La poesia che segue fa parte dell'e-book intitolato Dal silenzio delle campagne,
edito da Garzanti agli inizi del corrente mese di giugno e che ricomprende,
oltre al volume Dal silenzio delle campagne, difficilmente reperibile, anche un
altro volume, Liberare l'animale, ormai introvabile in forma cartacea.
Liberare l'animale dà il titolo all'omonima raccolta ed è un testo particolarmente
drammatico, è il resoconto di un fatto, durante la seconda guerra mondiale, a
cui Ferdinando Camon, allora bambino, dovette
assistere.
I tedeschi catturarono un partigiano, suo parente, gli chiesero il nome
dei suoi compagni e poiché non rispondeva, benché ferito gravemente, lo
mostrarono nel cortile di casa Camon sperando che
qualcuno, vedendolo, soprattutto un familiare, si tradisse. Ma ciò non avvenne,
salvando così la vita ai parenti; da lì a poco, condotto al castello, fu
torturato a morte.
In pratica, come dice la poesia, lasciò loro la vita, ma quest'atto non
è meritevole di ringraziamento, perché la vita che allora si conduceva in
campagna era miserabile, animalesca e la morte di quell'uomo non commuove il
poeta, perché del pari lo commuoverebbe la sua vita, tanto questa era dura e
bestiale.
Liberare l'animale
di Ferdinando Camon
L'ultima volta che ti vidi
due soldati tedeschi ti portavano
appeso ad un bastone
con una corda passata
sotto le ascelle,
con le mani penzoloni
reggevi forate le budelle
pendule sui coglioni.
Ti sospesero davanti a noi
allineati al muro sui ginocchi
perché ci compromettessi,
per non cedere alla paura
ci guardasti fugacemente
ma non tanto che non ti vedessi
il bulbo degli occhi
tremare
impercettibilmente.
Poi ti portarono dentro il castello
sopra il tavolo della tortura.
Dopo due ore, fratello,
eri pronto per la sepoltura.
Non sono mai venuto sopra i sassi
della tua tomba indurita
da un tempo senza storia,
non parlo col tuo spirito
o con la tua memoria.
La tua morte non mi commuove
più di quanto potrebbe la tua vita:
questa e quella non hanno uno scopo
per te più che per un topo.
Moristi a vent'anni
famelico e casto.
Il sindaco che ti commemorava
retorico e loico
odorava di pasto
e di coito.
Della vita che ci hai lasciato
non ti ringrazio né ti perdono.
Noi dobbiamo contentarci di esistere.
La nostra miseria è folklore,
è proprio della bestia il nostro dolore.
Non possiamo ancora reagire al male:
occorrono interi millenni
per liberare da noi l'animale.