La vera cronaca della storica giornata di
Aristodemo Papino, Figliolino e della cicogna Elvira
La cicogna Elvira si stirò, reprimendo
uno sbadiglio. Si stirò, naturalmente, come fanno le cicogne, inarcando
leggermente la schiena e sbattendo le ali
tre volte, velocemente. Ok,
quello che stava per iniziare era solamente un lavoro temporaneo,
ma all'agenzia le avevano detto che, se avesse svolto bene i suoi compiti, ci
sarebbe stata forse la possibilità del
rinnovo del contratto. Decise quindi di darsi una
mossa, e di non indugiare neanche un
secondo di più nel suo comodo nido.
Aristodemo Papino (Papy,
per le poche amiche ) quella notte non
era riuscito a chiudere occhio. E voglia a numerare le pecore, e poi
ancora a contare a ritroso da diecimila
a zero! Niente da fare: sveglio come un controllore di volo in una notte
tempestosa ( o come lui sperava fosse sveglio un controllore di volo se mai gli
fosse capitato di essere a bordo di un aereo in una notte tempestosa). La sua mente non era riuscita a staccarsi dal
pensiero di Figliolino. Si era alzato ben tre volte per assicurarsi che
tutto fosse a posto: la culla, il fasciatoio, il latte in polvere, lo sterilizzatore. Aveva
caricato e ricaricato il carillon della “Casina delle Api”, e quando si era accorto di oscillare la
testa al suono della musichetta, con un sorriso ebete sul viso (aveva la
predisposizione ad analizzare le sue espressioni facciali anche senza uno
specchio), se ne era tornato a letto, sentendosi un po'
sciocco.
Certo
che questa cosa di poter avere bambini senza dover passare da una femmina era
davvero strepitosa! Lui, con le ragazze, non è che fosse proprio l'uomo
più fortunato del mondo!
Fino a
un mese prima la sua esperienza di acquisti on line si era limitata a:
1
manuale di giardinaggio.
1
dozzina di saponette al sandalo.
1
piscina gonfiabile.
1
apriscatole elettrico.
1
stira-cravatte.
Poi
aveva scoperto www.cicogne.org. Aveva
supposto che fosse un sito per amanti di bird watching (interesse che lui aveva fin da piccolo, molto
prima che l'osservazione dei volatili si scomponesse in due parole inglesi), e
che ci aveva scoperto, invece? Un supermercato di neonati! Un momento, non vi
sto parlando di quei posti orribili in cui si aggirano gli orchi cattivi. No,
era un sito molto serio, iscritto alla Camera di Commercio, con Partita Iva e
Codice di Adeguamento
Cee. Il nostro
Papy ne era rimasto incantato e aveva
pensato: e perché no? L'ultima ragazza
lo aveva lasciato sei mesi
prima, affermando che lui era troppo dolce e mite e che, nonostante il fisico atletico, non era
per niente uno di quei tipi Ramboniani che piacevano
a lei.
Da
allora Papy si era detto: basta con le donne. Ma si sentiva un nido
vuoto dentro il petto: aveva bisogno di dare amore, solo così il nido si
sarebbe riempito.
Non
c'erano foto in quel sito (un figlio si sceglie per il cuore e con il cuore e
non per il colore degli occhi), ma solo nomi.
Aristodemo (Demo per gli amici) aveva clickato
su “Acquista” e si era aperta una maschera fitta fitta di istruzioni.
La cicogna Elvira prese con il becco la
scheda con l'indirizzo della consegna. “Dovrò decidermi a comprarmi un paio di
occhiali.” pensò con un lampo
di stizza, mentre stringeva gli occhi per mettere a fuoco la scrittura. “Via
…Via …e che cavolo c'è scritto? Via…ecco Belfiore, mi sembra.”
Accese il computer ( l'aveva comprato con i soldi della liquidazione da insegnante
e ne era
gelosissima) per stampare la mappa. I tasti si erano già un
poco consumati con quel becchettio veloce al quale lei era
abituata, ma ancora tenevano. Ecco
fatto: era una strada di periferia. “Speriamo che ci sia un balcone, o un bel
tetto a terrazza” sospirò Elvira.
