OLTRE LA SIEPE
Quando entrai per la prima volta in
quella villa non feci eccessivamente caso all'alta siepe che la circondava.
Cercavo un luogo isolato, fuori dal mondo per
concentrarmi indisturbato e scrivere quel libro che da tanto tempo mi frullava
nel cervello. La costruzione era a un solo piano a livello del suolo con grandi
arcate, bianchissima, di stile prettamente mediterraneo. Di una bellezza
semplice, pulita dava un gran senso di pace, forse per quel silenzio nel quale
il rumore dei miei passi pareva profano. Riuscii presto ad
adattarmi e i primi giorni passarono velocemente. Avevo comprato provviste per una settimana deciso a non uscire più di un
altro paio di volte in quel mese di affitto. Volevo che nulla mi disturbasse
perché sentivo che presto la mia mente avrebbe partorito un 'opera
eccezionale.
Avevo accuratamente esplorato
l'interno della villa, la rimessa e persino il piccolo pozzo che risultò soltanto un abbellimento. Il giorno dopo fu la volta
del giardino. Pochi arbusti, qualche cespuglio di fiori che fiancheggiava il
vialetto d'accesso, un piccolo aranceto alle spalle...e la siepe.
Era altissima, mediamente intorno ai
quattro metri, ben squadrata e curata. Non un ramo cresceva fuori posto o
sporgeva più degli altri. Mi chiesi chi potesse avere
la pazienza di tenerla in uno stato cosi perfetto, ma poi tutto fini lì, senza
dare al fatto eccessivo peso. In fin dei conti ero stato proprio io a chiedere,
con l'annuncio sul giornale, un posto veramente isolato. E avevo visto quello.
Non ce n'era uno migliore per le mie esigenze. Nessun. rumore
veniva dall'esterno, ma quello che mi sorprese di più fu l'assoluta mancanza di
un cinguettio o del canto di una cicala. Non riuscii a vedere un solo insetto.
Finalmente l'ispirazione giunse e fu
un fiume tumultuoso. In tre giorni buttai giù quasi due capitoli scritti cosi
bene che fui subito certo che avrebbero avuto bisogno soltanto di una leggera
revisione e questo era davvero raro data la mia estrema
pignoleria. Stavo per attaccare il terzo capitolo quando
distrattamente il mio sguardo si posò sulla siepe oltre la finestra.
C 'era
qualcosa che non andava. Lasciai il portatile e uscii fuori un tantino
perplesso. Ricordavo che, sulla destra della villa, proprio dalla parte della
finestra, vi era un boschetto di pini molto più alti
della siepe, quindi dall'interno avrei dovuto vederne le cime, ma oltre la
siepe non si notava nulla. Davvero strano. Non era possibile che avessero
abbattuto tutti gli alberi vicini al confine, almeno non in quei pochi giorni
che ero li. E in assoluto silenzio. Sollevai le spalle e tornai al mio romanzo.
Quella sera mangiai distrattamente. Due passi fuori nel giardino per digerire.
La serata era calda, non afosa, piacevole. Il cielo doveva essere coperto
perché non mi riuscii di vedere una sola stella. A
pochi. chilometri c'era una grande città e certo,
guardando verso est, avrei dovuto vedere il chiarore delle luci nel cielo
notturno. Ma il cielo era di un nero opprimente. Andai a dormire con la bocca
amara.
L'indomani cercai di concentrarmi sul
libro senza riuscirci. Inevitabilmente lo sguardo dal foglio scivolava alla
finestra e correva oltre per posarsi sulla siepe. Dovevo chiarire quel fatto.
Ero certo che c'era sotto il solito stupido errore da parte mia e che si
sarebbe tutto concluso con una risata. Ma dovevo farlo, cosi andai su tutte le furie quando non riuscii a trovare le chiavi del cancello.
Di ferro lavorato in barre quadrate di un paio di centimetri di lato, quindi
molto robuste, dalla parte esterna gli era stata saldata una spessa lamiera che
non permetteva a un estraneo di guardare dentro, ma, e ci feci caso soltanto
allora, anche a me di guardare fuori. Quel fatto mi era piaciuto all'inizio poiché mi teneva lontano da sguardi indiscreti, ma in
quel momento mi parve eccessivo.
Cercai di non innervosirmi
convincendomi che prima o poi la chiave sarebbe sbucata fuori
da qualche parte. Eppure quella siepe...
C'era un ulivo i cui rami contorti si avvicinavano quasi a sfiorare il tetto
della villa. Non c'erano scale di alcun tipo per cui
decisi di arrampicarmi su quell'albero per salire più
in alto possibile. L'arrampicata fu facile e non priva di una certa
soddisfazione per la buona efficienza del mio fisico non più
giovanissimo. Volsi lo sguardo verso il cespuglio. Nulla. Era
impossibile. Per quanto mi sforzassi non riuscivo a
distinguere nulla che non fosse quel cielo celeste chiaro che mi sovrastava.
