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  Scritti di altri autori  »  I maestri della poesia  »  Una visita di cortesia, di Ferdinando Camon 18/04/2015
 

Non c'è che dire: non ho mai trovato una descrizione delle famigerate SSc più riuscita di quella in versi di Ferdinando Camon. Lui ha saputo cogliere il piacere perverso che allignava in questi assassini e che li portava a far sì che prima le vittime si illudessero, per poi crollare per la consapevolezza della loro sorte. C'era in quei carnefici una fantasia funebre che nella storia non è mai stata eguagliata.

 

 

Una visita di cortesia

di Ferdinando Camon

 

 

Quel che facevano i marines

con l'M16 in Vietnam,

lo facevano le SS con la «machine

pistole» in Pianura Padana.

 

L'SS entrava in casa con portamento

austero, salutando con inchino,

faceva un buffetto al bambino,

sorrideva a tutti ed era bello:

sacramento!,

se c'è un dio in terra, è quello.

 

Lui dichiarava: «Questa

essere fisita di cortesia»,

le donne pulivano una sedia

e gliel'accostavano: «Cossa

podemo offrirghe?»,

«Crazie, un poco di fino».

Guardandole in piedi lungo il muro, zitte,

alzava il bicchiere augurando: «Prosit!».

 

Le poverette pensavano: “È buono”.

Ma la sua faccia diventava strana,

passando da Lucifero a Satana,

metteva l'arma sul tavolo, puntata

sul marito, e lo fissava muto:

quello capiva di essere fottuto.

 

«Chi essere capo particciano

qui?», «Lo giuro, nessuno lo sa»,

«Preco, seguitemi al comando,

per semplice formalità».

La moglie cadeva in deliquio

e gli baciava la mano,

come si fa con una reliquia

di Sant'Antonio:

gli avrebbe baciato anche il culo,

come si fa col demonio.

 

Lui pungeva il prigioniero

con la pistola alle reni,

lei non vedeva niente, gli occhi pieni

di lutto: era già vedova.

 

Da Dal silenzio delle campagne (Garzanti, 2014)

 
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