Allora ho pensato, almeno uno, almeno
uno ce l'ha fatta. Uno dei miei ragazzi non si è spappolato il cervello impasticcandosi, non è finito dentro, non è andato a
sfracellarsi in motorino, col cervello fuso dalla coca, o dal Tavor mescolato con grappa ai mirtilli fregata al
supermercato.
Ce l'ha fatta proprio Andrea, che fino a poco tempo fa
veniva chiamato cazzo-nano, e lui si lasciava
sfottere, qui al bar, con un sorriso disarmante, strano. Stava in un angolino, vicino la stufa, a leggere Diabolik,
oppure sfogliava Quattroruote. Un'ora, massimo due,
poi correva a casa a studiare. Quest'anno fa prima istituto tecnico.
Però quel giorno Vasco, che arrivò con Rosy,
esagerò con lui: cazzo-nano, mongolino,
scoreggia. Rosy faceva la superiore. Fumava,
sorseggiava una Ceres a piccoli sorsi, guardava il
soffitto. Da donna annoiata. Per lei, la mia bettolaccia, da quando ha
cominciato a puttaneggiare mettendo autoreggenti, reggiseni a balconcino e prendere la pillola di sua madre,
è il posto della disperazione: il suo culetto ce lo
porta, ma solo se non ha di meglio altro da fare. Una volta, massimo due al mese.
A un certo punto, Vasco, dal momento che Andrea non si
decideva a dargli la minima, gli disse: "Quella zoccola di tua madre da
chi se lo fa mettere nel culo, sempre dal
tabaccaio?".
Puttana bastarda, era vero: la mamma di Andrea aveva una storia col tabaccaio.
Io l'avevo saputo due sere prima: me l'aveva detto, ubriaco e in lacrime,
proprio il padre di Andrea, quando nel bar eravamo rimasti soli. Vasco però
l'aveva sparata per puro caso. Disse tabaccaio ma
avrebbe potuto dire anche panettiere: perché lui mica lo sapeva. Allora Andrea,
mai capito dove l'avesse presa, forse dalla tasca
forse da terra, tutto rosso, imbestialito come non l'avevo mai visto, si
scagliò contro Vasco, che non se l'aspettava, conficcandogli una forchetta
nella mano destra. Vasco, strillò come una gatta in calore, perché la ferita
era profonda e la mano sanguinava, mentre Rosy continuava, imperterrita, a
dimostrarsi distaccata. Fumava come fumano le puttane
quando vogliono dimostrare a tutti che sono puttane.
Ero sbalordito. Mai e poi mai mi sarei aspettato di vedere Andrea così, con gli
occhi da matto. I suoi occhi sono buoni, non è un tamarro.
Ma mi aspettavo il peggio, perché Vasco è un vero duro, ha paura solo di Rosy
lui. Infatti. Dopo essersi fasciato la mano con un fazzoletto più lurido dei
cenci che uso per lavare il pavimento, ed esserselo
annodato coi denti, con calma - perché i duri accidenti a loro sono freddi e se
non lo sono imparano a esserlo - accese una sigaretta, mi chiese un Campari, lo tracannò, quindi, lentamente, si diresse verso
Andrea. Io lo sapevo che Vasco ha sempre un coltello
in tasca, per questo non intervenni, ho paura del sangue, e non voglio beccarmi
l'aids, già soffro di cuore.
"Che cazzo, dovevi accompagnarmi alla Benetton, dài che ho fretta"
disse Rosy sbuffando e dimenando la testa. Ma Vasco niente. Era davanti ad
Andrea, al centro del bar. Pensai: ora l'accoltella, ora l'accoltella, così mi
chiudono il locale, mi portano in questura e magari mi riempiono di cazzotti.
Invece Vasco, da vero duro che non ha fretta, che vuol
dimostrarti che è calmo perché vuole farti cagare sotto, disse ad Andrea:
"Vado via con Rosy, ma stasera ti faccio secco, oppure domani, cazzo-nano". Fu l'ultima volta che qualcuno disse ad
Andrea cazzo-nano. Andrea è un po' più piccolo di
Vasco: ma poco. Andrea, sembra quasi un fungo, perché è mingherlino e ha la
testa grossa. E con una testata, improvvisa, tremenda, spaccò il naso a Vasco,
che cascò a terra, kappaò, col sangue che gli usciva
a getto continuo. Era lui, adesso, che aveva occhi da pazzo. Lui, non più
Andrea. Rosy intanto si era girata per non vedere, impressionata da tutto quel
sangue: sulla faccia e sulle mani di Vasco, in quella sana e in quella ferita,
fasciata. Andrea intanto, coi pugni serrati, teso, fissava Vasco che, seduto in
terra, con le mani al viso, senza guardarlo gli diceva "bastardo,
bastardo, mi hai staccato il naso, non riesco a respirare, bastardo".
