Non che
si aspetti di vederlo, quel primo fine settimana. Però Rosaria controlla ogni
momento che il cellulare sia acceso, tiene basso il
volume del televisore per non sfarsi sfuggire il trillo del telefono, sussulta
al rumore di un auto che cessa davanti a casa. La sera della domenica pensa che
forse è tutto inutile quel
gran darsi da fare che ha caratterizzato la settimana passata. Lui è andato, è
finita, cosa si illude, lei… Giuliano risponde al primo squillo, è sempre molto
gentile. Con quel suo modo un po' sornione ed ironico sa sempre trovare le
parole giuste.
Il segnalibro divide il romanzo
esattamente nel mezzo.
Ormai Davide pensa che si può fermare
anche lì, per i suoi libri. Il quarto porto, chiama fra sé quel luogo, il porto di Monica.
E di Gabriele.
La gente
ora lo conosce, non lo guardano più con curiosità. La Clelia, quella del banco
grande, ha voluto perfino scambiare del pesce con un libro. A lui due sogliole,
a lei “Cime tempestose”. Vengono ragazzi, la voce si è sparsa; vengono anche vecchie
signore della Casa di Riposo, alcune timidissime, altre, che non finiscono più
di parlare, se ne stanno lì fino ad ora di pranzo. C'è una vecchia partigiana
che Davide non si stanca mai di ascoltare. Armida racconta storie meglio di un
libro scritto; attraverso lei, lui percepisce gli odori del coraggio, della
paura, della morte, della rinascita, di cose vere, concrete. Se ne va via
sempre senza alcun libro, gli occhi, dice, gli occhi oggi non sono buoni, forse
domani… Ma Davide sa che viene lì solo per parlare, e
di questo lui è contento.
Poi c'è Gabriele, il figlio di Monica.
Abitano a cento metri dal porto, e il bambino ha preso l'abitudine di passare
le mattine con Davide. Sette anni, una testa piena di ricciolini
neri, due occhi scurissimi troppo seri per la sua età. Un sorriso che se mai
c'è stato se ne è andato da tempo. Monica non parla quasi del figlio: il suo
amore traspare solo dallo sguardo, che si riempie di fuoco, quando si posa sul
bambino, come di fuoco si riempie quando parla di musica.
Gabriele ha una voce sottile ed esitante, si
morde spesso un labbro, a volte sta così attaccato a Davide da impacciarlo nei
movimenti. E' una presenza silenziosa, i primi giorni. Davide gli legge
qualcosa, mentre se ne stanno seduti sul muricciolo, le gambe che penzolano
sull'acqua, il sole che riscalda le schiene. E' un bambino attento, intelligente,
peccato quell'assenza di sorriso.
Ieri,
mentre lui gli leggeva Tommy River,
ha bisbigliato qualcosa.
“Cosa hai detto?” gli ha chiesto
sorridendo Davide.
“Niente, continua la storia. E' bella.”
E poi,
più avanti, ancora
quel bisbiglio un po'affannato, ma più
chiaro:
“Ma tu e mia mamma
vi amate?”
Davide
si è sentito arrossire. Ha risposto cercando di tenere la voce ferma, per
chiudere il discorso:
“Io e la tua mamma siamo amici,” poi, in fretta “tu non hai amici?”
“Ce l'ho un
amico, si chiama Lele, lui ha un papà e una mamma, e la mamma gli fa sempre
delle sorprese belle, come i biscotti, e giocare insieme, e poi vanno fuori in
macchina, e il papà gli ha insegnato a pescare, e gli ha fatto un aquilone
giallo e blu, e lui sta sempre con me quando mia mamma suona e lei suona sempre
e io non posso fare niente e se la chiamo non mi risponde, anche quando smette
di suonare per un po' non mi sente, poi quando va a suonare nel teatro mi manda
dalla zia, e quando sono dalla zia c'è Lele e parliamo sempre, ma la zia dice
che non va bene che mi inventi le cose, che sono troppo grande per quello, che
gli amici devono essere veri e non per gioco. Ma io non ho amici veri, allora
c'è Lele.”
