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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Escursione lungo il fiume Mincio di Diego Cocolo 29/09/2006
 

ESCURSIONE LUNGO IL FIUME MINCIO. 

Domenica

Giove Pluvio, anche oggi, non ha avuto neppure la minima compassione di noi poveri escursionisti Campitellesi, con capo il presidente dell'Ente Valle, Salardi dott. Franco, promotore dell'escursione mandando dal cielo, dove stava presidiando il concilio degli dei, la pioggia scrosciante sulle nostre teste canute e le membra stanche. Pioggia e non pioggia, il catamarano “Virgilio”, l'ora stabilita ha lasciato la panchina, che sorge sulla riva del Lago inferiore di Mantova, proprio di fronte al meraviglioso Castello dei signori Gonzaga, la cui progettazione si deve al maestro lombardo, Bartolino da Novara, nel 1386, (come pure quello del Castello Estense ( 1385) lato destro del Ponte di San Giorgio. Prima d'iniziare la navigazione vera e propria sul Fiume Mincio, il Capitano del battello, ha voluto attraversare il Ponte di San Giorgio, facendoci osservare dal Lago di mezzo, la prospettiva della città di Mantova, con le sue torri, i campanili e la cupola di San Lorenzo.

Solo chi entra in città da oriente o da settentrione per le porte di San Giorgio attraversa il lungo terrapieno, sigillo tombale d'antico ponte medioevale ivi sotto da non molto sepolto, o di Mulina percorrendo il caratteristico ponte impostato su di una diga millenaria, sol chi entra in città da queste due direzioni proveniente dal Veneto o da Brescia, ha l'esatta sensazione di Mantova.  Stando in piedi sulla tolda del battello, si ammira un profilo basso, allungato, solo segnato dall'elevarsi d'alcune torri che si rinserrano quasi a protezione dell'alta cupola centrale che tutto domina; non colori vivaci colpiscono la nostra debole vista: un sottile velo di vapore ricopre tutto il panorama ed attenua e smorza ogni vivacità di tinta; il grigio domina su tutto, ma un grigio fatto di chiarezza, di trasparenza; la diresti una città d'argento, ma a contribuire a tutto questo ci ha pensato Giove Pluvio, con la sottile pioggerellina che cadeva lentamente sulla superficie del Lago, sulla città e sugli argini che circondano i tre Laghi. Un profilo basso, allungato, appoggiato su di un tappeto di tenere canne il cui verde subito sfuma in giallo mollemente aurato, tappeto verde e filari di pioppi cui fan corona l'acque del Mincio che talvolta nel colore si rammentano d'essere state Garda, ma che più spesso hanno la notevole luce dell'acciaio. Visione eminentemente virgiliana; e se volgi lo sguardo a mezzogiorno, e di là vedi alzarsi timidi svettanti per l'aria i vecchi pioppi del lucus Virgilianuus creatovi nel bimillenario di sua nascita, vai ripensando i versi del poeta:

“….primus Idumeas referam tibi, Manta, palmas

Et viridi in campo templum de marmore ponom

Propter aquam, tardis ingens ubi flexibus errat

Mincius, et tenera praetexit harundine ripas

 

La storia ci dice che quel tempio ch'egli aveva sognato per Augusto, fu invece eretto alla sua memoria; un tempio silvano le cui colonne sono gli alti fusti dei pioppi e volte la verde ramaglia. Modo più degno non poteva trovar Mantova per ricordare il suo Vate. E se non poche sono le attestazioni d'affetto tributatagli dai suoi concittadini, dai busti romani ai simulacri del medioevo, al monumento a Feltrami, pur tuttavia un'ultima prova vollero dargliela consacrandogli questo bosco che in sé racchiude lo spirito virgiliano di questa industre popolazione che dai campi trae la ragione di vita.

