Il fracasso delle giostre si espandeva in larghi
cerchi, viaggiando nell'aria, andando a solleticare le orecchie attente dei
fanciulli e dei ragazzi. Richiamo da pifferaio magico: venite.
Mattia
aveva sette anni. Non era mai stato portato alle giostre e dalla finestra del
quarto piano di un vetusto palazzo, osservava incantato le persone sedute sulla
ruota panoramica. Salivano verso il cielo, tanto in alto da riuscire ad
abbracciare le nuvole.
Erano
giorni che spiava le attività colorate, chiassose, movimentate, del luna parck. Un mattino era
arrivato sotto casa sua, con le attrazioni inscatolate nei
grossi camion e che, una volta montate, si erano rivelate ai suoi occhi
come giochi giunti da un mondo fatato.
Il bambino
appoggiò le mani al vetro della finestra, lasciando due impronte unte. Aveva
sottratto dal borsellino di sua madre qualche spicciolo e, poi, aveva aspettato
paziente che lei uscisse per recarsi al lavoro.
Lo aveva
baciato sulla fronte, con nell'alito l'odore forte del
caffè: “Fai il bravo”.
“Sì,
mamma”.
Erano
dieci minuti che era andata via e lui era ancora lì: con lo sguardo oltre il
vetro, a mangiarsi fette di quel mondo incantato, esposto sotto al sole caldo
del pomeriggio.
Finalmente
si decise e scappò fuori. Per strada stette attento alle automobili e
attraversò. Scansandole, finse che fossero dei mostri venuti da un altro
pianeta.
Giunto sul
marciapiede opposto superò un autobus di linea fermo a caricare (inghiot-tire),
le persone. Mattia gli girò intorno, sussurrando in tono minaccioso: “Non mi
prenderai!”
Una coppia
di merli volarono rasenti, lanciandosi richiami striduli. Ecco la contraerea
venuta a salvare la gente dell'ingordo mostro – bus.
La musica
alta che scaturiva dalle bancarelle lo avvolse, cingendogli le spalle lo invitò
a farsi avanti, a entrare nel mondo fantastico delle giostre.
Ovunque
c'erano suoni: rumori, odore di frittelle e di pop corn,
in una girandola di emozioni che facevano battere forte il suo tenero cuore.
Un gruppo
di ragazze lanciò un urlo assordante, affrontando la discesa dell'otto
vo-lante. Le vide pochi minuti dopo scendere dall'attrazione, ridendo, paonazze
in viso.
Mattia
passò oltre, fino a giungere a una piattaforma sulla quale correvano in tondo
dei cavalli di legno, bianchi, con gli zoccoli dorati che salivano e scendevano
in una pantomima del galoppo.
Intimidito
si avvicinò alla signora che vendeva i gettoni.
“Vuoi fare
un giro, piccolo?” Lo guardò con occhi dalle palpebre tinte di azzurro intenso,
le labbra luccicavano nascoste sotto a uno strato generoso di rossetto
arancione.
Mattia le
porse i soldi e aspettò il suo turno. Quando sedette sul dorso del suo cavallo
lo sentì subito suo: quell'animale raffigurante la
libertà, la corsa sfrenata per intermina-bili praterie da conquistare, con lo
sguardo schermato dalla mano per proteggere gli occhi da un sole troppo vicino.
Si
aggrappò alle briglie consumate da tante piccole mani e cavalcò il suo
destriero, fingendosi un giovane cow boy. Altri
bambini lo precedevano, altri lo seguivano, girando in tondo al ritmo di una
musica da carillon.
Quando il
giro terminò gli parve quasi che gli fosse stato fatto
un torto. Interrompere così il suo sogno a occhi aperti che lo aveva portato
via dalla solitudine, dalle lunghe ore pomeridiane: solo a fare i compiti, solo
ad aspettare il ritorno della madre. Solo come lo è un figlio unico; solo come
lo è chi non ha amici vicino a casa e abita in un palazzo di adulti frettolosi,
che guardano solo dalla loro visuale media di un metro e settanta.
Si
avvicinò alla ruota panoramica. Dopo pochi istanti già saliva, seduto su un
dondolo a forma di automobile d'epoca, gangster di un qualche vecchio film in
bianco e nero, con un abito gessato a celare lo sguardo sotto alla bombetta
portata sulle ventitré.
La
fantasia era la sua migliore amica, la sua compagna di viaggio, il suo angelo
custo-de. La sua compagnia, quella che spingeva a forza di braccia le lancette
dell'orologio, facendo sì che le giornate non fossero solo delle lunghe ore
scandite.
Ci mise
del tempo a decidere se entrare nel tunnel dell'orrore o scappare, girando sui
tacchi di gomma delle sue scarpe da ginnastica.
Anche da
lì fuori, in una macchia di sole, udiva le urla provenienti dall'interno
dell'attrazione.
Una
ragazza con la faccia piena di lentiggini gli si avvicinò: “Entriamo insieme?”
Mattia si
perse nel suo sorriso, rapito dalla gratitudine: “Sì”.
In due era
più facile osare. Tutto veniva moltiplicato,
sottraendolo all'indecisione della solitudine.
Fuori dal tunnel buio del baraccone, andò alla bancarella
del tiro a segno e vinse un pesciolino rosso. Lo portò a casa, tenendolo
d'occhio nel suo sacchetto di plastica.
Giunto
nell'appartamento riempì la vasca da bagno di acqua, dove mise a nuotare il suo
nuovo amico.
La porta
di casa si aprì e sua madre entrò, reggendo in bilico delle scatole con le
pizze per la cena.
“Mattia,
dammi una mano”.
Il bambino
le prese le scatole dalle mani, prima che cadessero sul pavimento.
“Ho preso
un giorno di ferie per domani, che ne dici se andiamo alle giostre?”
Il bambino
annuì, arrossendo, prevedendo una bella sgridata.
La donna
entrò in bagno e vide il pesciolino nuotare in tondo
nella vasca. “E questo?”
“E` Moby Dick!”
Racconto inserito nel libro “Bassa marea”
Eeditrice.com 2005