Figliolino si
sentiva nervoso. Lasciare il Luogo per andarsene in un posto sconosciuto, lo
riempiva d'ansia. “Meno male che mi hanno messo il pannolino doppio, non voglio
mica arrivare dal mio papà tutto bagnato! Chissà come sarà questo papà? Adesso
la cosa importante è che mi dia da mangiare, poi quando
sono più grande magari giochiamo anche. Spero solo che il volo vada bene: ho
sentito raccontare di una cicogna che ha fatto cadere un bambino! Non so dove
sia finito, quel pupo, qui di sicuro non è tornato. Non c'è nessun bambino
rotto, qui! Il Luogo è molto bello, perché è tutto rosa e azzurro, e poi noi
bambini abbiamo tante nuvolette dove possiamo dormire. Però non ci prendono mai
in braccio. Deve essere bello essere preso in braccio. Se il mio papà mi
prenderà in braccio io gli vorrò tanto bene. Se mi prenderà in braccio potrò
perdonarlo anche se non mi darà tanto da mangiare. E poi lo farò anche giocare con me, e
non gli farò mai la pipì addosso. Se penso forte a questo papà non sono più
nervoso. Ma questa cicogna, quando arriva?”
Prima bisognava compilare una scheda con
tutti i dati anagrafici, la professione, gli hobby. Poi indicare la motivazione
per la quale si stava facendo quella scelta (spazio dieci righe, da riempire
tutte); infine c'era una
specie di tavola di Mosè, disegnata
sullo schermo, con un titolo rosso a
caratteri ben arrotondati:
LE DIECI REGOLE INDISPENSABILI PER ESSERE UN
BUON PAPA'
1) Ama tuo
figlio sempre, per tutta la vita, al di là di tutto.
2) Prenditi
cura del suo corpo, della sua mente e della sua anima.
3) Non
raccontargli mai bugie.
4) Trasmettigli
il rispetto e l'amore per il prossimo.
5) Rispetta
le sue idee, per quanto possano essere diverse dalle tue.
6) Insegnagli
l'amore per la natura, per i libri, per la musica, per l'armonia.
8) Ridi
con lui, e mai di lui.
9) Insegnagli
che è bene essere e
non apparire.
10) Quando
verrà il momento lascialo andare, in piena libertà e autonomia.
Demo aveva stampato tutto e per qualche
giorno aveva portato sempre con sé quel decalogo. Lo leggeva al lavoro, a
letto, mentre faceva colazione, in bagno. Aveva analizzato seriamente punto per
punto. Si era interrogato a lungo su ogni regola: era in grado di rispettarle?
Per esempio, la regola n. 6: lui la natura l'amava molto, ma in quanto a libri
e musica non è che ne sapesse tanto. “ Bene, impareremo insieme.” Si disse. “Credo che un'altra regola sia: sii umile e mai
supponente.”
Così
aveva compilato tutti i moduli, mentre nel cuore gli cresceva una musica nuova,
un'armonia d'archi, ampia e serena. Rimaneva solo da scegliere il nome; li
aveva fatti scorrere uno a uno: ecco, Figliolino.
Quel nome lo aveva riempito di tenerezza: si era sentito già papà, nella
maniera più completa.
La cicogna Elvira arrivò nel Luogo con
cinque minuti di ritardo. La guardarono un po' storto, ma non dissero niente.
La portarono davanti a una nuvoletta azzurra. Il bimbo era proprio carino,
sembrava un ragazzino sveglio. Lo misero in una cesta imbottita e le consegnarono
anche un palmare: “In caso di emergenza.” le disse una giovane cicogna dall'aria molto efficiente.
Il cielo
era quasi blù, tanto era sereno. Non c'erano troppe
correnti, e il volo si presentava proprio tranquillo. La cicogna Elvira
spalancò le ali, virò a sinistra, e iniziò il suo viaggio.
Figliolino
tirò un sospiro di sollievo. Uheee, era fatta! Il viaggio era iniziato… Quella cicogna
era un po' spennacchiata, non doveva essere più tanto giovane. Ma Figliolino aveva sentito dire che l'esperienza è tutto
nella vita, e si rassicurò. Intanto il
cancello dorato si stava rinchiudendo sul Luogo. Gli venne un leggero magone.
Ma prese a succhiarsi il pollice e si disse che bisogna
sempre guardare avanti, e che fra poco
avrebbe conosciuto il suo papà, e che quella bella giornata di sole sarebbe
stata il giorno più importante della sua vita.
La
cicogna aveva trovato una corrente discensionale, e ci si era tuffata. Figliolino ebbe un piccolo rigurgito e si aggrappò con le ditina all'orlo del cesto. Strinse gli
occhi forte forte.
