Caffelatte
e brioche
di Enzo Maria Lombardo
Non ci volle molto ad Elisa ad
accorgersi che quegli sguardi che s'alzavano rapidi dal tavolo vicino erano per
lei. Nascevano da un battito di ciglia, attraversavano un paio di lenti non troppo
scure e si posavano su di lei: li sentiva scorrere sul viso, sui capelli,
scivolare sul collo e sull'attacco dei seni.
Dapprima volle crederlo, come per un
gioco da fare con se stessa, poi volle sperarlo e quando, infine, se ne
convinse, ebbe paura.
Mentre le sue dita spazzavano nervose
le poche briciole rimaste sul tavolo e appallottolavano le bustine di zucchero,
distolse lo sguardo e finse di scrutare qualcosa in fondo alla piazza. Anche
così la presenza di quegli occhi era palpabile: quell'uomo la stava sezionando;
quasi sentiva un filo invisibile strisciarle sul naso che sapeva malfatto,
sulle rughe attorno agli occhi, sulla bocca troppo sottile.
Allora serrò forte gli occhi e
nell'intimità protetta da quel buio punteggiato di strisce e punti luminosi
sperò di perdere quel tenue ma troppo intimo contatto. C'è tanto da guardare
nella piazza, si disse. Perché proprio me?
Così riaprì gli occhi ma ritrovò
quella lama di luce balenare ancora su di lei, più certa, più viva.
Dovrei alzarmi e andarmene - pensò -
Sì, me ne devo andare. Non devo neppure volgere la testa, mentre m'alzo.
Potrebbe sembrare che... che mi sia accorta di qualcosa, che abbia magari
sperato qualcosa. Sperato? Ma è solo un ragazzo! Potrebbe essere un mio
allievo. Potrei ritrovarmelo in facoltà, tra qualche giorno, oltre la
scrivania, a porgermi il libretto per l'esame. Mentre adesso... adesso è lui
che è in cattedra. Mi scruta, mi esamina.
Pensando così, Elisa sentì uno
svuotamento interiore che l'impaurì. Improvvisamente si vide seduta a quel
tavolino, solitaria turista con accanto il fascio dei
depliant, la cartina stradale con i monumenti cerchiati in rosso; guardò i
poveri resti del suo pranzo a caffellatte e brioche; immaginò il suo pomeriggio
tra gallerie e musei e se stessa costruita sull'immagine della spensierata
allegria degli altri, delle comitive rumorose, delle coppie sorridenti. Fra un
po' avrebbe sorriso anche lei, compiaciuta, attenta, interessata, falsa.
Poi rivide quell'estranea che veniva
riflessa nelle vetrine quando lei si soffermava a guardare. Succedeva
sempre. Solitario manichino evanescente
tra vestiti griffati. E risentì ancora quel filo di sguardo sulla pelle che la
sezionava dal tavolo vicino. Impietoso e crudele. Proprio come quelle vetrine
maledette che le falsavano l'immagine ad ogni passaggio.
E una parola, breve, decisa,
staffilante, le si presentò alla mente: “Perché?” Non era ancora
completo il suo pensiero. Non aveva una dimensione, un contenuto.
O ne aveva parecchi: e tutti insieme
facevano volare sillabe e accenti come mosche impazzite. Un brulichio
fastidioso dietro la fronte.
Perché essere ingannata da uno
specchio, da una vetrina, da uno sguardo? Perché quel vuoto, dentro? Perché
sentirsi come un guscio, come una foglia morta a galleggiare sull'acqua,
impaurita anche delle più piccole increspature di un'onda?
Sorrise. Domani questi pensieri
sarebbero scomparsi inseguiti dalle lancette dell'orologio. Sconfitte,
infilzate da quelle lancette.
Domani... In Facoltà. All'Istituto. La corsa serale al supermercato. Oh, domani! Le ore e i
minuti l'avrebbero accompagnata, protetta, nella sua normalità.
Normalità? Quella
parola roteava inflessibile nel suo cervello e quelle mosche che brulicavano
dietro la sua fronte sembrarono esserne corroborate.
Forse era penetrato qualcosa dentro
di lei assieme alla libera docenza, ai concorsi, alla speranza della cattedra?
Ma che..! La docenza, i concorsi, la cattedra non
erano forse parte della sua vita normale? Aveva aspettato tanto; tanto lottato,
sofferto, dimenticato... Tante cose volutamente abbandonate, distrutte, quasi fossero ostacoli
inopportuni per arrivare alla sua normalità.
Normalità: con l'indice fece fare un giro alla
tazzina vuota sul piattino: forse giro anch'io così - pensò - sempre in circolo...
Spinta da qualcosa che si è impadronito delle mie viscere facendole avvizzire
assieme alla pelle, ai capelli, ai seni. Ecco cos'è: qualcosa ha davvero
cancellato l'Elisa, quella vera, e l'ha sostituita con la strega che mi
segue e mi osserva dalle vetrine.
E, così pensando, rivide, tra i
ricordi archiviati e non sepolti, se stessa in notti insonni, e qualcuno
accanto, un volto appena accennato, anzi quasi solo il senso di un volto e del
calore di un braccio attorno alle spalle, tra cuscini che sapevano di sudore.
Ricordò una voce allegra di ragazzo.
Ricordò un nome che le squillò dentro come la nota acuta di una tromba. Risentì
una parola dolce, ripetuta, impastata nel dormiveglia; risentì la forza e il
calore di dita maschili tra le sue. E non sorrise al senso assurdo di lunghi
discorsi sui tanti domani mai sorti.
Ecco l'Elisa - pensò. E' rimasta
laggiù, tra i ricordi, i cuscini, le lenzuola che sanno di sudore. E quegli
assurdi domani sono ancora lì, nascosti nella notte.
Strizzò gli occhi e una grossa
lacrima cadde sul piattino vuoto, scivolò sulla carta da pasticceria e si posò,
roteando, esattamente al suo centro come una perla rilucente.
Colpita dal sole, quella goccia le
rimandò strani bagliori colorati. E bagliori colorati salirono anche dal
bicchiere, pieno a metà di acqua minerale e dall'incavo del cucchiaino appena
macchiato di spuma di latte.
Erano arcobaleni minuscoli, piccoli
raggi colorati che non aveva notato prima: come se fosse cambiata appena adesso
l'angolazione del sole. E quella luce nuova fece risplendere anche i colori
delle bandiere sui merli dell'antico palazzo, i cappellini dei turisti e i
palloncini dei bambini che vagavano in gruppo sulla piazza.
Colori e forme che non aveva notato
prima. La piazza era grigia, poco fa. Le bandiere erano stracci fermi
scoloriti; la gente si trascinava appesantita dai fagotti. Poco fa nessun
bambino aveva il cappellino colorato o lei non l'aveva notato.
Si alzò. Lasciò cadere alcune monete
sul tavolo e si avviò verso il centro della piazza. Il sole faceva brillare le
pietre levigate del selciato ed era bello poter camminare su un tappeto di
luce.
Veniva quasi voglia di sorridere.