Con
quella voce sottile Gabriele ha tirato fuori tutto di un fiato la solitudine di
un bambino che sa di non essere al centro della vita di sua madre. Lele, il suo
doppio, vive un'infanzia normale, e attraverso la sua fantasia Gabriele cerca
in maniera inconsapevole un equilibrio per il suo sviluppo cognitivo ed
emozionale.
Davide
gli ha passato una mano fra i riccioli, si è schiarito la voce:
“Se vuoi, posso essere io un tuo amico,
se vuoi ti insegno anche a pescare. Quando ero piccolo pescavo con mio zio, poi non sono più
andato. Ma forse mi ricordo ancora come si fa.
E Lele lo puoi portare, se vuoi.”
”
E stava
per aggiungere: la mamma ti vuole bene, è solo molto occupata. Poi ha pensato
che a volte certe parole sono troppo leggere, e non
leniscono nulla.
E' stanco, in questa sera di mezza
estate, Davide. Ha stanchi pensieri: il negozio con le pareti vuote e annerite,
gran parte della sua vita racchiusa fra gli scaffali, tutti quei personaggi
immaginari che lo hanno accompagnato nella sua esistenza. Monica e i suoi anni scanditi dall'avorio e
nero dei tasti. Gabriele, che ha un rivale troppo forte per essere vinto. E'
stanco. Sono settimane che non rientra a casa. Lo farò il prossimo week end, decide. Fra le palpebre socchiuse, mentre sta
steso cercando il sonno sulla cuccetta, gli si profila per un attimo un aperto
sorriso. Spegne la luce. Vuole dormire, è così stanco…
Il libro sfugge cade a terra un tintinnio
di vetri infranti consonanti vocali punti di interiezione rotolano sul
pavimento si china per fermare quell'andare come
biglie di parole pensieri freddi storie non sue non di viva gente pesce pesce donne Armida con la bandiera rossa il ragazzo con l'anellino
fugge su un'onda Lele-Gabriele
gioca l'aquilone è giallo e blu i tasti del piano diventano gelatina sotto le
dita l'aroma della resina scava nella pelle il tramonto rosso con stelle
brillanti diamanti splendenti il viaggio promesso e mai fatto ghigna in un
angolo con palme svettanti e spiagge
bianche lei canta e cucina poi piange accucciata fra le parole che agonizzano
ghiacciate sotto la azzurrina
luce del televisore
Si sveglia all'improvviso, e si tira su
di scatto, sbattendo la testa contro il basso soffitto di legno che sovrasta la
cuccetta. Un sogno davvero bizzarro, vischioso, complesso. Davide cerca di
ricostruirne i passaggi, le immagini, ma avverte solo una dolenzia
dentro, come un gorgo di fango, nel punto più profondo della sua anima. Solo ricordi di suoni, spezzoni, fotogrammi, Monica,
Gabriele, le pescivendole, Armida. E Rosaria, c'era anche lei nel sogno. E il
profumo di resina della pineta.
Cos'è
questa confusione che ho dentro, questo disagio grigio, si chiede, ho cinquant'anni e non ho più punti di riferimento.
