Poesia di una delicatezza infinita, un amorevole dolcezza al di là di ogni retorica, vibrante,
appassionata, con una chiusa a dir poco sublime.
I due orfani
di Giovanni Pascoli
I
Fratello,
ti do noia ora, se parlo?»
«Parla: non posso prender sonno». «Io sento
rodere, appena...» «Sarà forse un tarlo...»
«Fratello,
l'hai sentito ora un lamento
lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane...»
«C'è gente all'uscio...» «Sarà forse il vento...»
«Odo
due voci piane piane piane...»
«Forse è la pioggia che vien giù bel bello».
«Senti quei tocchi?» «Sono le campane».
«Suonano
a morto? suonano a martello?»
«Forse...» «Ho paura...»
«Anch'io». «Credo che tuoni:
come faremo?» «Non lo so, fratello:
stammi
vicino: stiamo in pace: buoni».
II
«Io
parlo ancora, se tu sei contento.
Ricordi, quando per la serratura
veniva lume?» «Ed ora il lume è spento».
«Anche
a que' tempi noi s'aveva
paura:
sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta,
e siamo soli nella notte oscura».
«Essa
era là, di là di quella porta;
e se n'udiva un mormorìo
fugace,
di quando in quando». «Ed or la mamma è morta».
«Ricordi?
Allora non si stava in pace
tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»
«ora che non c'è più chi si compiace
di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni».
(da Primi poemetti)