Certo il terreno intorno era tutto pianeggiante senza neanche una collina che
fosse più di un cumulo di terra, ma, almeno in lontananza, qualcosa avrei
dovuto vedere. Non so, il tetto di un edificio, un serbatoio d'acqua
sopraelevato, un campanile. Nulla.
Scesi nervosamente procurandomi
numerose escoriazioni. Ormai tutto era diventato assurdo. Decisi di passare
alle maniere forti. Quasi di corsa entrai nella rimessa dove, appesa a un
chiodo avevo visto in precedenza una grossa cesoia. L'afferrai e con decisione
andai verso la siepe.
I primi rami vennero via facilmente,
poi ne incontrai di più grossi e divenne sempre più difficile tagliarli fin quando mi trovai di fronte una impenetrabile barriera
vegetale fatta di robusti rami con almeno cinque centimetri di diametro che si
intrecciavano gli uni con gli altri e che non riuscii a tagliare in alcun modo.
Con rabbia gettai a terra l'arnese e
cercai di arrampicarmi.
Fu tutto inutile. I piccoli rami
superficiali si spezzavano facilmente mentre le mie mani e i miei piedi non
riuscivano a trovare un appiglio su quelli più grossi molto bene intrecciati
tra loro. Con un enorme sforzo di volontà riuscii a calmarmi, ormai stavo per
dare fuoco all'arbusto certo però di non ottenere nulla.
Mi ritirai sconfitto in casa in preda
a una spiacevole sensazione di prigionia.
L'alba grigia mi trovò con gli occhi
spalancati a fissare il candido soffitto. Avevo passato gran parte della notte
a cercare la maledetta chiave, ma invano. Non c'era mobile che non avessi
spostato e svuotato, non c'era vestito magari anche mai messo in quella occasione
che non avessi frugato. Eppure pareva che la chiave fosse svanita nel nulla. I
miei appunti giacevano sparpagliati sul tavolo e questo era un sintomo
piuttosto evidente della mia esasperazione. Avevo paura di uscire, avevo paura
di trovarmi ancora intorno la siepe. Preferivo restare
a letto a convincermi che era tutto il solito banale incubo.
Mille volte durante quella specie di
dormiveglia che era stato il mio sonno avevo rivisto lo sguardo divertito del
proprietario che mi assicurava un isolamento completo, mille volte avevo
riudito il rumore del cancello che si richiudeva alle mie spalle. Ero anche
arrivato a illudermi che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a cercarmi.
L'indirizzo l'avevo lasciato a qualche mio amico, ma quando? Tutti, amici e collaboratori,
sapevano che per circa un mese non volevo essere assolutamente disturbato e,
con un brivido ricordai di aver aggiunto: -…anche più di un mese, quindi non
rompete e lasciatemi in pace se volete il nuovo libro.
Cosa avrei mangiato? Dovevo sopravvivere
per riuscire a trovare una soluzione, la dispensa era praticamente vuota. Sarei
dovuto uscire a fare spese... già... sarei dovuto uscire...
E un'idea mi attraversò la mente.
Nuovamente corsi nella rimessa. C'e1'a una lunga pertica che i contadini usavano
per far cadere le olive dagli alberi negli appositi teloni stesi sotto. Era
robusta e piuttosto flessibile. L'idea era semplice: avrei cercato di
scavalcare la siepe con un salto usando quell'asta.
Ai tempi dell'università ero stato un discreto saltatore con l'asta. Certo
l'altezza della siepe non era mai stata alla mia portata eppure non era un
salto impossibile. Dovevo tentare. Passai un paio di giorni ad allenarmi e con
soddisfazione notai che ero in forma. Il bastone si mostrò adatto allo scopo. Mi
preparai in maniera impeccabile. ...
Il giorno del tentativo era grigio e
alquanto freddo. Avevo pulito accuratamente la striscia di terreno che doveva
servirmi da pedana e avevo scavato la cassetta, una buca nella quale andava
infilata la punta dell'asta, ai piedi della siepe in un punto che ritenni adatto allo scopo. Stupidamente mi parve di sentire
la folla acclamare intorno a me e sapevo bene che creavo quella situazione per
aumentare la mia carica emotiva. Feci un breve riscaldamento. Poi partii. I
piedi percuotevano il terreno con forza e decisione e non appena li staccai dal
suolo con l'asta inflessa allo spasimo seppi che ce l'avrei fatta, non avevo mai eseguito uno stacco cosi
perfetto. Forse sarà stato merito dell'asta, forse della disperazione, non so.
Fatto sta che scavalcai abbondantemente la siepe. E la oltrepassai. E quello
che vidi oltre fu il nulla. Il vuoto. L'Assenza Totale.
E' da allora che sto cadendo.