“Non riesco neppure più a leggere,
Giuliano. Mi sto convincendo di aver avuto solo un unico orizzonte, mentre gli
orizzonti sono tanti. Ho filtrato tutti i miei rapporti attraverso i libri, attraverso
storie che riproducono la realtà, ma che non lo sono. Come Gabriele con il suo
Lele. Già, Gabriele, e Monica. La nostra storia va avanti, lei è un incanto, mi
incanta, mi parla all'anima, mi sento sciogliere quando
mi chiama in casa e si mette al piano…”
“Ma…”
“Ma anche lei non mi sembra reale. Poi
quel bambino sta troppo solo. Lei è sempre assente, anche quando è con lui. E
non è neppure che sia ossessionata dal lavoro: non sta dietro alle scritture,
alle tournee, è proprio suonare, che le piace, anche solo per sé. Non hanno
neanche molti soldi, li aiutano i genitori di lei, che credo stiano
bene, finanziariamente. Sì, Monica mi incanta, mi strega, penso veramente che
io mi stia innamorando di lei, ma credo che non sia una buona madre, non può esserlo
con quel demone addosso. E forse non può neppure essere una buona compagna,
come io stesso, del resto. Guarda con Rosaria…”
E' una
domenica mattina piovigginosa. Il giardino di Giuliano brilla di verde, il
profumo della terra bagnata entra nello studio e si impossessa dei sensi. Odore
concreto di terra, pensa Davide, non facevo più caso neppure a questo. E' il
ricordo di qualcosa che ho conosciuto da bambino, ed è come se poi non lo
avessi più sentito. Che assurdità…
“Te ne stai zitto, Giuliano…
ma sì, va bene, ho bisogno di parlare, di fare chiarezza, tu ascoltami,
sopportami, oppure vattene di là, o cacciami di casa, vedi tu. Io credo di
essermi allontanato dalla vita vera, in questi miei ultimi venticinque anni.
Amo ancora i libri, ma penso che di essermi perso altre cose. A parte te, a
parte te e, sì, a parte te e Rosaria non ho frequentato nessuno se non i
clienti, o comunque gente della libreria. Non guardavo più il cielo, il mare,
gli alberi e le persone. Le persone, Giuliano. Sai quante volte ho promesso a
Rosaria un viaggio ai tropici, il
romantico viaggio, come lo chiamava lei. Ma alla fine non riuscivo mai a
staccarmi dal negozio, da quegli odori che amavo, che amo, da tutte quelle
storie che vibravano lì dentro. A proposito, sei
andato all'agenzia per la vendita? Ormai credo che sia l'unica soluzione.
Vendere i muri, e che ci facciano quello che vogliono. Magari un take-awai indiano…”
“Perché, che cosa hai contro il cibo
indiano?”
“No, nulla, anzi; è che qualsiasi cosa
ci metteranno farò sempre fatica a passare di lì. Il dolore, la mancanza, ci sono ancora, sai.
Credo di aver sbagliato molto, Giuliano.
Non si
può vivere di una sola passione, come ho fatto io, o come fa Monica. Ti ho già
parlato di Armida: vedi, lei è una vecchia donna che di passioni ne ha avute
tante, per la libertà, per il suo uomo, per i figli, per l'impegno civile,
ancora adesso, che potrebbe lasciare andare tutto e pensare solo a riposare.
Ecco, Armida è stata una bella scoperta, sono felice di parlare con lei. Sai cosa
mi ha detto? quella signora, mi ha detto, la
musicista, non vive in questo mondo, lei è in un mondo suo, stai attento
Davide, non volare via.”
E' stanca Rosaria. Lei e Giuliano hanno
cenato in collina; le cose da decidere sono ancora tante. E, poi, il recondito
pensiero sta sempre lì, a soffiarle su collo, a sbeffeggiare sulle sue azioni,
petulante con il suo: ma cosa credi, che servirà davvero a qualcosa?
è il
giorno dell'esame lei deve sapere tutte le cose scritte nel mondo lui sulla
scala della scuola aspetta gli occhi celesti fissi sul suo viso i libri
montagne e montagne libri attorno a lui sommerso solo gli occhi fuori celesti
lei ripete a memoria le storie la voce non esce muta muta
come il pesce che gli ha cucinato a Natale morta senza aver imparato le cose
che lui vuole il segnalibro grida sono sempre fermo qui nel mezzo gli occhi
solo gli occhi fuori una lacrima esce celeste lei striscia sale su scale di
libri con le labbra l'asciuga
“E' stato un sogno tristissimo,
Giuliano. Molto pieno di angoscia. Davide alla fine nel mio sogno piangeva, e
sono riuscita ad arrivare da lui, e gli ho asciugato il pianto con un bacio.
Sono rimasta depressa per tutto il giorno. E tu, lo hai visto? Non gli hai
detto nulla, vero? Ma sei proprio sicuro che quello che stiamo facendo sia la
cosa giusta?”