Nel mio bar, è piccolo, una stanza sola con quattro tavolini, un televisore e
due videopoker, succede di rado che la gente si pigli
a botte. Anche i marocchini quando sono sbronzi e litigano, fra loro o con gli
italiani, vanno fuori a scazzottare. Gli zingari, no, loro non danno problemi,
forse perché compro e rivendo la roba che fregano. Vengono, acquistano doppi
litri di vino a buon prezzo, si fermano poco. Rubare non rubano, anche perché
sto sempre dietro al banco e tengo tutto dietro di me. Quando
il bar è aperto non vado nemmeno a pisciare, anche se certe volte la vescica mi
scoppia e qualche spruzzata di piscio finisce nelle mutande. Se però avevo un
attacco di diarrea, e ogni tanto mi succede specie quando
prendo freddo, chiamavo Andrea: mi sostituiva lui al banco. Di lui mi fidavo.
Dopo aver pestato Vasco - e la notizia destò scalpore: mai
successo che Vasco avesse preso botte da qualcuno - Andrea, di diritto, entrò a
far parte dei duri: e due mesi fa, un sabato sera, quando lo vidi andare via,
casco in testa insieme a Fritz e Luca, tutti e tre in
motorino, dissi fra me e me: pure lui.
Fritz e Luca sono fratelli, Fritz
ha 15 anni, Luca 14. Si fanno le canne, spacciano ecstasy in discoteca, ma mi
hanno giurato e spergiurato che al bar non porteranno mai roba. Vorrei che non
spacciassero nemmeno, è da 10 anni, da quando sono
uscito di galera, che in questo bar sono passati ragazzi che, o sono morti per
overdose, o sono finiti ammanettati. Qui tutti mi rispettano, perché sono un ex
carcerato, e questo fa impressione, ma a nessuno racconterò mai che mi sono
fatto un anno dentro per aver truffato un centinaio di vecchiette travestito da
francescano. Riderebbero. Inoltre sono tutti
convinti, ho messo io in giro la voce, che nel cassetto ho una pistola.
Solo Rosy, una volta, davanti a tutti, stronzeggiò dicendo che se non la vedeva, lei non ci
credeva, perché un ex detenuto non può possedere né pistola né porto d'armi:
gliel'aveva spiegato un carabiniere amico di sua madre.
Ce l'ho a morte con Rosy. Ce l'ho
a morte, perché le ho voluto bene come a una figlia. L'ho aiutata a studiare,
quando doveva preparare l'esame di terza media, l'ho fatta dormire da me, al
bar, quando Tanina, sua madre, la sbatteva fuori per farsi fottere
in santa pace da qualcuno. Rosy aveva due possibilità: dormire in cantina,
oppure nella Panda di sua madre, però senza accendere
il motore. Al freddo. Tanina è peggio delle mignotte
che battono. Lei è zoccola dentro, perché qualche soldo lo guadagna, fa
l'infermiera, inserviente in una clinica privata.
Tanina è bella, madre e figlia lo sono. Tanina, che ha 31 anni e che Rosy l'ha
avuta a 16 anni da padre ignoto, è fatta bene: tette sode, a pera, sedere
ripieno al punto giusto, faccino coi capelli ricci. Rosy invece sembra una
modella. Alta, gambe lunghe, perfette, occhi neri,
stupendi. Stupendi ma bastardi: ti provocano. Poi però se ci provi il suo
sguardo cambia, diventa cattivo, e tu non ci capisci nulla.
A me non fa effetto perché l'ho vista crescere. Mai attizzato da lei. Ma con
Tanina, invece, una sera ci provai. Avevo una voglia matta di ficcarle le mani
fra le cosce, ma non volevo scoparla e basta, avevo anche intenzioni serie; lei
e Rosy potevano venire da me, nel mio appartamento di tre stanze più servizi.
La portai a cena, andando in giro la presi sottobraccio e al cinema mi permise
di giocherellare coi suoi capelli. Ma quando le chiesi se voleva venire a
vivere da me, brusca, con lo sguardo schifato, disse di no.
E io a insistere: vieni a vivere con me, venite da me, staremo bene. "Sei troppo vecchio" rispose. "Che dici, ho solo 9
anni più di te, forse 10". "Ah sì, credevo avessi 60 anni".
No, 60 no, però sembro vecchio. Sono grasso, calvo, poi ho un po' di diabete,
ma ancora non devo farmi l'insulina, così non mi curo, e mangio troppo, e poi
ho i polmoni che di notte fischiano perché fumo 60 sigarette al
giorno, certi giorni 70. Tanina comunque è stronza.
