Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Libri e interviste  »  Fabrizio Corselli e Promachos e il Tamburo da Guerra, poema epico in e-book che sarà disponibile prima di Natale sul sito di Mondogreco 05/12/2008
 

Intervista a Fabrizio Corselli, autore del poema epico Promachos e il Tamburo da Guerra, disponibile nei giorni immediatamente antecedenti il prossimo Natale  in un e-book edito da Mondogreco (www.mondogreco.et).

 

 

Prima di iniziare l'intervista desidero precisare che Fabrizio Corselli è un poeta che si esprime con canoni non consueti, cioè in lui c'è una ricerca della musicalità, secondo rigide norme di metrica, che non troviamo normalmente nella poesia contemporanea che in genere, difetta, proprio di armonia.

Quindi Corselli riveste la figura dell'antico bardo che canta le gesta di personaggi mitologici o realmente vissuti del mito greco, ma non per questo meno attuali.

 

 

Ci vuoi dire di che tratta questo tuo nuovo poema?

 

Fughiamo subito ogni indugio. Promachos non intende essere una specie di esortazione al valore bellico (come lo erano le ypothekai tirtaiche) e nemmeno una esaltazione della violenza o altro ancora. Il tessuto concettuale dell'opera verte su basi più estetologiche. Nella fattispecie si ravvisa in essa l'approfondimento di due concetti chiave: quello di "caduta", quale derivazione estesa dei concetti espressi nel mio personale saggio L'ultimo volo di Icaro (da poco accolto sul sito della Fondazione Cavriaghi), e quello di Aletheos (Non-Oblio). Quest'ultimo si lega immancabilmente alla trattazione della perdita della propria umanità subito dopo la conquista della gloria. Promachos è anche, da questo punto di vista, l'analisi poetica della dimensione che caratterizza il post Kleos, di ciò che accade all'eroe subito dopo aver conquistato la sempiterna gloria, e del radicale mutamento che in lui si va sviluppando. Il rapporto gloria-morte, caduta-ascesa si modella in uno scambio dinamico, quasi simbiotico, l'uno necessita dell'altro per poter sopravvivere e potersi compiere. Inoltre, il tono altamente tragico, e l'incursione del tema di Eros e Thananatos conferiscono all'opera una fortissima spinta epica che non solo si estrinseca nelle sue modalità formulari, assecondando il concetto di prépon (conformità) che le appartiene per definizione, ma anche di grande opera lirica.

     Promachos non si limita alla sola "guerra", bensì approfondisce il concetto di "scontro" in tutte le sue possibili estensioni. “Promachos” significa prima di tutto "colui che combatte in prima linea"; l'opera è un poema sul coraggio e su quei valori fondamentali che fanno parte del corredo genetico di un "uomo" e non solo del "guerriero". La guerra intesa come lotta per la vita.

     Per ciò che concerne l'aspetto prettamente narrativo, e diciamo anche di narratività, Promachos è un Concept Work e non una silloge; un'opera ibrida. Essa è supportata da una trama avvincente e ben congegnata che si evolve profondamente, a volte in maniera inattesa, lungo il proprio tessuto diegetico. Lo si evince anche dal fatto che i ponti narrativi, già presenti in altre opere precedenti, qui, sono stati curati nel minimo dettaglio, risultando molto più lunghi se non unici rispetto alla mia intera produzione di carattere epico-mitologico. Inoltre, lo studio particolareggiato investe anche la scelta dei paradigmi mitici greci, intessendo fra loro un'inedita correlazione dal punto di vista dell'avventura; in sostanza, ho messo in rapporto personaggi, creature e luoghi apparentemente distanti tra loro, così creando anche qui una sfida unica. Diverse sono le sfumature sottese a ogni testo e ponte, soprattutto non manca la presenza di creature leggendarie, scontri epici e anche della magia, secondo sempre concezioni dell'epoca, il tutto perfuso da un grande senso poetico. Promachos è anche un'opera fantastica.

     Questa volta non mi sono rifatto alla tipologia del nostos, come è capitato per il Satyros ma ho preferito rendere la storia più viva, più dinamica, insomma più avventurosa. Per certi versi assomiglia più a un romanzo. Ma andiamo ai fatti. La storia è quella dell'imbarcazione della Promachos, per l'appunto, e in particolar modo di una parte del suo equipaggio: un manipolo di guerrieri che altresì incarnano eccelse doti artistiche, e che per questo prendono il nome di Polemadontes, ossia “Cantaguerra”. L'approdo presso la Troade, la riscoperta delle rovine della città di Troia e persino il ritrovamento di un olimpico artefatto, innescheranno tutta una serie di peripezie tali da rendere il soggiorno nell'antica città ai limiti del reale. 