“Rosaria Rosaria smettila di pensare, vedrai, è la cosa
giusta, comunque andrà a finire questa storia io so che è la cosa giusta.”
Giuliano sorride a Rosaria, le accarezza
il viso con il suo sguardo scuro, dolce e sempre intenso. Vorrebbe dirle… ma sa che non può che tacere e schiacciare tutte
quelle strane emozioni che lei gli suscita.
Un uomo
notevole, un vero amico, pensa Rosaria. Senza di lui potevo anche morire. Gli
raddrizza la cravatta, gli bacia una guancia, sente sotto le labbra una
morbidezza che le dà dolcezza al cuore. Poi subito lo
sollecita a fare il prossimo passo del loro progetto. Ha fretta, Rosaria.
Il primo sorriso di Gabriele per il
cefalo che ha pescato questa mattina. La prima volta di Monica, di lasciarsi
andare completamente, sulla cuccetta calda di sole e del loro sudore, nel
pomeriggio, mentre il bambino è dalla zia. Tanti libri dati via, quel giorno.
Davide si sente bene, accarezza i capelli di Monica, comincia a parlarle, cerca
di spiegarle quanto Gabriele abbia bisogno di lei, e anche io, le dice, ho
bisogno di te. Non fare il mio errore,
non vivere di una sola passione.
La notte è lunga, quando il sonno
recalcitra. Davide sta seduto nel pozzetto, le stelle sembrano un'esplosione di
fuochi d'artificio argentei, nel buio del cielo. Sta bene, sta male, è sicuro,
è confuso, è saturo di contraddizioni. Monica alle sue argomentazioni è rimasta inamovibile.
Dice che per suo figlio prova un amore immenso, e che vuole bene anche a lui, a
Davide, ma che la musica è l'unica cosa che la fa sentire viva, che non ci può
fare niente. Punto e basta. Non è donna da faccende domestiche, o da
televisione accesa, nemmeno il cinema le interessa, o la politica, niente,
nient'altro che la musica. Neppure i libri, non tanto, almeno. Così ha detto.
Ha detto anche che le spiace, ma forse prima, nel fare all'amore, ha perso il
controllo.
Si sta
alzando una brezza fredda. L'estate si sta esaurendo pian piano. Bilanci? non sa che rispondersi, Davide.
Ora vuole
provare a dormire.
“A
cigarette that bears a lipstick's traces
An arline ticket to
romantic places
and still my heart
has wings
These foolish things remind me of
you
A tinkling piano in the next apartement
C'è
questa canzone dolce. C'è il viso di Rosaria, il suo corpo rotondo ed
accogliente, il suo profumo, il largo sorriso.
Mozziconi di sigarette macchiati di
rossetto nel posacenere, l'aspettativa di un viaggio romantico: piccole
sciocchezze che ti attraversano la mente. C'è questa canzone. Ma ha ali il tuo
cuore?
Si sveglia, la canzone nella testa. Gli
fuoriesce piano dalle labbra, scivolando sulle immagini del sogno, pescata da
chissà dove. Fuori c'è silenzio, solo il rumore della pioggia che rimbalza sul tendalino. Ha un nodo, dentro, un groppo di nostalgia, non
sa di che. Gli pare di avvertire un odore di sottobosco, di spezie, di terra.
Sarà la pioggia, pensa. La lacrima che gli riga la guancia non l'asciuga
neppure. Stringe forte le palpebre. La pioggia: ieri sera tutte quelle stelle,
e ora questo tempo grigio.
Le cose
non sempre vanno come ci si aspetta.