“Adesso
provo a immaginarmi il mio papà.” pensò “ Così mi
passa la paura”. “Mi piacerebbe che
fosse un papà alto e forte, così quando mi prende in braccio vedo tutte le cose
giù in basso che sono piccoline e mi metto a ridere; vorrei che capisse come piango; io non
so ancora parlare, ma quando piango è come se dicessi delle parole: ho fame, ho
freddo, ho sonno, ho paura Se ho paura lui mi deve prendere la manina e parlarmi.
Vorrei che avesse un buon odore, così quando si
avvicina lo sento. Vorrei…”
Figliolino si addormentò su quel “vorrei”.
Una soffice nuvola rosa diede un bacetto al sole e si
sfilacciò nell'azzurro del cielo.
Il nostro futuro papà aprì l'armadio e tirò fuori il grande
nastro arcobaleno. Doveva legarlo alla ringhiera del balcone: era quello il
segnale che aveva concordato con i dirigenti del sito. La cicogna l'avrebbe
avvistato facilmente e avrebbe depositato nel posto giusto il suo carico prezioso.
Appoggiò il nastro sul letto e lo contemplò. “Proprio un bel nastro” disse ad
alta voce. “Ha i colori giusti. L'arcobaleno viene dopo i temporali, a
rallegrare gli occhi e il cuore. Così come farà il mio piccolino nella mia
vita.”
Si
accese una sigaretta, ma subito la spense. “Basta, basta anche con questo
veleno.”
E prese il posacenere, lo lavò con cura e lo
ripose nel ripostiglio sul
ripiano più alto dello scaffale.
Fischiettando
uscì sull'ampio balcone e legò ben stretto il nastro colorato.
Era ancora
presto, mancava più di un'ora all'arrivo di Figliolino.
Ma avrebbe cominciato ad attenderlo fin da adesso. Si sentiva emozionato e un
po' ansioso. E girare lo sguardo sulla grande piazza su cui si affacciava il
terrazzo lo avrebbe forse tranquillizzato. Si accorse di come era diventata
bella, quella piazza, negli ultimi anni. Gli amministratori della città avevano
fatto abbattere l'enorme edificio che sorgeva accanto alla cattedrale di San
Teodosio. Erano sparite banche e società
finanziarie. Al posto di quel brutto palazzo erano nate piccole costruzioni:
una moschea, una sinagoga, un tempio buddista, uno induista. E una casa bianca,
con grandi finestre, per chi aveva un Dio senza nome. Tutti i cittadini l'avevano chiamata
di comune accordo, La Casa
delle Armonie. Così capitava
che quasi tutti i giorni ci fosse una
festa, e si vedevano bambini dai diversi colori giocare sul selciato, e donne velate ridere e
parlottare con ragazze in jeans e maglietta, e uomini scuri giocare a dama con
uomini biondi.
“Questa
sarà una scuola di vita, per Figliolino,” pensò soddisfatto Demo. “ Sono proprio contento di
abitare qui.”
Si
sedette sulla poltrona di vimini e si mise a contemplare il cielo, in attesa di scorgere quel puntino che, ingrandendosi sempre
più, gli avrebbe portato il più bel regalo della sua vita.
Intanto la cicogna Elvira stava
cominciando ad avere dei problemi. Innanzi tutto quel bambino, all'apparenza
così minuscolo, sembrava essere diventato pesante come un macigno. Il becco
cominciava a farle davvero male, ed era terrorizzata che il cesto le sfuggisse.
Glielo avevano raccontato, al centro, di quella cicogna che aveva combinato
quel disastro… Sarebbe stato orribile, non solo per il povero bambino, ma anche
per lei. Aveva tanto bisogno di quel lavoro. I soldi della liquidazione ormai
erano diventati un mucchietto sottile sottile. “Ma se potessi ritornare indietro “ pensò con
forza, “ tornerei a fare quello che ho fatto. Non ci potevo più rimanere a
insegnare nella scuola., dopo quella legge là, come si
chiama… qualcosa che finiva per …matti…gatti…ratti…, ma, non ricordo…”
In
effetti, da quando la cicogna Elvira si era licenziata per motivi ideologici,
si era un po' spenta, dimenticava spesso le cose, a volte si sentiva confusa.