     La trama dell'opera prevede anche la presenza costante di un Dio, avverso come ben si può immaginare, e del suo tentativo di possessione, ma il tutto non si sviluppa così banalmente, introducendo l'alito della divinità poco a poco. Molto è stato studiato anche sull'interazione con il luogo. Tutto l'impianto è stato ordito nei più piccoli dettagli come la volontà pianificatrice di una divinità olimpia. Del resto, per Aristotele la “verosimiglianza” è anche potere dell'arte altresì della soggettività del poeta, il poeta stesso viene definito un “facitore”. Io preferisco quello di architetto.

     In conclusione, Promachos è l'opera che ho sempre voluto scrivere riguardo alla dimensione mitologica.

 

 

Hai accennato alla possessione. Se non sbaglio anche nella precedente opera, Amor di Ninfa, c'è un caso simile.

 

Sì, ma è ben diverso. In Amor di Ninfa la questione della Ninfolessia è il perno centrale e il tema portante dell'opera. Qui non abbiamo il Nympholeptos, bensì il Theoleptos, anzi nell'essere più precisi, il caso del Theoplektos (“colpito dalla divinità”), a cui soggiace peraltro uno solo dei Polemadontes, e che si risolve in una modalità ben diversa dalle due fondamentali epifanie erotiche tipiche di Zeus: cioè il ratto e lo stupro. Ben vedrà il lettore come avviene il tutto.

     Legato invece a quest'ultimo concetto è la scelta della copertina. L'immagine raffigura Aiace Oileo, da non confondere con l'Aiace Telamonio, il quale rapisce Cassandra dal suo tempio. Qui si pone il rapporto della poesia con il cosiddetto “delirio cassandrino”, ossia il tentativo di carpire in forma quasi oracolare il responso della divinità Arte, di entrare in possesso della verità sottesa al testo poetico, attenendo il tutto anche alla questione interpretativa. Disvelare il gineceo del testo, la sua Ignis Vesta.  Il poeta, del resto come il traduttore, è uno sciamano, un sacerdote che interloquisce con la propria Musa. Promachos è soprattutto un'opera sulla Poesia, sul poeta e sul potere della sua soggettività.

 

 

Hai più volte citato i Polemadontes. Ti dispiacerebbe approfondire meglio la figura di questi cantori, protagonisti dell'opera?

 

I Polemadontes rappresentano il fulcro della storia di Promachos, e a loro è legato il motore che fa andare avanti ogni cosa, soprattutto quel rituale poetico che essi definiscono Eikos. Riporto a seguire una parte del testo proveniente dall'antefatto per far comprendere meglio di cosa si tratta: “Laddove andassero, qualsivoglia fosse la terra conquistata o solamente lambita dalla loro nave, i cantori di guerra vi edificavano il proprio tempio attraverso quel rituale artistico che nella poesia ritrova la sua sublime architettura. Come menadi al servizio di Dioniso, ognuno di loro avrebbe onorato il rito, versando non più fiumi di vino rosso bensì miele stillato dalle menti ispirate nel grande cratere della musa Calliope. All'interno di questo contesto, soprattutto le qualità individuali dei Cantaguerra, di artisti e guerrieri, influenzeranno profondamente lo stile poetico impiegato nelle personali composizioni. Ma c'è sempre un “ma” e durante il circolo di narrazione poetica succederà di tutto.

     I personaggi appartenenti al gruppo sono: Eteocle di Micene, capogruppo dei Cantori; a seguire, Calypsos, L'Amazzone di Temiscira; Kyos di Tebe; Enfialo di Elide; Eutimo di Corinto; Carrothos di Sparta, e non per ultimo, in ordine d'importanza, Melesigenes di Chio. Ognuno di loro è caratterizzato da un diverso background e un diverso approccio alla poesia. Per esempio Eutimo è più uno storico che un aedo, così come Melesigenes è di contro l'aedo per eccellenza. Figura cardine dell'opera è invece l'amazzone Calypsos, responsabile del dramma che segnerà il destino dei Polemadontes. La derivazione del suo nome è proprio quello di “kalyptein” ossia “colei che cerca di nascondere”, e non a caso il tema da lei trattato nella personale poetica è l'Ombra e la caduta dell'Eroe in guerra. Non svelo però più di tanto.

