le dita
l'ultima vita
che ha.”
(da Oceano Mare, Alessandro
Baricco)
A mio nonno
Angelo, il padre di mio padre, piaceva stare davanti al fiume, in quel tratto
di Po. Sentirlo scorrere nella sua lentezza estiva e annusare i profumi della boschina, quella nicchia di terra riparata del fiume
e avvolta nel mistero.
Il fatto
era che ormai mio nonno non ci vedeva un granché. Forse per l'età. Forse perché
non aveva mai voluto farsi operare di cataratta che, prima all'occhio sinistro
poi a quello destro, progressivamente gli aveva opacizzato quasi completamente
il cristallino.
«Questa è la
riva del fiume, il grande fiume.» Mi disse un
pomeriggio. «E' il luogo che ci fa esistere.»
Avevo
appena compiuto sette anni. Non capii quello che volesse dirmi con “E' il luogo
che ci fa esistere”. Lo compresi più avanti, quando mio nonno non era più tra
noi. E piansi quel giorno. Tra i pioppi bianchi della boschina.
«Allora
ascolta bene, nano. Tu devi guardare dopo la boschina e quando vedi una petroliera, me lo dici.
Capito, nano?»
Petroliere
non ne vidi passare. Eravamo là da più di due ore. In silenzio. Si sentiva solo
il rumore dell'acqua e il fruscio dei pioppi. All'ombra della boschina, un caldo pomeriggio di giugno inoltrato.
«Nano…»
fa mio nonno, accendendosi una sigaretta.
Prima di
morire, a mia nonna Angiolina aveva fatto giurare di
mettere nella bara un pacchetto di Nazionali senza filtro e una scatola
di fiammiferi svedesi insieme a una bottiglia di lambrusco, “ma
di quello buono, mi raccomando…” aveva aggiunto.
«Nano non
fissare troppo. Rovina la vista. Per non parlare del resto. La senti dal rumore
quando passa la petroliera…»
Non parlai.
Rimasi in silenzio, per sentire prima il rumore della petroliera.
«Lo sai, nano…»
continuò mio nonno dopo un bel po', «che là in fondo nella boschina,
tra gli olmi e le querce e i pioppi, ci abita il diavolo?»
Non
risposi. Adesso per la paura, più che per avvertire il rumore improvviso della
petroliera.
Il modo più
veloce per scacciare la paura era quello di pregare, mi diceva spesso mia
nonna. Ma io non le ho mai creduto. Mio nonno invece, da buon socialista,
non credeva davvero nell'esistenza di Dio.
«Proprio
lui, il diavolo…» riprese mio nonno, con voce lenta e
resa rauca dal troppo fumare.
«Veramente! Nano,
il diavolo abità laggiù, nell'isola della boschina. Lo senti questo fruscio? Ascolta bene, nano,
non aver paura… E' lui, il diavolo, che fa muovere le fronde dei pioppi, cerca
un'anima buona che vada a fargli compagnia. E quando non ne può
veramente più, soffia forte e si mette a correre e a correre tra un pioppo e
l'altro, su e giù per la boschina… Si mette a
fare il diavolo!»
Io stavo in
silenzio. Stavo lì con gli occhi sbarrati, a fissare mio nonno.
E lo
ascoltavo parlare del fiume, del diavolo che non sa chi è e non sa se esiste ma
sa che c'è, della vecchina che era andata a trovarlo con una barchetta
remando tutta una notte, ma non riusciva mai a raggiungere l'isola.
«Sai, nano…»
disse poi mio nonno. «Dove il diavolo mette un piede, zac, spunta un pioppo. Per questo sono tanti i pioppi che
ci sono nella boschina. Sono i passi del
diavolo. Uno più grande dell'altro… Senti il rumore dei passi tra i pioppi… Eh,
lo senti, nano?»
Rimasi in
silenzio, là a tendere le orecchie per sentire quella voce che mio nonno
chiamava per nome.
Ma chi mai
può chiamare, pensai, se l'unico rumore che mi giungeva era
il fischio sottile e acuto del vento tra i pioppi. A me poi, la faccenda
del diavolo piaceva niente.
«Mi fa paura, una cosa che non si fa vedere»
«E di
cosa?…» rispose mio nonno.
Silenzio.
Dopo mio
nonno si accese con uno svedese l'ennesima sigaretta. E disse:
«Vedi
niente? Laggiù… eccola laggiù! Guarda bene, nano,
la senti la petroliera?»
Smisi anche
di respirare per un attimo, per sentire meglio, ma percepivo appena il sospiro
del vento.
«Sospira sempre»,
aveva detto mio nonno un istante prima con stupore. «Sospira come se avesse
sempre un peso sul cuore.»
«Il tempo
vero, nano, sta tutto qui…» aveva aggiunto quasi subito. «Tra questi
pioppi, in questa boschina.»
Più avanti,
piano piano, diventando grande, mi resi conto che
cosa avesse voluto dire mio nonno, là quella volta e le altre ancora, con la storia
del diavolo, che non esiste ma che c'è, e del tempo che gli dava
affanno.
Il tempo
che ci avvolge e ci sovrasta come la paura del diavolo. Il tempo senza tempo,
quello che ci precede e ci segue; ma anche il tempo dell'umiltà, quello
dell'ascolto. Il tempo che ci accompagna nei giorni. Il tempo della morte.
«Nonno
Angelo?…» dissi a voce bassa. «Ma ci rimaniamo tutto il pomeriggio, qua?»
Silenzio.
«Dài nano, adesso andiamo…» disse mio nonno quando
finì la sigaretta. Si aggiustò il cappello in testa. «La
nonna sarà in pensiero. Ma non dirgli che siamo venuti in boschina,
se no la sbraita.»
A me
piaceva tornare a casa con la barca, verso sera. Remare insieme a mio nonno
Angelo. Mi sentivo grande. E anch'io esistevo, perché era il fiume a
volere così.
Ancora
adesso, appena posso e quando ho bisogno di sentire che anch'io esisto per
davvero, ritorno in boschina e guardo il
fiume. Anche se ora è cambiato ed è un'altra cosa. A volte mi pare persino di
sentire la voce di mio nonno Angelo che mi racconta ancora del diavolo, della vecchina
e poi la voce del diavolo, che “soffia forte e si mette a correre e a correre
tra un pioppo e l'altro, su e giù per la boschina…”.