Mantova è stata definita città di sogno e di leggenda; anche la sua origine è avvolta nei misteriosi veli della leggenda, e se pur ebbe tempi di splendore, conobbe anche ore di profonda miseria; ma pur nella sventura mai non venne meno quella georgica serenità di spirito che fece sbocciare dal suo seno dolci poeti, da Virgilio giù giù fino ai più scuri tempi del medioevo. E proprio Mantova, prima ancora che alla corte di Federico, si va poetando d'amore in quella lingua che non è più latino e presto sarà il bellissimo idioma italico.

 Mentre il catamarano è ritornato sui suoi passi e stava attraversando il Lago inferiore per poi navigare al centro del Fiume Mincio, ci voltiamo in dietro e ammiriamo la città bellissima di Mantova, che come gran dama decaduta, conserva ancora le sue bellezze di cento e cento anni or sono; l'ossatura della città è ancor quella che vollero creata i suoi magnifici signori. Rivediamo per l'ennesima volta Chiese romaniche,alte torri che bucano il cielo, palazzi cinquecenteschi, sontuose dimore barocche che la inanellano: nomi di artisti calibri si alternano nella nostra mente con nomi di patrizi fastosi. Questi signori che amavano circondarsi dei geni più eletti ( Guido ospitò il Tetrarca; Gian Francesco accolse il Pisanello; Mantegna più che padovano può dirsi mantovano per il lungo soggiorno fatto alla corte dei Gonzaga; Alberti fu intimo di Lodovico; famose sono le relazioni di Isabella con tutti i più grandi artisti del suo tempo; Federico chiamò Giulio Romano; il Rubens fu il consigliere di Vincenzo, e questo sol per dir dei maggiori), questi signori con il volger dei secoli seppero crearsi una regia a null'altra seconda in Italia, se si eccettua la dimora vaticana. La barca lentamente scivola sulla superficie del lento Fiume e a questo punto è stata sufficiente un'ansa del Fiume, per fare sparire la visione della Reggia dei Gonzaga, fastosa dimora dei più fastosi principi, dedalo intrico di costruzioni sorte in quattro secoli, palestra di tutti gli artisti convenuti a Mantova nelle più varie epoche, fulcro intorno a cui gravitarono le cupide brame di soldatesche predatrici, asilo e rifugio del Tasso cacciato da Ferrara, ultima tappa del calvario dei Martiri di Belfiore innanzi di salir la passione costante e tenace d'è suoi custodi, chi non vorrà scendere a' tuoi cancelli per visitarti? E chi non vorrà far quattro passi fuor della Pustella per soffermarsi a quella villa in mezzo al folto di secolari platani dallo strano nome del Te, villa che fu casino di piaceri principeschi dopo che fu resa splendida dal genio pagano di Giulio Romano?

Viaggiando lungo il fiume e sul fiume Mincio, di uomini se ne incontrano sempre parecchi. Ma si tratta, in genere, di persone che con il fiume non hanno molto da spartire. Sono ben pochi, quelli nati sulle sue sponde: anche fra loro, quasi nessuno v'e l'ha più nel sangue, sia il fiume Olio come pure il Po. Come si faccia a essere innamorati di un fiume così, a sentirselo scorrere nelle vene, e poi, è una osa difficile da capire. Siamo troppo abituati a seguire i richiami di una vita convulsa e diverso senso, per poter amare la quiete semplice del fiume, amari magari anche i suoi lati negativi, le zanzare che si levano dagli stagni, le nebbie persistenti e le piogge d'autunno, il limo vischioso lasciato dalle piene. Anche i figli degli ultimi fumarli la pensano così, in gran parte; e lavorano magari in una fabbrica o in uno stabilimento del Petrolchimico della città di Mantova, che abbiamo appena lasciato alle nostre spalle, o fanno i camerieri a Milano.

