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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Fantasia di Miriam Ballerini 20/05/2006
 

Il fracasso delle giostre si espandeva in larghi cerchi, viaggiando nell'aria, andando a solleticare le orecchie attente dei fanciulli e dei ragazzi. Richiamo da pifferaio magico: venite.

   Mattia aveva sette anni. Non era mai stato portato alle giostre e dalla finestra del quarto piano di un vetusto palazzo, osservava incantato le persone sedute sulla ruota panoramica. Salivano verso il cielo, tanto in alto da riuscire ad abbracciare le nuvole.

   Erano giorni che spiava le attività colorate, chiassose, movimentate, del luna parck. Un mattino era arrivato sotto casa sua, con le attrazioni inscatolate nei grossi camion e che, una volta montate, si erano rivelate ai suoi occhi come giochi giunti da un mondo fatato.

   Il bambino appoggiò le mani al vetro della finestra, lasciando due impronte unte. Aveva sottratto dal borsellino di sua madre qualche spicciolo e, poi, aveva aspettato paziente che lei uscisse per recarsi al lavoro.

   Lo aveva baciato sulla fronte, con nell'alito l'odore forte del caffè: “Fai il bravo”.

   “Sì, mamma”.

   Erano dieci minuti che era andata via e lui era ancora lì: con lo sguardo oltre il vetro, a mangiarsi fette di quel mondo incantato, esposto sotto al sole caldo del pomeriggio.

   Finalmente si decise e scappò fuori. Per strada stette attento alle automobili e attraversò. Scansandole, finse che fossero dei mostri venuti da un altro pianeta.

   Giunto sul marciapiede opposto superò un autobus di linea fermo a caricare (inghiot-tire), le persone. Mattia gli girò intorno, sussurrando in tono minaccioso: “Non mi prenderai!”

   Una coppia di merli volarono rasenti, lanciandosi richiami striduli. Ecco la contraerea venuta a salvare la gente dell'ingordo mostro – bus.

   La musica alta che scaturiva dalle bancarelle lo avvolse, cingendogli le spalle lo invitò a farsi avanti, a entrare nel mondo fantastico delle giostre.

   Ovunque c'erano suoni: rumori, odore di frittelle e di pop corn, in una girandola di emozioni che facevano battere forte il suo tenero cuore.

   Un gruppo di ragazze lanciò un urlo assordante, affrontando la discesa dell'otto vo-lante. Le vide pochi minuti dopo scendere dall'attrazione, ridendo, paonazze in viso.

   Mattia passò oltre, fino a giungere a una piattaforma sulla quale correvano in tondo dei cavalli di legno, bianchi, con gli zoccoli dorati che salivano e scendevano in una pantomima del galoppo.

   Intimidito si avvicinò alla signora che vendeva i gettoni.

   “Vuoi fare un giro, piccolo?” Lo guardò con occhi dalle palpebre tinte di azzurro intenso, le labbra luccicavano nascoste sotto a uno strato generoso di rossetto arancione.

   Mattia le porse i soldi e aspettò il suo turno. Quando sedette sul dorso del suo cavallo lo sentì subito suo: quell'animale raffigurante la libertà, la corsa sfrenata per intermina-bili praterie da conquistare, con lo sguardo schermato dalla mano per proteggere gli occhi da un sole troppo vicino.

   Si aggrappò alle briglie consumate da tante piccole mani e cavalcò il suo destriero, fingendosi un giovane cow boy. Altri bambini lo precedevano, altri lo seguivano, girando in tondo al ritmo di una musica da carillon.

   Quando il giro terminò gli parve quasi che gli fosse stato fatto un torto. Interrompere così il suo sogno a occhi aperti che lo aveva portato via dalla solitudine, dalle lunghe ore pomeridiane: solo a fare i compiti, solo ad aspettare il ritorno della madre. Solo come lo è un figlio unico; solo come lo è chi non ha amici vicino a casa e abita in un palazzo di adulti frettolosi, che guardano solo dalla loro visuale media di un metro e settanta.

   Si avvicinò alla ruota panoramica. Dopo pochi istanti già saliva, seduto su un dondolo a forma di automobile d'epoca, gangster di un qualche vecchio film in bianco e nero, con un abito gessato a celare lo sguardo sotto alla bombetta portata sulle ventitré.

   La fantasia era la sua migliore amica, la sua compagna di viaggio, il suo angelo custo-de. La sua compagnia, quella che spingeva a forza di braccia le lancette dell'orologio, facendo sì che le giornate non fossero solo delle lunghe ore scandite.

   Ci mise del tempo a decidere se entrare nel tunnel dell'orrore o scappare, girando sui tacchi di gomma delle sue scarpe da ginnastica.

   Anche da lì fuori, in una macchia di sole, udiva le urla provenienti dall'interno dell'attrazione.

   Una ragazza con la faccia piena di lentiggini gli si avvicinò: “Entriamo insieme?”

   Mattia si perse nel suo sorriso, rapito dalla gratitudine: “Sì”.

   In due era più facile osare. Tutto veniva moltiplicato, sottraendolo all'indecisione della solitudine.

   Fuori dal tunnel buio del baraccone, andò alla bancarella del tiro a segno e vinse un pesciolino rosso. Lo portò a casa, tenendolo d'occhio nel suo sacchetto di plastica.

   Giunto nell'appartamento riempì la vasca da bagno di acqua, dove mise a nuotare il suo nuovo amico.

   La porta di casa si aprì e sua madre entrò, reggendo in bilico delle scatole con le pizze per la cena.

   “Mattia, dammi una mano”.

   Il bambino le prese le scatole dalle mani, prima che cadessero sul pavimento.

   “Ho preso un giorno di ferie per domani, che ne dici se andiamo alle giostre?”

  Il bambino annuì, arrossendo, prevedendo una bella sgridata.

   La donna entrò in bagno e vide il pesciolino nuotare in tondo nella vasca. “E questo?”

   E` Moby Dick!”

 

Racconto inserito nel libro “Bassa marea” Eeditrice.com 2005

 

 

 
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