L'intervista è a Davide Vaccino, 36
anni, vercellese.
Ha iniziato a scrivere i primi versi intorno agli anni '80, ma la sua
carriera artistica si è concretizzata professionalmente soltanto a metà degli
anni '90. Nel 1996 Davide Vaccino ha pubblicato il romanzo gotico “Frammenti di
Pazzia” (2 ristampe), vincitore del Premio Internazionale “A. Manzoni” e del “Trofeo delle Nazioni”. Tornato al suo primo
amore, la poesia, Davide Vaccino si è classificato nel 1997 al primo posto al
Premio Artistico “Città di Cava” e ha vinto nel 1998 il Premio “Cultura
Europea”. Nel 1999, il suo secondo libro: “Benvenuti nel Crepuscolo” (poesie, 3
ristampe) si è aggiudicato il Premio “Regioni
Duemila”; mentre il suo terzo lavoro, “Passaggi” (versi e racconti, edizione
limitata) è stato insignito del Premio Internazionale “Alba del Terzo
Millennio”. Vaccino ha ricevuto finora oltre 60 premi e riconoscimenti in
Italia e all'estero e appare inoltre su una quarantina di Antologie
regolarmente presentate al Salone del Libro di Torino.
L'ultima sua fatica è “Le catacombe
dell'anima”, raccolta di poesie edita
nell'anno in corso dalla casa editrice Il Foglio.
Perché scrivi?
Scrivo,
principalmente per sfogarmi e perché altrimenti non saprei come altro fare per esternare
ciò che provo, e poi penso che l'arte, la poesia, la pittura, la scultura o quant'altro, siano il metodo migliore per “guardarsi
dentro”. Pensa che il mio primo riconoscimento riguardava proprio il dipingere:
ottenni un prestigioso premio nel 1979, poi decisi di lasciar perdere. Provengo
da una Famiglia che definirei con la “F” maiuscola: agricoltori che tuttavia,
nel loro passato, si incrociarono con la nobiltà e nel sentire le storie dei
miei nonni legate da una parte alla vita rurale e dall'altra ad una vita più
agiata, decisi di orientarmi principalmente verso la parola scritta che,
secondo me, lasciava più spazio all'immaginazione, d'altronde tutti noi, se
ascoltiamo le nostre voci interiori, abbiamo la bellissima opportunità di
lasciare oltre al semplice ricordo, pure un tratto di penna che esprime
un'emozione.
Alla base di tutte le tue
opere c'è un messaggio che intendi rivolgere agli altri?
Francamente
non lo so. Mi hanno spesso accusato di scrivere liriche criptiche, ma non ho
fatto altro che portare alla luce quel che provavo, senza pormi troppi
problemi, e se nella vita ho ottenuto qualcosa, oppure ho fatto sentire
qualcuno meglio attraverso i miei versi, l'ho fatto semplicemente essendo me
stesso. Se qualcuno invece non mi ha capito mi dispiace, ma non ci posso fare nulla. Come dico sempre: “Non
sono un tipo commerciale”, o meglio, non amo svendermi. O mi si ama o mi si
disprezza, tuttavia, oggi, c'è chi ama odiarmi e chi odia amarmi a prescindere.
Pazienza.
Ritieni che leggere sia importante
per poter scrivere?
Leggere
è fondamentale, secondo me, ma ci vuole anche la passione. Ricordo alcune
serate al mare, in gioventù, quando i miei amici andavano a ballare nelle
discoteche ed io frequentavo i banchetti dei libri usati. Ho una versione di
“The Raven & Other Poems” (Il Corvo e altre Poesie) di Poe in lingua
originale, anno di pubblicazione (vado a memoria) 1837, che ha le pagine da
muoversi con le bacchette per le ciglia, talmente sono consumate, e che mi
costò soltanto 20 mila lire. Ma indipendentemente dal feticismo letterario,
come si farebbe a scrivere senza una minima infarinatura di altri autori, siano
essi famosi oppure meno conosciuti?
Che cosa leggi di solito?
Riscopro
ogni volta Hoffmann, Balzac,
Poe, Lovecraft, Polidori, Stoker e tutti gli scrittori del Diciannovesimo secolo.