 Mentre stavamo navigando nel cuore del parco del Mincio, il parco più bello del mondo, le due hostess del catamarano, si succedevano nel raccontarci la storia di Mantova e nell'illustrarci le bellezze del Parco, mentre una miriade di uccelli rari volavano da una pianta all'altra liberi e felici di vivere nel loro ambiente naturale. Sulla riva del fiume, di tanto in tanto, si vedevano i pescatori della domenica che attendevano che il pesce abboccasse. Guardando a destra e a manca, ovunque fosse bellezza di fertili campi ben ravviati al par di giardini e subito si scorge come l'agricoltura sia la principale fonte del benessere; ma qua e l'è sono sparse anche l'opera dell'umano ingegno, e su questo ci soffermeremo in breve. Mentre la pioggia continuava a scendere con una certa intensità, eccoci giunti a Governolo con le secentesche chiuse del Mincio; ecco l'industriale Ostiglia, che fu patria di Cornelio Nipote. Siamo nell'oltre Po; nei domini della contessa Matilde. E di lei scorgiamo subito i due segni caratteristici: l'amore alla sua terra che volle redenta dall'invadenza delle acque e dalla sterilità dello sterpeto, e la sua grande pietà edificatrice dei templi

Superiamo Governolo con la sua chiusa, e raggiungiamo la grande foce dove il Mincio diventa Po. Guardando quell'acqua limacciosa che scorreva pigra e fiaccata, tanto che sembra di aver perso le sue forze. Quello è il luogo dell'incontro di due fiumi, é il luogo dove il cielo si fonde con il fiume ed il fiume si fonde con il cielo, ma soprattutto ti dà la sensazione di ammirare un paesaggio astratto e metafisico

 A questo punto, il capitano dell'imbarcazione ci comunica che non è più possibile proseguire la navigazione lungo il fiume Po, poiché a causa delle continue piogge, il fiume ha raggiunto quattro metri d'altezza e quindi era pericoloso proseguire fino a Ferrara, a causa anche del galleggiamento in superficie di tronchi e alberi. Il catamarano, ha effettuato un largo giro nel centro della foce del grande fiume Po ed ha invertito la rotta, facendo ritorno nel piccolo porticciolo di Governolo, dove sull'argine il nostro pullman era nell'attesa, per proseguire il nostro viaggio fino alla città di Ferrara. Peccato di questa interruzione fuori programma, ma è stato necessario questo cambiamento di rotta, per garantire l'incolumità di noi turisti e del natante. Possiamo essere altresì contenti, perché non è stato tutto perduto. Abbiamo navigato nelle acque del vecchio fiume Mincio, in quello che nel medioevo era stato definito l'autostrada fluviale che collegava Mantova a Ferrara. Siamo transitati in mezzo a quel meraviglioso parco, in quell'incantevole luogo dove regna il silenzio, la bellezza, la fauna, la flora e la poesia dove il paesaggio si fa aperto e desolato, gli alberi cedono a un'immensa campagna piatta, emergono dopo l'argine le cuspidi dei campanili, le facciate delle chiese, le case e le corte sparse di mattoni rossi lungo il fiume, i piccoli orti, i cortili con il forno a legna ed i filari di viti carichi d'uva pronta per essere vendemmiata, mentre i pescatori continuano pazientemente a pescare quel pesce che non abbocca mai.

Mano mano che ci si avvicina al delta, aumentano i luoghi degni di una visita più approfondita, e magari di una visita non affrettata, ma attenta: di conseguenza, aumenta anche il tempo che bisognerebbe dedicare all'itinerario, possibilmente in una giornata splendida di sole e non come quella di oggi, sotto un cielo plumbeo, grigio e piovoso. Magari solo a Mantova e dintorni, infatti, anche a prescindere dai valori architettonici e storici che in apertura abbiamo citato della città – che sono molti- la bellezza dei famosi laghi, che questa mattina abbiamo ammirato nella loro stupenda bellezza, il corso e la foce del Mincio, già da soli giustificano abbondantemente una giornata di vagabondaggi per la pianura.