 

 

C'è un perché tale circolo di narrazione poetica si chiami Eikos, o è del tutto casuale?

 

Non è causale. Eikos venne impiegato da Aristolele nella sua Poetica, libro che consiglio vivamente di leggere o di rileggere all'infinito. Il concetto di “plausibilità” (meglio che di “verosimiglianza”), e il suo legame al mito e al racconto specialmente in Platone, assurge a cardine del circolo di narrazione poetica; a esso si lega anche il concetto di ananke (Necessità). I Cantaguerra portano avanti anche il concetto di Inventio e di Immaginazione, ma soprattutto quello di Improvvisazione. Proprio in quest'ultimo caso, bisogna dire che l'idea intorno alla quale gira l'intera opera, nasce da un gioco di narrazione che ho pubblicato tempo fa con il Chimerae Hobby Group, intitolato Ellende Lyrhelei (giunto alla sua seconda edizione, contemplando finanche l'uso di carte da gioco). Il sistema di gioco prevede l'improvvisazione di una storia interattiva, che a turno viene gestita da un narratore-giocatore, detto Cantore, mentre gli altri restanti giocatori vestono il ruolo di un personaggio all'interno di quella storia (secondo le pratiche del GdR da tavolo). Una volta terminato il proprio turno, il Cantore passerà l'onere della continuazione della storia a quello successivo e così via (detto in termini molto semplici). Da questo sistema è scaturita l'intera gestione dell'Eikos, con le relative complicazioni narrative. Però sarebbe fortemente riduttivo considerarlo semplicemente secondo tale pratica esposta. Anche i passaggi da un Cantaguerra all'altro sono stati architettati in maniera da rendere il tutto più omogeneo, e all'interno sempre della trama. L'opera mira alla coerenza.

 

 

La tua è una poesia non consueta, che qualcuno potrebbe anche definire desueta. Però, dopo il non breve periodo ermetico, mi sembra che le sperimentazioni successive non si siano concretizzate in una corrente uniforme, ma abbiamo finito per essere e restare dei meri tentativi individuali. Peraltro, si sta assistendo, sia pure per ora in misura sporadica, a un recupero della classicità della poesia, nonché a una riscoperta di metriche che la facciano uscire dall'andamento prosastico che ancora caratterizza le opere contemporanee. E' così anche secondo te, e se sì, gradirei sapere la tua opinione in merito?

 

L'epos come “parola” affidata alla misura del metro è la poesia più antica e tradizionale della Grecia. Ciò che in verità può apparire, oggi, come una “classicità” della poesia è soltanto la naturale esigenza di porre ordine alla sua struttura, in termini di armonia e coerenza. L'andamento prosastico non è nemmeno relazionabile a una “metrica”; è storia vecchia. La falsa democratizzazione dell'arte, diciamo quella nauseante forma di pietà cristiana, che quasi è dovuta a chi imbratta i fogli per farlo contento, ha portato ad accontentare tutti (facendo salvo il diritto di espressione, in quanto esigenza dell'anima; elevare ciò a un livello che non gli appartiene, è altro). Per cui, la maggior parte degli scribacchini, scevri da qualsiasi conoscenza stilistica, ancor più della lingua, forgiano dapprima testi in prosa, per poi spezzarli secondo una pseudo logica versificatoria; alla fine si risolvono in pensieri e tautologie. Ogni tanto qualcuno rinsavisce e comprende il dilemma, attuando un tentativo di trasformazione del proprio modus operandi. Certo, non si pretende un tentativo alla stessa stregua dell'Alemanni o del Chiabrera, peraltro discutibile, o con esiti diciamo positivi nel caso della metrica barbara di Carducci o degli studi sui classici del D'annunzio. L'importante è ridare alla poesia la sua veste originaria nei termini di musicalità e dignità.

