Questo brano fa
parte della nuova raccolta di racconti di Gordiano Lupi “ORRORI TROPICALI” –
introduzione di Gianfranco Nerozzi, con uscita
prevista fine 2006 – inizio 2007, Edizioni Il Foglio – Prezzo € 10,00. Per
ordinarlo:
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La pelle
bruciata
Abitavo a Gonaїves all'epoca dei
fatti, una città di mare, un porto del
Golfo della Gonâve aperto sull'Oceano Atlantico e ai
traffici delle Antille. Per me era soltanto un porto di miseria, uno dei tanti
di quest'isola disperata. La mia casa era in campagna, vicino alle foreste
tropicali che si estendono ai piedi dei monti e dove
scorre impetuoso l'Artibonite. Vivevo con mia moglie Marie e insieme tiravamo avanti coltivando la terra: cereali, manioca e un pugno di riso erano il nostro pranzo
quotidiano. Adesso vivo a Port-au-Prince,
centinaia di chilometri da dove sono nato, dalla terra dei miei avi. Sono
rimasto solo e tutto quel che è accaduto mi pare un incubo, un sogno assurdo.
Spero di svegliarmi, un giorno o l'altro, e di trovare ancora Marie accanto che mi dice: “Va tutto bene, caro. Siamo
ancora insieme, nonostante tutto”. Quanto amavo Marie!
E quanto mi manca in questa città dove incontro gente che passa e non si cura
di ricambiare un saluto. Non conosco nessuno a Port-au-Prince. Nessuno mi conosce.
E forse è
meglio così, dopo tutto.
Sono
scappato lontano. In fuga dai ricordi che impietosi continuano a tormentarmi.
Ho cercato di lasciare alle spalle un terribile passato, una storia che torna
prepotente alla memoria. Una storia che non posso neppure raccontare perché mi
prenderebbero per folle.
E allora,
quando la bestia è lontana e non mi assale, prendo la penna e scrivo. Scrivo
per ricordare a me stesso che tutto quel che è successo è soltanto la verità.
La pura e semplice verità.
Cominciarono
a morire bambini a Gonaїves e nessuno sapeva
spiegare perché. Un terribile morbo, dicevano i medici. Un'epidemia, ribadiva
il governo. Vaccinate i bambini, non esponeteli a rischi di contagio, non
frequentate ambienti malsani e sconosciuti. Raccomandazioni inutili. Da che
cosa dovevamo vaccinare i nostri bambini? Quali erano gli ambienti malsani? Nessuno
sapeva quale fosse il male da prevenire. Nessuno.
Restavano solo piccole salme nei letti ancora caldi, come se uno spirito
maligno di notte succhiasse loro il sangue e ne rapisse lo spirito vitale. La
disperazione si leggeva negli occhi della gente ed erano in molti a rifugiarsi
nell'aiuto delle cerimonie vudù e dei riti magici. C'era chi sussurrava che
tutto dipendesse da un loup-garou,
uno di quegli strani esseri delle leggende che durante la notte si trasformano
in bestie orrende e seminano il terrore tra la gente.
“Il loup-garou si
ciba con il sangue dei bambini. Cresce con il loro spirito vitale”, dicevano
gli stregoni.
Io e Marie non avevamo bambini, per fortuna. Eravamo così poveri
che solo pensare a un figlio sarebbe stata pura follia. Lo avremmo voluto
appena sposati, ma per fortuna non venne. Ad Haiti
tanti ne uccide la fame e quel male qui c'è sempre stato.
“Lo vedi
che è stato meglio così. Sembra un segno del destino”, le dicevo.
“Chi lo
sa? Forse tutto avrebbe potuto essere diverso”, rispondeva lei.
Diverso cosa? Pensavo io. Il destino non si cambia di certo.
Tutto è scritto in un certo modo, da sempre. La sua strana religione invece la
pensava diversamente. Lei provava a spiegarmelo ma io
non capivo.
“Il
futuro dipende dalle nostre azioni. Tutto dipende da noi”, diceva.
Marie soffriva la mancanza di un
figlio e quella brutta faccenda dei bambini che morivano pareva averla
sconvolta. Frequentava le cerimonie vudù e partecipava a riti magici. Io non
avevo niente in contrario, anche se non avevo mai creduto a quelle cose.
“Stiamo
cercando di fare qualcosa perché non muoiano più bambini”, diceva.
“Pensate
di risolvere il problema con i riti magici?”, rispondevo.
“Tu non
sai che potere può avere il vudù. Non te ne rendi conto”.
“Non ci ho
mai creduto, Marie. Non comincerò certo adesso”.