Arrivando poi fino ad Ostiglia, un appassionato naturalista non può lasciarsi sfuggire all'occasione di visitare, finché resiste, quell'ultimo splendido frammento delle antiche foreste padane, che è costituito dall'isola Boschina. Si, è vero, occorre la barca, naturalmente, ma può essere noleggiata sul luogo. Un lungo ponte collega Ostiglia con Revere, sulla sponda opposta, antichissima cittadina che risale all'epoca etrusca, e che nel suo pregevole palazzo ducale ospita il Museo del Po.

Da Ostiglia si può ritornare verso Mantova in sponda destra, per Pieve di Coriano, Quincetole, San Benedetto Po. Oppure, per la splendida vista sul fiume e sui terreni golenali, di percorrere verso valle l'argine sinistro del Po, che venendo da Ostiglia si può imboccare prima di Melara, continuare di qui fino a Bergantino e Castelmassa, spingendosi magari fino allo storico paese di Ficarolo, dove avvenne una delle più tremende rotte del Po. In quell'ultima escursione, che abbiamo effettuato molti anni fa, ci è rimasto impresso il grande campanile di Ficarolo che domina fin da lontano la campagna, con la sua caratteristica siluette inclinata come la torre pendente di Pisa.

Sono passati i tempi del mulino del Po, sono praticamente scomparsi i traghetti con la fune tesa da una sponda all'altra, anche gli ultimi ponti di barche sono ormai rimpiazzati da alti ponti di cemento armato con le loro campate proiettate a sfuggire al fiume, come per paura di bagnarsi i piloni. Così accade, invece, che due o più persone come noi vadano in cerca proprio di un ponte di barche, col lanternino, e dopo di averne trovato uno. Senza fare tanta strada, ne troviamo uno proprio a due passi da Capitello, dietro casa nostra, sul fiume Oglio e allora, siamo tutti felici come bambini sulle giostre. Poco tempo fa, le autorità locali e provinciali, hanno minacciato di fare sparire anche questo, come è successo con gli altri ponti e i mulini del Po.

 VERSO LA CITTA' DI FERRARA

Lasciamo le rimembranze e ritorniamo al nostro viaggio verso la bellissima città di Ferrara. Il nostro torpedone procedeva a velocità di crociera, accompagnato da una pioggia continua e scrosciante. Le campagne della grande pianura ferrarese zuppe di pioggia, all'orizzonte lunghi filari di frutteti e pioppeti che facevano da cornice ai lindi villaggi immersi e sperduti nell'immensa pianura, che sfilavano davanti ai nostri occhi come fotogrammi di una pellicola cinematografica in bianco e nero o sbiadita dal tempo. Nel cielo dominava il grigio e annullava le sue bellezze coloristiche di quest'estate che sembrava terminata. Ma quella è stata solo una pausa metereologica, che ha impedito a milioni di viaggiatori di godere della pausa festiva. Dalle insegne stradali abbiamo compreso di essere giunti nella città di Ferrara. Girando a destra e a manca, finalmente, abbiamo imboccato la via giusta per raggiungere il Ristorante, dove eravamo attesi per il pranzo. Il Ristorante Pizzeria, denominato “ L'Archibugio”, era ubicato nella periferia della città e precisamente in Via Darsena, al numero 24/26.