Rosaria cammina nervosamente da una
stanza all'altra del suo appartamento. Sposta la bambola di ceramica dalla
cassapanca al divano, poi la riprende e la chiude nell'armadio. Cerca ombre di
polvere che non ci sono, prende il pacchetto di sigarette, lo posa, nasconde i
posacenere dietro il mobiletto del liquori. Accende il
televisore, ma immediatamente lo spegne. Accarezza lieve una parete del
soggiorno. Ama molto la sua casa: ha racchiuso gli anni della infanzia e della prima giovinezza
fino al giorno del matrimonio. E adesso sono già dieci anni che ci è tornata a
vivere. Non la sente certo meno sua per il mutuo che ha dovuto stipulare il
mese scorso. Per le giuste cause, le diceva sempre suo padre, nessun sacrificio
è troppo grande. Si ferma davanti allo specchio dell'ingresso: con le dita
sbiadisce il colore del rossetto, poi si sistema la gonna, quella lunga e
dritta, che le attenua le curve. Passa una mano sul cuore: pum pum
pum. Calma, Rosaria, si dice, pensa a Giuliano, alla
sua sicurezza, alla sua positività. Vorrebbe che l'amico fosse già lì a tenerla
stretta, a dirle che tutto andrà comunque bene. Ma Rosaria l'ho sa già che
andrà tutto bene, anche se lui…anche se Davide fosse
per lei perduto per sempre. Quello che lei ha fatto in quegli ultimi mesi l'ha
aiutata a vivere, e ora la cosa che ha realizzato le piace, le piace proprio.
Si affaccia al balcone. Giuliano dovrebbe essere lì a momenti.
La pioggia ha smesso di cadere, c'è un
vento teso che fa ondeggiare le frange dei rari ombrelloni. La spiaggia è
semideserta. Poche persone alzano lo sguardo sui volteggi dell'aquilone giallo
e blu. Le sue code rosse segnano linee sghembe sul cielo grigio. Nel negozio sulla statale Davide ha trovato proprio quello che cercava.
Gabriele inciampa, ride, urla con grida acute. Poi arrotola il filo e si siede
sulla sabbia bagnata, vicino a Davide. Le parole per
dirlo, Davide le ha pensate per tutta la mattina. Non vuole che il bambino si
senta abbandonato.
Rosaria sale sull'auto di Giuliano, gli
prende una mano e gli dice senti come mi sudano le mani. E lui dov'è? E'
arrivato?
“E' già a casa. Gli ho detto fra
mezz'ora al bar dietro la piazzetta. Pronta?”
“Pronta. Credo.”
Si è
rimessa il rossetto, e ora si accende una sigaretta. L'ultima, si dice,
l'ultima, lo giuro. E il cuore le va a mille.
Ha incitato Monica a cambiare, ha
promesso a Gabriele, dopo un lungo discorso, di rivederlo presto. E' andato a
salutare Armida. Ha lasciato tutti i libri della barca alla Clelia.
E' stato
doloroso, non sa se è la cosa giusta, andarsene. Facendo scivolare le dita fra
i capelli di Monica ha pensato che non sia la cosa
giusta. Davanti ai grandi occhi di Gabriele ha pensato potrebbe diventare mio
figlio, non è la cosa giusta, andarmene.
Armida l'ha guardato da dietro gli
occhiali, gli ha stretto forte la mano.
“Vai,” gli ha
detto “ sei cambiato dall'inizio dell'estate, sei quasi un altro da quando ti
ho conosciuto. Ma non sei ancora tutto a posto. Ci vuole una donna vera che
badi a te, e credo che da qualche parte, a casa tua, ce l'hai
‘sta donna. Quella non è una donna vera, è come eri tu, lontana. E per il bambino… gli racconterò le storie di quando ero in montagna, gli parlerò del coraggio, gli
insegnerò a giocare a briscola, qualcosa
farò. Tu vai, ma torna, qualche volta.”
Davide richiude piano la porta del suo
appartamento. “Incontriamoci poco prima di mezzogiorno al One More” gli ha detto
Giuliano “Un aperitivo, poi vedremo.” Preme il bottone
dell'ascensore, si toglie un peluzzo dal pullover azzurro, fischietta
qualcosa: ancora “These foolish
things”, così, senza una ragione.