Come sua figlia. Che il giorno dopo al bar, approfittando di un attimo di
silenzio, per mettermi in imbarazzo di fronte a tutti disse: "Volevi
scoparti mia madre ieri sera?".
Non sapevo che Tanina in quei giorni sbavava dietro a un brigadiere dei
carabinieri fresco di nozze. Lui l'aveva scopata, una botta e via, poi l'aveva
mandata a stendere. Tanina è velenosa: non le era mai successo che la sua
passera avesse subìto il trattamento usa e getta.
Volle vendicarsi. E con Rosy andò sotto casa del carabiniere, a tagliargli i
copertoni. Però, le videro, e il brigadiere, avvisato da qualcuno, arrivò
giusto in tempo per pigliarle a calci e pugni. Rosy in
lacrime corse da me: perché sua madre, zoccola e bastarda, era troppo nervosa e
non la voleva intorno.
Poi Rosy è cresciuta, ha cominciato ad andare in discoteca, a farsi sbattere,
prima da Vasco, poi, dopo averlo lasciato, da un avanzo di galera che spaccia
roba pesante ma che gli capita un cazzo perché fa
l'informatore della polizia, poi da gente coi soldi, uomini più vecchi, di 30,
40, 50 anni anche, perché Rosy, benché abbia solo 15 anni, è una donna fatta e
finita. Dicono che quando fa l'amore urla, suda e trema tutta se gli è piaciuto
abbastanza. Ora esce ancora con Vasco, e lui è geloso, perché sa di non essere
alla sua altezza. Tante sere, quando vanno in discoteca, Vasco fa a botte con
quelli che, dopo aver ballato con Rosy vorrebbero provarci. Per questo porta il
coltello. Perché Rosy puttaneggia, facendosi palpare,
provocando con gli occhi.
Vasco a 17 anni è già un delinquente. Ha iniziato nei supermercati: mani in
tasca quando entrava, tasche piene di roba quando
usciva; mai una telecamera che lo beccasse. Poi è andato a scuola dagli
zingari, che gli hanno insegnato a rubare macchine e negli appartamenti. Ora
spaccia: fumo e coca. Vive con la zia, perché i suoi sono morti in uno scontro
stradale. Dentro la macchina, la polizia trovò resti di canne e lattine di
birra vuote. La zia di Vasco si arrabatta facendo le pulizie. Lui non la
sopporta, le urla dietro se lei, per caso, viene qua al bar.
Ma Vasco, soltanto due anni fa era ancora al confine. Nel senso che poteva
salvarsi, perché aveva trovato lavoro, e poi era contento perché aveva Rosy. E
lei, anche lei era al confine.
Due anni fa, quando andarono al bar Roma, il bar dei ricchi, Vasco e Rosy non
erano incarogniti come lo sono oggi. Erano tamarri, e
basta. In tele c'era Juve-Inter, il bar era pieno.
Vasco e Rosy stavano in disparte, perché la gente e i camerieri li guardavano
male. Ma ecco che l'Inter pareggia, gol, gol, la
gente si alza, qualcuno s'incazza, qualcuno applaude,
qualcuno si accorge che il Motorola poggiato sul
tavolino non c'è più, e che Vasco e Rosy se la sono data a gambe. Hanno un
telefonino nuovo. Ultima generazione. Che squilla. Chi è? E' il derubato:
"Per me puoi anche tenerlo, l'importante che tu mi renda la scheda, mi
serve per lavoro. Fidati, se me la restituisci ti regalo un centone".
Vasco si fidò e accettò di fare lo scambio alle 10 in punto alla stazione.
Non sapeva di aver rubato il telefonino proprio a un commissario di polizia. Un
gran cornuto. Li arrestarono, li presero a ceffoni, e poi, va sapere perché,
esagerarono. Il giorno dopo convocarono una conferenza stampa. Dissero che il
fenomeno dei teppistelli di periferia stava assumendo
proporzioni sempre più preoccupanti. E raccontarono del furto del telefonino.
Vero, tutto vero. Dissero anche che nelle tasche di uno dei due fermati, il
maschio, "un minore scafato come un esperto delinquente" scrisse un
giornale, c'era un coltello a serramanico. Vero, purtroppo. Ma inventarono la
storia delle tentata estorsione. Falso, tutto falso.
Raccontarono ai giornalisti che i "due teppistelli"
dopo il furto avevano telefonato al bar Roma e chiesto di poter parlare
espressamente col derubato: "Se rivuoi la scheda, vediamoci alla stazione,
e porta con te un centone". Falso, tutto falso.