Il frequentare ogni giorno dei cicognini adolescenti le aveva
dato sempre una grande vitalità, e ora invece si ritrovava sempre più spesso
come un'ebete davanti alla Tv, a seguire quasi con morbosità quel reality che stava avendo tanto successo: “Il Nido dei
Famosi”.
Ma
torniamo in cielo, dalla povera e affaticata Elvira. Secondo il suo piano di
volo avrebbe
già dovuto cominciare ad avvistare il nastro. Stava sorvolando la periferia est
della città di atterraggio, là sotto c'era, ne era certa, via
Belfiore. E allora perché non vedeva i colori arcobaleno?
Scese di
quota, scrutò a destra, scrutò a sinistra, niente. Fabbriche, palazzoni tutti
uguali e anonimi, un centro commerciale, le brillanti rotaie
del tram. Finestre chiuse, qualche lenzuolo penzolante dalle ringhiere dei
terrazzini, ma niente nastri.
“Forse
quel papà ha cambiato idea, forse non lo vuole più questo piccolino” pensò la
cicogna Elvira, che si sentiva sempre più demoralizzata. Le venne in mente una canzonetta che andava
di moda anni prima e diceva…il neonato
dove lo metto? Ma quel ricordo non la fece ridere proprio per niente.
“Ho
bisogno di fermarmi “ decise. “Se continuo, questo mi cade di sicuro. E meno
male che se ne sta tranquillo” Ma proprio in quel
momento dal cesto partì una specie di sirena, urla laceranti presero a riempire
il cielo. Figliolino si era svegliato e,
indubbiamente, aveva una fame da lupo.
La
cicogna Elvira si sentì arrivare addosso un attacco di
panico. Cominciò a inspirare ed espirare profondamente, come le avevano
insegnato al CCS (Centro Cicogne Stressate), rallentò il volo, vide il tetto
piatto di un fabbricone giallo, e piano piano lo raggiunse e vi si posò leggera. Ecco, andava decisamente meglio, ora. Ma il pupetto
continuava a strillare. Elvira si sfilò il cesto dal becco, lo appoggiò sul
piano di cemento e cominciò a dondolare il bambino con una zampa. Rien a faire… Non ne voleva
proprio sapere di smettere.
Figliolino
aveva avuto un incubo spaventoso. Aveva sognato che la sua cicogna spalancava il becco e che lui, il cesto, la copertina
azzurra e il lenzuolino con le paperette
precipitavano in basso, sempre più in basso, senza fermarsi mai. Si era
svegliato urlando. Ma subito si era accorto di avere una gran fame e il suo
pianto aveva assunto un'altra modulazione. D'altra parte i neonati, anche i più
saggi, sono così: passano di botto da una sensazione all'altra, senza starci a
pensare troppo. Non c'era attesa di papà, cadute, nuvolette o cicogne che tenessero: lui ora aveva fame e basta. E lo stava gridando con tutta la forza
dei suoi piccoli polmoni.
La cicogna Elvira era disperata. Il
bimbo aveva il faccino tutto rosso, e urlava, urlava. Un'idea attraversò
d'improvviso la sua mente, come una luce. Alzò leggermente un'ala, chinò il capo
e si strappò una piccola penna sotto un'ascella. Le scese una lacrima di
dolore. Un po' tremante infilò la piuma fra le labbrucce
del piccolo. Il pianto cessò immediatamente. Elvira tirò un sospiro di
sollievo. Il bimbo succhiava tranquillo, e lei poteva ricominciare a pensare.
Aristodemo Papino
era molto preoccupato. Si era stancato gli occhi a furia di scrutare il cielo.
Ma della cicogna e di Figliolino neanche l'ombra. Che
quelli del sito fossero impostori? Che fosse successo un incidente? Non ci
poteva neppure pensare. Lui lo amava già tanto, quel suo figlioletto! Aveva
passato le ore lì, sul terrazzo, a immaginare ai giochi che avrebbe fatto con
lui, alle favole che gli avrebbe raccontato, alle passeggiate…e anche a come
imparare a dirgli di no, quando occorre, perché anche questo è amore. Aveva persino pensato, guardando quella
piazza piena di armonia, che doveva abbandonare la sua disillusione verso le
donne. Avrebbe trovato anche lui una brava ragazza, una che potesse amarlo e
amare tanto anche Figliolino. Bastava saper guardare
con gli occhi giusti, e l'avrebbe sicuramente incontrata. Ma adesso questo
ritardo lo buttava nella disperazione. Voleva tanto una sigaretta, ma aveva
preso un impegno con se stesso, e allontanò quel desiderio. Si alzò dalla
poltrona, raddrizzò il nastro e continuò l'attesa.
