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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Caffelatte e brioche, di Enzo Maria Lombardo 22/08/2008
 

Caffelatte e brioche

di Enzo Maria Lombardo

 

 

Non ci volle molto ad Elisa ad accorgersi che quegli sguardi che s'alzavano rapidi dal tavolo vicino erano per lei. Nascevano da un battito di ciglia, attraversavano un paio di lenti non troppo scure e si posavano su di lei: li sentiva scorrere sul viso, sui capelli, scivolare sul collo e sull'attacco dei seni.

Dapprima volle crederlo, come per un gioco da fare con se stessa, poi volle sperarlo e quando, infine, se ne convinse, ebbe paura.

Mentre le sue dita spazzavano nervose le poche briciole rimaste sul tavolo e appallottolavano le bustine di zucchero, distolse lo sguardo e finse di scrutare qualcosa in fondo alla piazza. Anche così la presenza di quegli occhi era palpabile: quell'uomo la stava sezionando; quasi sentiva un filo invisibile strisciarle sul naso che sapeva malfatto, sulle rughe attorno agli occhi, sulla bocca troppo sottile.

Allora serrò forte gli occhi e nell'intimità protetta da quel buio punteggiato di strisce e punti luminosi sperò di perdere quel tenue ma troppo intimo contatto. C'è tanto da guardare nella piazza, si disse. Perché proprio me?

Così riaprì gli occhi ma ritrovò quella lama di luce balenare ancora su di lei, più certa, più viva.

Dovrei alzarmi e andarmene - pensò - Sì, me ne devo andare. Non devo neppure volgere la testa, mentre m'alzo. Potrebbe sembrare che... che mi sia accorta di qualcosa, che abbia magari sperato qualcosa. Sperato? Ma è solo un ragazzo! Potrebbe essere un mio allievo. Potrei ritrovarmelo in facoltà, tra qualche giorno, oltre la scrivania, a porgermi il libretto per l'esame. Mentre adesso... adesso è lui che è in cattedra. Mi scruta, mi esamina.

 

Pensando così, Elisa sentì uno svuotamento interiore che l'impaurì. Improvvisamente si vide seduta a quel tavolino, solitaria turista con accanto il fascio dei depliant, la cartina stradale con i monumenti cerchiati in rosso; guardò i poveri resti del suo pranzo a caffellatte e brioche; immaginò il suo pomeriggio tra gallerie e musei e se stessa costruita sull'immagine della spensierata allegria degli altri, delle comitive rumorose, delle coppie sorridenti. Fra un po' avrebbe sorriso anche lei, compiaciuta, attenta, interessata, falsa. 

Poi rivide quell'estranea che veniva riflessa nelle vetrine quando lei si soffermava a guardare. Succedeva sempre.  Solitario manichino evanescente tra vestiti griffati. E risentì ancora quel filo di sguardo sulla pelle che la sezionava dal tavolo vicino. Impietoso e crudele. Proprio come quelle vetrine maledette che le falsavano l'immagine ad ogni passaggio.

E una parola, breve, decisa, staffilante, le si presentò alla mente: “Perché?” Non era ancora completo il suo pensiero. Non aveva una dimensione, un contenuto.

O ne aveva parecchi: e tutti insieme facevano volare sillabe e accenti come mosche impazzite. Un brulichio fastidioso dietro la fronte.  

Perché essere ingannata da uno specchio, da una vetrina, da uno sguardo? Perché quel vuoto, dentro? Perché sentirsi come un guscio, come una foglia morta a galleggiare sull'acqua, impaurita anche delle più piccole increspature di un'onda?

Sorrise. Domani questi pensieri sarebbero scomparsi inseguiti dalle lancette dell'orologio. Sconfitte, infilzate da quelle lancette.

Domani... In Facoltà. All'Istituto. La corsa serale al supermercato. Oh, domani! Le ore e i minuti l'avrebbero accompagnata, protetta, nella sua normalità.

Normalità? Quella parola roteava inflessibile nel suo cervello e quelle mosche che brulicavano dietro la sua fronte sembrarono esserne corroborate.

Forse era penetrato qualcosa dentro di lei assieme alla libera docenza, ai concorsi, alla speranza della cattedra? Ma che..! La docenza, i concorsi, la cattedra non erano forse parte della sua vita normale? Aveva aspettato tanto; tanto lottato, sofferto, dimenticato... Tante cose volutamente abbandonate,  distrutte, quasi fossero ostacoli inopportuni per arrivare alla sua normalità.

 

Normalità: con l'indice fece fare un giro alla tazzina vuota sul piattino: forse giro anch'io così - pensò - sempre in circolo... Spinta da qualcosa che si è impadronito delle mie viscere facendole avvizzire assieme alla pelle, ai capelli, ai seni. Ecco cos'è: qualcosa ha davvero cancellato l'Elisa, quella vera,  e l'ha sostituita con la strega che mi segue e mi osserva dalle vetrine.

E, così pensando, rivide, tra i ricordi archiviati e non sepolti, se stessa in notti insonni, e qualcuno accanto, un volto appena accennato, anzi quasi solo il senso di un volto e del calore di un braccio attorno alle spalle, tra cuscini che sapevano di sudore.

Ricordò una voce allegra di ragazzo. Ricordò un nome che le squillò dentro come la nota acuta di una tromba. Risentì una parola dolce, ripetuta, impastata nel dormiveglia; risentì la forza e il calore di dita maschili tra le sue. E non sorrise al senso assurdo di lunghi discorsi sui tanti domani mai sorti.

Ecco l'Elisa - pensò. E' rimasta laggiù, tra i ricordi, i cuscini, le lenzuola che sanno di sudore. E quegli assurdi domani sono ancora lì, nascosti nella notte.

 

Strizzò gli occhi e una grossa lacrima cadde sul piattino vuoto, scivolò sulla carta da pasticceria e si posò, roteando, esattamente al suo centro come una perla rilucente.

Colpita dal sole, quella goccia le rimandò strani bagliori colorati. E bagliori colorati salirono anche dal bicchiere, pieno a metà di acqua minerale e dall'incavo del cucchiaino appena macchiato di spuma di latte.

Erano arcobaleni minuscoli, piccoli raggi colorati che non aveva notato prima: come se fosse cambiata appena adesso l'angolazione del sole. E quella luce nuova fece risplendere anche i colori delle bandiere sui merli dell'antico palazzo, i cappellini dei turisti e i palloncini dei bambini che vagavano in gruppo sulla piazza.

Colori e forme che non aveva notato prima. La piazza era grigia, poco fa. Le bandiere erano stracci fermi scoloriti; la gente si trascinava appesantita dai fagotti. Poco fa nessun bambino aveva il cappellino colorato o lei non l'aveva notato.

 

Si alzò. Lasciò cadere alcune monete sul tavolo e si avviò verso il centro della piazza. Il sole faceva brillare le pietre levigate del selciato ed era bello poter camminare su un tappeto di luce.

Veniva quasi voglia di sorridere.

 

 

 
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