Dopo gira e volta, finalmente il grosso torpedone, si è fermato davanti al locale e sotto la pioggia battente, abbiamo raggiunto l'interno del Ristorante, che era affollato da un esercito di ex bersaglieri, che proprio quel giorno, festeggiavano il loro raduno interprovinciale. In merito a tutto ciò, il nostro gruppo è stato diviso in due tronconi: metà degli escursionisti abbiamo preso posto all'interno del locale, mentre il rimanente è stato sistemato sotto un grande tendone, sistemato nell'interno del cortile. In un'escursione che si rispetti, non c'é momento più bello, che quello della sosta per il pranzo. La filosofia significa amicizia, socializzazione e soprattutto sviluppare rapporti interpersonali in modo costruttivo con gli altri, e dove meglio del ristorante “l'Archibugio” di Ferrara, poteva ospitare tante persone gioiose, tante persone in festa, seduti all'interno e all'esterno del locale, anche se all'esterno continuava a piovere, ma dentro di ognuno di noi, sono sicuro che nasca qualche cosa di diverso, era nata e consolidata la vecchia amicizia. “Un bicchiere dopo l'altro per festeggiare”, come diceva sempre il grande scrittore e carissimo amico Mario Soldati, è quello che ci vuole, come del resto è successo a noi in quell'affollato, ma ordinato e funzionale locale di periferia.

 Dopo la pausa pranzo, abbiamo raggiunto il centro storico della città degli Estensi, e proprio di fronte al suggestivo medioevale Castello Estense, vi era nella attesa la nostra simpatica guida locale, signorina Cinzia Soffritti, che ci ha dato il benvenuto sotto un diluvio di pioggia scrosciante. Un vecchio proverbio dice: “Sposa bagnata sposa fortunata”, nel nostro caso, squadra bagnata, squadra incavolata.

Nel nostro giro escursionistico, attraversando bellissime Piazze, carruggi e viali, abbiamo potuto constatare che la dinastia d'Este ha lasciato un'impronta indelebile sulla città, che con le sue fortificazioni è una delle più belle della regione. La famiglia prese il potere della città nel tardo XII secolo con Nicolò II e lo mantenne fino al 1598, quando fu costretta dal Papato a trasferirsi a Modena. Come abbiamo accennato sopra, per primo abbiamo visitato il suggestivo medioevale Castello. Al maestro lombardo, Bartolino da Novara, si deve il progetto del Castello Estense ( 1385), nel cui interno sono notevoli la sala dei giochi e la cappella di Renata di Francia. Allo stesso progettista, l'anno successivo, gli è stato dato l'incarico di costruire il Castello di Mantova, che differenzia da quello di Ferrara, per le tre torri che culminano il Castello, che fu residenza della signoria, iniziata nel 1385, con i suoi fossati, le torri e le merlature incombe sul centro della città, Ferrante Giulio d'Este furono incarcerati nelle sue segrete, accusati di aver tramato per spodestare Alfonso I d'Este, Parisina d'Este, moglie di Nicolò III, fu giustiziata qui, colpevole di adulterio con Ugo, il suo figliastro.

La storia ci racconta che nel medioevo, culmine dello splendore della signoria, la corte degli Este era tra le più importanti d'Europa e il signore era insieme despota sanguinario e illuminato mecenate rinascimentale. Nicolò III, per esempio, fece uccidere brutalmente sua moglie e l'amante. Alfonso I (1503-34) sposò Lucrezia Borgia, discendente di una nota dinastia italiana; Ercole I ( 1407- 1505) tentò di avvelenare il nipote che aveva cercato di usurpare il trono ( e alla fine lo giustiziò). Ma allo stesso tempo la corte degli Este, come fecero i signori Gonzaga di Mantova, attirò scrittori come Tetrarca, Tasso e Ariosto e pittori come Mantenga, Tiziano e Bellini. Ercole I inoltre, ricostruì Ferrara, facendone una delle città più belle del rinascimento.

