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  Scritti di altri autori  »  I maestri della poesia  »  Liberare l'animale, di Ferdinando Camon 16/06/2014
 

La poesia che segue fa parte dell'e-book intitolato Dal silenzio delle campagne, edito da Garzanti agli inizi del corrente mese di giugno e che ricomprende, oltre al volume Dal silenzio delle campagne, difficilmente reperibile, anche un altro volume, Liberare l'animale, ormai introvabile in forma cartacea.

Liberare l'animale dà il titolo all'omonima raccolta ed è un testo particolarmente drammatico, è il resoconto di un fatto, durante la seconda guerra mondiale, a cui Ferdinando Camon, allora bambino, dovette assistere.

I tedeschi catturarono un partigiano, suo parente, gli chiesero il nome dei suoi compagni e poiché non rispondeva, benché ferito gravemente, lo mostrarono nel cortile di casa Camon sperando che qualcuno, vedendolo, soprattutto un familiare, si tradisse. Ma ciò non avvenne, salvando così la vita ai parenti; da lì a poco, condotto al castello, fu torturato a morte.

In pratica, come dice la poesia, lasciò loro la vita, ma quest'atto non è meritevole di ringraziamento, perché la vita che allora si conduceva in campagna era miserabile, animalesca e la morte di quell'uomo non commuove il poeta, perché del pari lo commuoverebbe la sua vita, tanto questa era dura e bestiale.  

 

 

 

Liberare l'animale

di Ferdinando Camon

 

 

L'ultima volta che ti vidi

due soldati tedeschi ti portavano

appeso ad un bastone

con una corda passata

sotto le ascelle,

con le mani penzoloni

reggevi forate le budelle

pendule sui coglioni.

 

Ti sospesero davanti a noi

allineati al muro sui ginocchi

perché ci compromettessi,

per non cedere alla paura

ci guardasti fugacemente

ma non tanto che non ti vedessi

il bulbo degli occhi

tremare

impercettibilmente.

Poi ti portarono dentro il castello

sopra il tavolo della tortura.

Dopo due ore, fratello,

eri pronto per la sepoltura.

 

Non sono mai venuto sopra i sassi

della tua tomba indurita

da un tempo senza storia,

non parlo col tuo spirito

o con la tua memoria.

La tua morte non mi commuove

più di quanto potrebbe la tua vita:

questa e quella non hanno uno scopo

per te più che per un topo.

Moristi a vent'anni

famelico e casto.

Il sindaco che ti commemorava

retorico e loico

odorava di pasto

e di coito.

 

Della vita che ci hai lasciato

non ti ringrazio né ti perdono.

Noi dobbiamo contentarci di esistere.

 

La nostra miseria è folklore,

è proprio della bestia il nostro dolore.

 

Non possiamo ancora reagire al male:

occorrono interi millenni

per liberare da noi l'animale.

 
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