Lei andava da Terese, una vicina che riuniva
gruppi di fedeli per invocare gli spiriti dei morti. Passava fuori buona parte
della serata e spesso si tratteneva anche la notte. Quando rientrava da quelle
sedute faceva discorsi senza senso, cadeva in una specie di trance e restava
con lo sguardo perso nel vuoto. Era un po' di tempo che succedeva e io non
capivo cosa avesse.
“Devo
fare qualcosa”, disse una sera.
“Ma cosa
puoi fare?”, rispondevo.
“Terese ha detto che se intensifichiamo le sedute
sconfiggeremo la maledizione”.
“Credi
che possa bastare? Neppure la scienza comprende…”
“Non è cosa da scienziati, Paul. Cosa può
fare la scienza contro un loup-garou? Solo i riti vudù possono scacciarlo via per
sempre. Dobbiamo allontanare la maledizione dal corpo del posseduto. Lui sa di
averla addosso, però da solo non può liberarsene”.
“Come
puoi credere a queste sciocchezze? Un loup-garou! Sono
favole buone per spaventare i bambini…”.
“Non sono
favole, Paul. Ne so più di te. Credimi”.
Non
risposi. Ero preoccupato per lei e per la sua salute che mi sembrava minacciata
da quella assidua frequentazione della casa di Terese.
Fu così che decisi di spiarla. Volevo capire che cosa facevano a quelle
maledette riunioni. Volevo sapere. Ne avevo ben il diritto. Non era normale che
uscisse da sola di notte e che tornasse a casa sempre più tardi. E poi mi ero
accorto che dopo cena, poco prima che lei uscisse, mi addormentavo troppo
facilmente. Lei mi portava sempre un infuso dolciastro che profumava d'incenso.
Diceva che serviva per farmi dormire meglio.
Una sera decisi di non berlo.
Feci
cadere il contenuto della tazza su una pianta, mentre lei era in cucina e stava
lavando i piatti.
“Vai a
riposare che io mi preparo per uscire”, disse appena ebbe finito.
L'assecondai.
Dopo averla salutata andai a coricarmi e dopo poco mi finsi addormentato. Avevo
deciso che l'avrei seguita, controllando cosa faceva da quella maledetta
strega. L'atteggiamento di Marie non mi convinceva.
“Il sonnifero
ha fatto effetto”, mormorò affacciandosi in camera.
Non
poteva sospettare quello che era accaduto.
La vidi
sollevare alcune assi di legno sotto al tavolo della sala e prendere una
bottiglia con uno strano liquido di colore rosso. Non sapevo che ci fosse un
nascondiglio sotto il pavimento e non avevo mai visto neppure quel liquido.
Pareva vino, ma il colore era molto più intenso. Rimasi allibito
quando vidi Marie spogliarsi completamente e
cospargersi il corpo con quel liquido.
La
sorpresa fu ancora più grande quando vidi che la pelle
le scivolava via dal corpo. La pelle si staccò come fosse un abito da cambiare
e lei rimase in un aspetto orrendo tutta fasci muscolari,
vene e arterie.
Marie continuò la sua trasformazione in quell'essere mostruoso mentre io
tremavo di paura sotto le lenzuola fingendo di dormire. Spiavo con un occhio
soltanto, cercando di non farmi vedere. La vidi posare la pelle umana dentro la
giara con l'acqua che tenevamo nell'angolo della cucina. Fu soltanto allora che
comparvero fiamme sotto le ascelle e sulla schiena due ali di pipistrello.
Ricordai come in un flash back surreale la descrizione del loup-garou che faceva la nonna quando leggeva quella terribile fiaba.
Poi quel
mostro prese il volo. Scappò via dal soffitto di quella nostra casa di campagna
e si volatilizzò passando per il camino.
Non
riuscivo a credere a ciò che avevo visto. Pensavo di vivere un incubo e speravo
che presto mi sarei risvegliato.
Rimasi a
lungo impietrito dalla paura. Non riuscivo neppure a sollevare le coperte sotto
le quali mi ero finto addormentato. Poi decisi di alzarmi. Dovevo fare
qualcosa. Ma cosa? Come potevo impedire che Marie si
trasformasse di nuovo? Cominciai a vagare per la casa con la testa tormentata
da mille pensieri. Mi avvicinai alla giara della cucina. La pelle. Sì, là
dentro c'era la pelle di Marie. La presi tra le mani
e ancora non so spiegare come feci a resistere a quel contatto viscido e
untuoso, a quel terrore che mi trasmetteva per tutto il corpo. Ricordo che
vomitai, che tremavo come un bambino impaurito la prima notte che lo
costringono a dormire da solo, che per poco non persi i sensi dalla paura. Mi
vennero alla memoria tutte le atrocità che aveva
commesso quella bestia immonda, quel loup-garou che non credevo potesse esistere e che invece
avevo ospitato tra le mura della mia casa per tanti anni. Pensai con terrore a
quello che ancora poteva accadere e agli occhi spenti dei bambini che non si
svegliavano dal sonno della notte. Pensai anche a Marie
e a quello che avrebbe potuto fare se avesse sospettato d'essere stata
scoperta. E furono ancora le storie della nonna a venirmi alla mente, quelle
storie terribili e assurde che non facevano dormire.