L'One more è a poco più di trecento
metri dalla piazzetta. L'orologio sta suonando mezzogiorno, e
quei due pazzi lo hanno bendato e ora lo tengono fra loro, per mano, e
lo conducono chissà dove. La mano asciutta di Giuliano, quella grande, calda e
leggermente sudata di Rosaria. Vederla lì al bar con Giuliano lo ha sorpreso.
No, lo ha irritato, no, gli ha fatto piacere. Ancora non lo sa, non vuole
pensarci. Vorrebbe solo sapere che sta succedendo. Ora vedrai, un attimo di
pazienza. Le loro voci, si accavallano, rispondendo alle sue domande. E poi
zitti.
Si fermano.
Due mani si impacciano mentre gli tolgono la benda.
Socchiude gli occhi alla luce tornata.
Il
locale sembra portare la luminosità all'esterno, invece di impossessarsene.
Spariti i vetri scoppiati, sostituiti da un ampia vetrina
brillante, con una bella cornice laccata d'azzurro tutto intorno.
Sparito l'odore nauseabondo del fumo. Sparito il cartello attività cessata. Un mazzo di chiavi un po' umide gli vengono messe in mano. Davide percepisce i rumori della
piazza come infossati in uno strato di ovatta: un bambino che piange, la risata
di una donna, dei ragazzini vocianti, il battere contro il muro di una palla.
Non si sente più saliva in bocca, è straniato.
Infila
la chiave, non riesce subito, ritenta. La porta si apre silenziosa, scivolando
leggera.
Rosaria
trattiene il respiro, si aggrappa alla mano di Giuliano. Davide, immobile sulla
soglia, si guarda intorno.
Il
bancone del bar è arrotondato e sobrio. Dietro il bancone le bottiglie brillano
allineate sulla scansia sopra la macchina per gli espressi. Le poltroncine sono
azzurre, c'è qualche divanetto. I tavolini sono rettangolari, bassi, di legno
chiaro. L'illuminazione parte da punti luce che rimangono nascosti. L'impianto
stereo è vicino al banco bar, due microfoni appoggiati accanto. Grandi cuscini
multicolori stanno tutto intorno ad una pedana rialzata.
Tre
pareti sono ricoperte di scaffali.
E gli
scaffali sono pieni di libri.
Ha chiesto di poter rimanere solo, per poco, ha detto, lasciatemi un attimo qui, vi raggiungo
subito.
Ancora voci, parole che cominciano a
sedimentarsi in quel luogo: Giuliano che lo tira da parte e gli racconta del
mutuo con cui Rosaria si è voluta impegnare per comprare tutta l'attrezzatura,
Rosaria che gli dice, per fortuna Giuliano è architetto, il progetto lo ha
fatto lui, tutto gratis, e io, poi, la licenza del bar l'ho sempre rinnovata,
ora è venuta buona. L'idea del caffè - libreria l'ho presa da Donna
Moderna, butta lì con orgoglio.
Davide si siede su un divanetto.
Il suo sguardo, lentamente, fa un giro circolare tutto intorno. E' un bel posto:
armonioso, misurato, curato nei dettagli. Un luogo perfetto. Quattro mura dove
rinchiudersi con gli amici. Ecco Borges, e Calvino, Cervantes e Pirandello. Uno, nessuno…
E poi?
Ha un
lieve senso di oppressione e di vertigine, così leggero che quasi non se ne
accorge.
E' un
viandante giunto alla fine di una strada che si dirama in tante altre vie,
tutte lastricate da melodie affascinanti, con ritmi diversi, incalzanti: deve
scegliere il percorso, deve trovare la sua canzone.
Davide
chiude gli occhi. Ha un'immagine del suo cuore: c'è una porta semiaperta, nel
centro.
Si alza,
si appoggia una mano sul petto: non sa ancora chi entrerà da quella porta, o
chi lui lascerà andare.
Sa che
qualsiasi scelta potrà generare rimpianti, sa che potrà deludere e essere
deluso.
Ma così
è la vita, questo ha imparato nell'epifanica estate
appena trascorsa.
Deve
solo darsi tempo. E' il momento di tacere, ora, di svuotarsi di parole, di
respirare con lentezza.
.