A lui
piaceva stare là così, a pensare alla morte. Lo faceva stare bene. Se lo diceva
ogni volta, anche se la cosa gli appariva alquanto stravagante.
Era come
guardarsi allo specchio e osservarsi attentamente, con quella forma maniacale
che gli apparteneva sin da bambino.
Sapeva di
essere diverso dagli altri suoi coetanei. Però non gli importava. Anzi più se
lo diceva, di non assomigliare loro affatto, e più si convinceva che il
sentirsi diverso dentro era una sensazione lontana, che non poteva allora
comprendere appieno ma sentiva crescergli dentro con
il passare degli anni.
Anche quel
pomeriggio piovoso ai primi di novembre, chiuso nella sua stanza con un album
dei Cure diffuso a palla dallo stereo, gli occhi puntati al soffitto macchiato
dall'umidità e scrostato in più punti, sdraiato di traverso sul letto egli
pensava alla morte. Pensava a quanto bello sarebbe stato varcare il confine
assoluto e smarrirsi nella cupa trasparenza dell'aldilà. E nella fantasia egli
immaginava la morte così: un ragazzo dagli occhi neri e i capelli corvini,
esile e dinoccolato; e si vedeva insieme a quella figura percorrere i paesaggi
eterei e grigi del punto di non ritorno, tenendosi per mano.
Già, il
punto di non ritorno. Egli amava il punto di non ritorno. Come desiderava il
ragazzo dagli occhi neri, che aveva profondi e ampi in quel viso scavato nei
tratti. Dio, come gli piaceva fissare nella mente le emozioni di quei momenti
di abbandono… Di tanto in tanto si infilava la mano dentro ai jeans. Si toccava
e piangeva. Era un pianto rivolto più verso dentro che verso
fuori: il segno grande e luminoso di un amore, “come una cosa viva, lanciata a
bomba contro l'ingiustizia”. (1)
All'improvviso
egli sentì per la prima volta che il desiderio di morte di tutti i giorni
sublimava qualcosa di più ampio, di largo respiro: il desiderio di sesso. La
voglia inconfessabile di lasciarsi possedere dal ragazzo dagli occhi neri,
emblema della vita nella morte. E nella sua immaginazione, nel metterlo a fuoco
meglio, quel ragazzo assomigliava sempre più a Brandon
Lee nel film Il Corvo; e si vedeva con lui,
accompagnati da un magico corvo nero nel loro procedere nell'oscurità.
A tratti
egli fantasticava persino di sentire il calore del corpo del ragazzo; ne
avvertiva addirittura l'odore. La passione con la quale allora immaginava di passargli la mano tra i lunghi capelli corvini
era qualcosa di concreto, ch'egli percepiva in tutta la sua interezza. Più di
una volta si sentirà invadere dalla consapevolezza di una complicità spietata,
dalla gioia inquietante di provare un'intesa. Avvertirà anche la carezza
ritmica del piacere, la carica erotica che toglie il respiro, lo spasmo che
dissolve individualità e memoria…
Fu allora,
nell'istante sublime rubato all'eternità, ch'egli fu certo di stringere a sé il
viso del ragazzo e gli si appoggiò cercando la dolcezza dell'antico rifugio,
del contatto più del desiderio. E tutto si presentò in un baleno alla sua
mente: i ricordi della sua diversità, lo spirito di rivolta, l'odio implacabile
nei confronti di un mondo fuori incomprensibile e improbabile esattamente come
il suo mondo dentro, altrettanto incosciente e ingannatore…
A un
tratto il frastuono da discoteca della stanza di colpo si arrestò.
Intorno ogni cosa aveva iniziato a sostituirsi alla precedente, in un vorticoso
rincorrersi. Tutto si stava frantumando in immagini che nascevano per iperbole caleidoscopiche.
Il corvo
aveva nel frattempo spiccato il volo e le struggenti memorie d'amore lasciarono
il posto a oscillanti sensazioni di vuoto.
Egli urlò
sobbalzando sul letto. Sudato, sfinito.
La coperta
era stropicciata e i cuscini erano uno sopra l'altro. E sul lenzuolo gli parve
di intuire vagamente il profilo di un corpo.
Si guardo
in giro: tutto era dannatamente consueto.
Forse era stato un pensiero apparsogli in sogno. Solo un pensiero che
improvvisamente si era dileguato al risveglio… E si trovò nuovamente solo.
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(1) tratto da “La locomotiva”, Freancesco
Guccini