A bordo del nostro torpedone, la signorina Cinzia Soffritti, ci ha fatto conoscere i palazzi rinascimentali, il Palazzo dei Diamanti, che prende il nome dal rivestimento bugnato a punta di diamante della facciata che oggi occupa una galleria d'arte moderna, il museo del risorgimento e la Pinacoteca Nazionale, che contiene opere degli esponenti principali del rinascimento delle scuole di Ferrara e Bologna. In passato, pochi anni or sono, siamo stati al Palazzo dei Diamanti, per visitare la mostra degli impressionisti francesi e successivamente la Pinacoteca Nazionale ed il Museo del risorgimento. In altra occasione, abbiamo avuto modo di visitare il Palazzo Schifanoia, che fu il ritiro estivo della famiglia d'Este, iniziato nel 1385, è famoso per il suo Salone dei Mesi, le cui pareti sono affrescate con allegorie dei mesi, opera di Tura e di altri artisti ferraresi. Furono commissionati da Borso d'Este, che compariva in molti pannelli.

Il Palazzo del Comune, lo abbiamo ammirato stando riparati dalla pioggia sotto il portico, che da appunto sul cortile e sulla facciata dell'edificio. Come ci ha spiegato la signorina Cinzia, é un palazzo medioevale, iniziato nel 1243, è adornato con le statue di bronzo di Nicolò III e Borso d'Este, uno dei presunti 27 figli di Nicolò. Entrambe sono copie delle originali ( XV secolo) di Leon Battista Alberti. Voltando le spalle a questo importante Palazzo, potevamo ammirare la facciata del Duomo di Ferrara, del XII secolo, è un insieme di gotico e romanico, progettato da Wiligelmus. Il cuore urbano di Ferrara si configurò nel XII secolo intorno al Duomo, iniziato nel 1135 da maestranze lombarde, con l'agile di archi correnti sui fianchi e anche sulla fronte, cui fu sovrapposta, alla fine del XIII secolo, l'attuale facciata gotica tricuspidata; il campanile fu costruito nel XV secolo, su disegno di Giovan Battista Alberti.

 I rilievi sulla facciata rappresentano scene del Giudizio Universale. Anche se la pioggia cadeva copiosa, ci siamo fatti coraggio, forniti dai fragili ombrellini, abbiamo raggiunto il Duomo, che era appena stato aperto ai fedeli e al pubblico turistico. All'interno abbiamo ammirato i preziosi stucchi romanici, il grande quadro che riproduce il martirio di San Girolamo Savonarola, un figlio prediletto della città di Ferrara.

Camminando sempre sotto la pioggia, abbiamo raggiunto il punto d'arrivo e di partenza, cioè, il Castello medievale della bellissima città di Ferrara, dove abbiamo atteso l'arrivo del nostro torpedone, per fare ritorno a Mantova. In questa nostra escursione- culturale - paesaggistica, oltre ad aver navigato lungo il Mincio e di aver ammirato le bellezze dell'ultimo lembo della verde Lombardia, che non è soltanto la regione dei colori velati dalla nebbia, ma è un susseguirsi di panorami incantevoli e sensazioni suggestive, quasi al limite dell'irreale, ma quello che conta, pioggia e non pioggia, abbiamo scoperta una città meravigliosa, una città che con le sue meravigliose opere artistiche, fece grande il nostro Paese. Noi diremo soltanto garanzie Ferrara! Siamo ritornati al nostro piccolo borgo di sapore medioevale, più acculturati dentro e soprattutto con la gioia nel cuore, per aver visitato una città gioiello dell'arte e della bellezza.

Il poeta pensando al grande fiume, sicuramente, nel comporre la sua lirica, l'avrebbe incominciata così:

 

O VAGO PO

 Improvvisamente il cielo si tuffo

Nel fiume e il fiume limaccioso

Si tuffò nel cielo,

Nuvole sbiancaste e basse.

Nuvole cariche di pioggia

 Si fusero

In un abbraccio sconvolto e

 Atterrito di paure represse.

Acque che vi allargate fra le rive

Come un occhio stupito

Aspettando e sognando

Il ritorno del sole sull'onda riflesso

Sulle acque limpide e serene.

 Che fanno sognare nella dolcezza

Delle notti estive.

 A quando a quando

Oh! Nostalgiche acque di sorgiva,

Acque piemontesi e lombarde.

 

 

 

 

 

 
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