Vasco però perse il lavoro, licenziato in tronco dall'autofficina dove lavorava
come apprendista. Buoni quelli. Vasco e un gommista erano addetti ai tagliandi
delle macchine. Mentre l'altro controllava pressione gomme e convergenza, lui
cambiava l'olio, quindi andava al computer, premeva i tasti che gli avevano
insegnato di premere, così dalla stampante uscivano tutta una serie di
controlli che non erano stati eseguiti ma che, l'affezionata clientela, fregata
ma soddisfatta, avrebbe pagato profumatamente. Hai capito?
Comunque l'accusa di tentata estorsione cadde. La zia
di Vasco, svenandosi, pagò un bravo avvocato, che esibì come unica prova i
tabulati del telefono: dimostravano che al bar Roma, quella sera, non era
arrivata nessuna chiamata, né dal Motorola rubato né
da telefoni pubblici. Viceversa, alle 21 e 47, c'era stata una telefonata dal
bar al cellulare rubato. Vasco mi aveva detto la verità.
Ora però non si confida più con me: è un duro, non sopporta sentirsi dire da
qualcuno che farà una brutta fine. Non è cattivo: m'hanno riferito che c'è
rimasto male quando ha saputo che la mamma di Andrea
col tabaccaio ci va per davvero.
Vasco era come sono Luca e Fritz,
oggi: se trovano una ragazza per bene, o un lavoro per bene, o qualche santo,
magari non fanno una brutta fine. Io li chiamo tamarri,
succede spesso che fra loro si chiamino così; sono tamarri,
tamarri al confine: per ora non l'hanno oltrepassato,
non so ancora per quanto. E poi sono preoccupato: saranno 20 giorni che non
vedo più né Andrea né Luca e Fritz.
Poco tempo fa, i due fratelli l'hanno combinata bella. Una notte, sono entrati
negli uffici dell'Asl di via
Piave. Hanno rubato cazzatine: spiccioli, due
ombrelli, 200 biro (che poi gli ho comprato io), e dei detersivi che hanno
portato a casa, un regalo alla mamma, che manda avanti la casa facendo la sarta mentre il marito, muratore, dilapida tutto giocando ai
videopoker e andando a puttane.
Però in via Piave, Luca e Fritz
quella sera, nella scrivania dei veterinario provinciale, notarono anche un
mazzo di chiavi. Erano della sua Uno bianca di
servizio, con tanto di scritta Asl. Appena usciti,
Luca e Fritz hanno individuato la macchina, ci sono
saliti, e poi sono andati in giro per ore. Mi hanno raccontato di aver
incrociato anche una pattuglia della Stradale, che non ha fatto caso a loro,
per via della scritta Asl. Ma poi, invece di tenere la Uno,
alle 4 del mattino l'hanno riportata in via Piave, tenendosi però le chiavi.
Così la sera dopo, e la sera dopo ancora, per almeno dieci giorni, sono andati
in giro fino a quando, una notte, rimasti a secco,
hanno pensato bene di abbandonare la
Uno e di buttare via le chiavi, impauriti dal fatto che, 100 metri avanti, c'era
un comando dei carabinieri. Non sono delinquenti, sono ancora dei ragazzi Luca
e Fritz. Quando vennero al bar una sera a far vedere
la macchina, uno zingaro gli offrì 500 euro, ma loro niente: volevano
continuare a giocarci. Certo che quel veterinario probabilmente si fa di coca:
come cazzo ha fatto a non accorgersi che la macchina beveva il doppio della benzina, e che al
mattino era posteggiata sempre in posti diversi?
Allora Andrea ce l'ha
fatta, sbagliavo a preoccuparmi. Suo padre, due ore fa, è passato qua davanti,
mi ha chiamato, invitandomi a uscire; io ero al mio quinto Campari
prima di cena, lui era in bicicletta, trafelato e sorridente, sorrideva strano,
mi ricordava suo figlio quando gli dicevano cazzo-nano. Aveva in mano un pacco con un vestito per
Andrea "che se ne va, si è sistemato". Gli ho chiesto "dove?" ma è scappato via "ho fretta, ti racconto,
gli ho preso proprio un bel vestito". E io che mi preoccupavo. E quando ho
visto Luca e Fritz, mi sono stupito da quanto fossero
seri. "Ehilà, da dove sbucate. Dài, venite qua
che vi offro una birra. Sapete dove va Andrea? Ha vinto una borsa di
studio?".
S'è impiccato, mi hanno detto, perché sua madre è andata a vivere col
tabaccaio, e lui non ha retto, le voleva troppo bene. Così ho pianto, forte,
come la prima volta, di notte, in galera.