“Il loup-garou deve
uccidere, è assetato di sangue, conosce la sua maledizione ma
non può farci niente”, raccontava.
Ero io
che dovevo liberare Marie. Nessun altro poteva farlo.
E c'era
soltanto un modo.
“Una
camicia di fuoco lo divorerà tra atroci tormenti…”, continuava.
La pelle.
L'unico modo di uscire da quella folle storia era la pelle che tenevo tra le
mani. La distesi per terra e cominciai a rovistare tra le cose della cucina.
Trovai del sale e del pepe rosso e fu con quelle spezie che cosparsi la pelle,
poi aggiunsi un po' ovunque il limone, strizzandolo e spalmandolo. Lasciai che
la pelle seccasse e riposi tutto di nuovo nella vecchia giara.
Brividi
di paura mi scorrevano per il corpo. Non sapevo se lo stratagemma avrebbe
funzionato. Non avevo idea di cosa potesse accadere.
Dopo tutto era soltanto una vecchia favola.
Tornai a
letto, però non riuscii a dormire.
Attendevo
il rientro della bestia.
Ogni
minimo rumore mi faceva sussultare. Rami che si muovevano nella notte, uccelli
notturni che sbattevano le ali, lugubri canti di civette e gracidare di rane da
stagni lontani. Erano le tre del mattino quando giunse
il rumore di lei che scendeva dal tetto. Fu l'ultima volta che la vidi. Stanca,
spossata e triste. La ricordo così, con le unghie e la bocca sporche di sangue
e lacrime che scorrevano su ciò che restava del volto. Si affacciò alla porta
di camera per essere sicura che dormissi.
Povera Marie, adesso rimpiango quello che le ho fatto, perché lei
non voleva, ne sono sicuro. Le era così buona, povera la mia Marie.
La
ricordo ancora avvicinarsi alla pelle e tentare di indossarla.
Sento
quelle grida di dolore così strazianti. Le sento impresse nel cuore come in
quella maledetta notte. E ne soffro. Ancora oggi ne soffro. Lei era un mostro
assassino, però era la mia Marie. L'avevo così tanto
amata che adesso dimenticare è impossibile. Marie non
riuscì a indossare la sua pelle umana. Non ce la fece. La pelle, cosparsa di
spezie e limone, era diventata urticante e bastava il contatto con la carne per
provocarle atroci dolori. Lei gridava e io soffrivo ma
non potevo far niente. Sentivo i suoi richiami bestiali correre dietro al vento
della notte. La sentivo piangere e urlare di disperazione. Fu così per molto.
Non so come feci a non alzarmi per consolarla e aiutarla. Non so come riuscii a
resistere a quelle grida d'aiuto.
La mia Marie se ne andava.
Io
l'avevo uccisa e nessuno me l'avrebbe più restituita.
E' per
questo che sono scappato da Gonaїves.
Troppi
ricordi. Troppe paure.
Non volevo più avere impressa negli occhi la scena di lei con le carni
scoperte che stringeva la pelle tra le mani e cercava di indossarla. Mi faceva
male soltanto il ricordo di quelle grida disperate.
Perché adesso so che non aveva colpa, povera Marie.
Lei era soltanto una vittima.
Credevo che fuggire lontano potesse servire. Lo credevo, ma è stato tutto
inutile. Il rimorso mi ha perseguitato. E non soltanto il rimorso.
La nonna
diceva altre cose alla fine della storia, diceva che quando un loup-garou muore trasmette il suo male, che la tara passa di corpo in
corpo con il semplice contatto fisico.
Perché
non l'ho ricordato allora?
Maledette
favole. E io che non ci volevo credere.
Adesso
che anche a Port-au-Prince
muoiono bambini comprendo la sofferenza di Marie e
vorrei che fosse di nuovo qui con me.
Lei mi
capirebbe almeno. Lei soltanto potrebbe farlo.
Quando è
accaduto la prima volta è stato terribile.
La pelle
si è staccata dal corpo e ho cominciato a volare.
La notte
avvolgeva i miei incubi con un mantello di lacrime.
E' stato
allora che credo di averla rivista.
Marie. Il mio unico grande amore.
Di nuovo abbracciati, come in una notte di tanti anni fa.