LA PANCHINA
Cosė vecchio mi sento ormai, con
questa panchina unica confidente, capace di aiutarmi in questi pomeriggi sempre
pių lontani. Qui vicino, sempre in questo bioparco,
morė anziano mio padre, e mi piace ricordarne la storia, cui ripenso
ogni volta che torno sotto a questa cupola di vetro.
Mio padre mi raccontava sempre di quando lui era piccolo, del meraviglioso cielo azzurro e
delle stelle la notte. Sapevo che non poteva averle mai viste, che al massimo
ne aveva sentito parlare da qualche suo anziano parente, ma la forza dei suoi
racconti era incredibile, e stimolava la mia fantasia adolescente verso viaggi
romantici in una natura ormai scomparsa.
Parlava di animali meravigliosi, dai
mille colori, di uccelli che volavano sotto a un cielo chiarissimo, di cani e
gatti che vivevano addirittura nelle case con noi, e di uomini e donne che
sorridevano, parlavano, cantavano.
A noi adesso č rimasto il pensiero,
ma tutti dubitiamo gli altri lo usino, nessuno pių scrive, pochi parlano
davvero, e l'unica natura che io conosca č in
quest'area dagli alberi di plastica, unico posto dove, grazie alla cupola, ci
si possono levare i respiratori. Mio padre mi parlava per ore dei forti sapori
della cacciagione, dell'odore della terra bagnata, della gioia di correre
all'aperto, dei ragazzini che giocano.
Io ho un figlio, ma non ci parlo
quasi mai.
Mio padre era considerato un pazzo,
un perditempo pieno di strane idee, e non č stato messo in cura solo grazie
alla pazienza e ai soldi di mia madre. Lui veniva spesso qui, e gli alberi di
plastica piantati in terra vera lo aiutavano a pensare. Morė qui, su questa
terra sempre asciutta, dove nulla č mai piovuto se non
una lacrima di dolore di un povero vecchio colpito da un attacco di cuore.
Le unitā di soccorso ci chiamarono
subito, e io fui il primo della famiglia ad arrivare.
La vista di mio padre morto, disteso
su quella terra vera, mi colpė in un modo inimmaginabile. Piansi, e da allora
cominciai ad avere anche io il desiderio di raccontare fantastiche storie
inventate a mio figlio, per strapparlo da tutto questo grigio.
Ma non lo faccio.
Torno ogni tanto in questo settore, a
guardare gli alberi di plastica, e tengo sempre nel mio studio una ciotola, piena
di terra vera, ogni tanto la bagno con dell'acqua, la annuso,
ci immergo le dita.
Mio figlio non deve sapere. Č giusto
che almeno lui non sappia.