Che la guerra sia un dramma è
indubbio, ma non si tratta solo di morti, di feriti o di mutilati, perché c'è
anche chi impazzisce per l'angoscia, talmente forte da provocare sovente il
suicidio. È questo il caso di un poeta austriaco, Georg Trakl
(Salisburgo, 3 febbraio 1887 – Cracovia, 3 novembre 1914). Addetto di sanità il
contatto con le sofferenze dei feriti accentuarono la sua indole depressiva che
lo accompagnava da tempo, cercando di fuggire la realtà e il suo male oscuro
nell'alcool e nella droga; presente alla sanguinosa battaglia di Grodek in Galizia, durante la quale, nella sua qualità di
ufficiale dovette assistere da solo e senza medicine ben 90 feriti gravi, la
sua mente prese a vacillare. In preda alla più profonda prostrazione alcuni
giorni dopo cercò di suicidarsi, ma venne salvato e internato nell'ospedale
psichiatrico di Cracovia, dove circa un mese dopo riuscì a togliersi la vita con
una overdose di cocaina.
Quella che segue è l'ultima poesia che
ha scritto, in cui è evidente la discrasia fra i colori della natura e quelli
della guerra, in cui più che gli orrori, le morti e le sofferenze, regna
opprimente la perdita di ogni speranza nel futuro, come ben delineato negli
sconvolgenti versi finali.
Grodek
di Georg Trakl
Risuonano a sera i boschi d'autunno
Di armi mortali, le dorate pianure
E i laghi azzurri, su cui più scuro
Rotola il sole; la notte abbraccia
Morenti guerrieri, il selvaggio lamento
Delle loro bocche fracassate.
Ma quiete s'adunano nel folto dei salici
Rosse nubi che abita un adirato dio,
sangue versato, frescura lunare.
Tutte le strade sfociano in nera putredine.
Sotto le stelle e i rami dorati della notte
Fluttua l'ombra della sorella per il bosco silente
A salutare gli spiriti degli eroi, le fronti sanguinanti;
E nel canneto risuonano piano i cupi flauti d'autunno.
Oh più superbo lutto! Voi bronzei altari,
La calda fiamma dello spirito nutre oggi un possente
dolore,
I nipoti non nati.