La cicogna Elvira sfilò la scheda con
l'indirizzo e il palmare dal cesto. Ahi ahi ahi! Erano sgradevolmente umidi,
e Elvira non tardò molto a capirne la ragione. Sospirò:
“Speriamo
che il palmare funzioni ancora!”
Rilesse
con attenzione la scheda. Belfiore. Belfiore, proprio così c'era scritto!
Accese il palmare: doveva telefonare al Centro? Che figuraccia, però! Perdersi
così, proprio il primo giorno di lavoro… Doveva fare un altro tentativo. Si
collegò a Internet, entrò in un motore di ricerca e digitò ( pardon, becchettò)
Stradario della città. Le avrebbe
fatte scorrere tutte, quelle maledette strade: Abba,
Araldi, Baravelli, ecco Belfiore, con la sua bella mappina topografica. Indicava perfino il fabbricone giallo dove stava proprio lei in quel momento.
Proseguì: Coletti, Dandolo, Europa, Fontane,
Garibaldi, Landi… e poi… MARTIRI DI BELFIORE!!! In pieno centro,
ad angolo con Piazza della Pace! Riprese la scheda. C'era una piccola emme puntata,
davanti alla parola Belfiore. Che stupida la segretaria del centro, con la sua
aria falsamente efficiente! La fretta dei giovani… Roba
da matti…
Elvira
abbandonò quel filo di rabbia, e si lasciò riempire da un immenso senso di
sollievo. “Benedetta la tecnologia!” pensò.
Si
lisciò le penne, inspirò profondamente, riprese il cesto, e si innalzò in volo.
Il piccolo si era addormentato. Aveva un sorriso stampato sul visino. Chissà
cosa stava sognando…
Sotto di
loro scorreva un fiume, poi sorvolarono un parco pieno di verde, la ferrovia,
un campo da tennis, ed ecco, finalmente, la città vecchia. La cicogna Elvira
sentì il cuore tremarle di gioia. “Ci
siamo!!!” urlò dentro di sé.
Figliolino si
svegliò con il cuoricino pieno di allegria. Sentiva che il suo papà era vicino.
Non vedeva l'ora di essere cullato dalle sue braccia.
Papy scorse un
puntolino, ancora lontano, forse solo un miraggio. Si
soffregò gli occhi, li spalancò. Era proprio vero:
una cicogna stava volando in alto, nel cielo, avvicinandosi sempre più.
Cominciò ad agitare le braccia, saltellando, con il cuore che sembrava voler
scappare dal petto.
La cicogna Elvira vide il nastro
arcobaleno. Mai un'immagine le era sembrata più bella. Fece una lenta virata, e
iniziò il volo di discesa.
Sarebbe bellissimo, davvero, avere una
fotografia di quell'incontro. Ma va bene anche così,
immaginiamolo con gli occhi del cuore: Elvira che appoggia il cesto sul
terrazzo, Papy che si china sul cesto, il dolce
pianto che gli solca il viso mentre contempla il suo
piccolo, le braccia che si protendono, la delicatezza quasi timorosa con la
quale solleva Figliolino; Figliolino
che si rifugia in quel tepore e che capisce che sarà per sempre. Elvira un po'
ansimante, che scaccia con un' ala una lacrima di
commozione.
“Come mi piace, questo lavoro” si dice
Elvira, “lo farei anche gratis.”
Il cielo
è rossissimo, meraviglioso. Dalla piazza sale il canto di un muezzin, la musica
delle campane della cattedrale, il suono della campanella del tempio indù, le
voci pure dei monaci tibetani, un coro vivace di
bimbi che esce
dalla sinagoga. Una perfetta disarmonica armonia che conclude quella storica
giornata.
E questa, amici cari, è la storia dell'incontro
fra Aristodemo Papino, Figliolino,
e la cicogna Elvira, così come me l'hanno raccontata. Non so se le cose sono
andate proprio così, nel loro susseguirsi. Però so, e lo sapete anche voi, che
ogni giorno, che ogni notte, avvengono centinaia di incontri come questo. E che
le emozioni sono proprio quelle che vi ho raccontato.
Fra Igea Marina e Bologna, 26/30 ottobre 2005
Milvia Comastri