Ovvio che non mi fermo a loro. Fra i nuovi, tuttavia,
rispetto di più coloro che hanno un soggetto interessante e magari
devono ancora farsi un nome, piuttosto che le solite rivisitazioni del Codice Da
Vinci. Ho letto almeno 20 libri che si rifanno a quell'argomento,
e francamente, non me ne voglia Dan Brown, a parer mio il suo libro più bello rimane “Angeli
& Demoni”: gli altri tre, “Codice…” compreso, non mi piacciono molto.
Tornando ai poeti, qualcuno di cui non mi stancherò mai è William Blake: a mio modesto parere irraggiungibile ai giorni
nostri, sia per la forma, che, soprattutto, per il contenuto. Era la semplicità
fatta poesia, ma era di un'efficacia straordinaria. Poi, fra gli italiani, cito
Montale.
Quando hai iniziato a
scrivere?
Potrà sembrare
banale, ma ho iniziato a scrivere in modo serio per amore: lei
aveva quattordici anni e io diciotto, quindi parliamo di circa diciotto anni
fa. La prima poesia che ho composto si intitolava “Ishtar”:
ce l'ho ancora e non l'ho mai voluta pubblicare.
Scrivevo i miei versi su fogliettini leggeri, li
nascondevo negli ovetti della Kinder
e poi li regalavo alla mia fidanzatina: lei mi sorrideva di un sorriso così
sincero e luminoso che, mamma mia, non ho mai più visto nella vita.
I tuoi rapporti con
l'editoria.
Altalenanti all'inizio. Tante prese per i fondelli quando mi facevano
credere che se pagavo venivo distribuito chissà dove e
invece mi ritrovavo con il garage pieno di libri invenduti. Poi sono cresciuto
e, ovviamente, ho imparato a farmi furbo e ad operare una certa scrematura.
L'editore a pagamento (notare che ho scritto “editore” in minuscolo perché
l'Editore con gli attributi è quello che si fida di te ed è disposto ad
investire sul tuo talento) ti fa credere che fa le cose per il tuo bene. Tutte
storie. Dopo tante fregature mi ritengo ora fortunato ad avere pubblicato,
senza che mi venisse chiesto un centesimo, i miei
ultimi due libri: “Alba Priméva” e “Le Catacombe
dell'Anima” con l'attuale Casa Editrice Il Foglio, la quale ha dimostrato una
serietà senza eguali, pubblicando i miei scritti in quanto li riteneva
meritevoli di essere stampati, e non per lucrare sull'ennesimo poeta in cerca
di realizzare un libro a tutti i costi per poi magari venderlo soltanto ai
parenti più stretti.
Che cosa ti piacerebbe
scrivere?
Mi piacerebbe riscrivere, più che scrivere, il mio primo libro,
“Frammenti di Pazzia”, uscito inizialmente nel 1996 e sapere che fosse
distribuito bene. Era un incrocio di sette storie che alla fine si
concatenavano in una sola fine. Dieci anni fa, a parere mio era geniale, ma era
la mia opera prima e non era stata pubblicizzato quanto meritava. Credo che si sarebbe potuto creare quasi un piccolo best seller, con la
dovuta promozione. Sarebbe bello se mi venisse chiesto
di riproporlo, visto che lo amavo quel libro. Poi esiste un mio saggio inedito:
“Stella del Mattino”, che riguarda la visione del Diavolo in ottica moderna.
Insomma: alcune cose del passato vorrei riscoprirle, anche se oggi lavoro
soltanto sulla poesia. A tale proposito sto mettendo giù le basi per un futuro
libro di versi che si intitolerà “NON SIAMO FATTI PER DURARE”.
Scrivere ha cambiato in
modo radicale la tua vita?
Non soltanto l'ha cambiata, ma l'ha salvata. Avrei tanti episodi da
citare, ma sono troppo personali, tuttavia credo che
nel prossimo libro lavorerò molto di introspezione e rivelerò qualcosa su di me
che finora non ho mai raccontato.
Qualche consiglio per chi
ha intenzione di iniziare a scrivere.
Il
consiglio è uno soltanto: scrivete. Tutti abbiamo qualcosa da dire e tutti il diritto di dirlo, ma soprattutto non dimenticate
mai, e dico MAI le vostre radici. Non siate snob. Non siate volgari, non siate
niente altro che voi stessi, raccontate le vostre ambizioni e i vostri sogni
perché alla fin fine sono proprio i desideri e i sogni ciò che ci permette di
andare avanti.