     Il pensiero si sviluppa in molteplici direzioni, e la poliedricità culturale ha fatto sì che l'ideologia poetica si diversificasse profondamente all'interno del sistema di lettura; di contro non esiste più una sola tipologia poetica e un solo lettore. A essere unica, invece, è la formulazione di una considerazione perniciosa sulla natura della poesia “moderna”, che va a detrimento di quelle tipologie basate soprattutto sulla fruizione estetica: cioè il considerare la poesia, in senso troppo rigido e univoco, direi anche arbitrario, come un prodotto del solo vissuto. È successo che, quando mi recai al Palazzo Reale di Milano, per un articolo giornalistico sulla mostra del Canova, un osservatore liquidò il tutto sostenendo che le opere fossero fredde e che non dicessero nulla. In sostanza, prima di ritornare a “metriche arcaiche” e classicità della poesia, bisogna imparare il concetto di Bello, in tutte le sue implicazioni, e sviluppare la fruizione estetica o soffriremo sempre di alcuni vizi d'interpretazione.

     Un altro problema è anche quello della rapportabilità a un contesto più vicino al lettore. Se prendo la Guerra di Maratona come exemplum poetico per imbastire un poema sul potere obliante della guerra stessa, sul dolore del guerriero, sulla miseria dei vinti, di certo sarà meno recepita rispetto a un poema ambientato durante la Guerra Mondiale, ma i concetti sottesi ai due contesti sono uguali.

     La verità è anche che il lettore moderno è pigro, e non ha voglia di fare ricerca, di studiare. Da questo punto di vista, ha più successo il testo fast food. La nuova struttura della cultura non è la Biblioteca ma il Macdonald.

 

 

Tu che tipologia di metrica usi?

 

Nel mio caso, non parlerei proprio di metrica in senso stretto, specialmente perché non impiego metri poetici o schemi rigidi, bensì io parlerei di stilemica. La struttura versificatoria, nella mia poesia, ha una sua fisionomia ben definita, con tutti i suoi accorgimenti costanti e stilisticamente controllati. Ciò che io chiamo, quasi per scherzo, "metro arcadico" è un verso libero che si piega al regime del ritmo semantico. Una tensione che viene costruita, soprattutto in termini di carattere sintattico, attraverso l'evocatività e la suggestività della parola, creando così uno slancio dinamico in termini di significato e concettualità alta. È proprio l'accostamento delle parole in una certa posizione e grado, a costruire il tessuto ritmico del testo. Molti lettori potrebbero avere la sensazione della presenza di parole "alte" o pompose, ma poi, a una più attenta osservazione, si scopre che non c'è nulla di tutto ciò. In sostanza, è come comporre musica senza l'ausilio dell'accordo, semplicemente affiancando le note in rapporto alla loro enarmonia e facendole vibrare singolarmente: alla stessa maniera, la parola risuona della propria musica.

     Il testo non soggiace più al peso dell'accento o delle sillabe ma accoglie con euritmica forza l'afflato ispirativo del poeta. Una piena simbiosi tra le forme. Il ritmo semantico che adotto è solo la base sulla quale agire con espedienti stilistici tipo l'Iperbato e l'Anastrofe che mi rappresentano (figure fondamentali per la rottura dell'ordine sintattico; dall'Ordine si ricostruisce il Caos, facendo del "disaccordo" intima armonia universale). In sostanza, alla base c'è sempre la Musica. Innervando poi la versificazione con tutta una serie di formule, topoi, paragoni, similitudini, scene tipiche e schemi di azione, finanche registri linguistici adeguati, tipici dell'epica, variando stavolta la dislocazione euritmica delle parole in modo da creare una cadenza più “lineare”, si arriva a ciò che io chiamo "epica forma". La differenza sostanziale col "metro arcadico" è l'uso dei versi nel senso più di epos, narrazione, evitando strutturazioni ancor più ostiche come lo potrebbe essere nel caso della concinnitas ciceroniana. Il metro arcadico viene strutturato secondo un sistema a blocchi di marmo contrapposti. La Poesia è Architettura (del resto il termine "euritmico" lo ereditiamo da tale disciplina). Nell'epica forma è anche possibile trovare l'implemento dell'Adynaton e soprattutto della Circonlocuzione come figure retoriche, adottate in particolar modo per ovviare alla ripetizione degli epiteti di alcune divinità. Dovendo fare in ogni modo un discorso più generale, l'epica forma si basa, sì, su formule ed elementi caratterizzanti l'epica antica ma subisce immancabilmente una trasformazione in termini di  linguaggio più sobrio e moderno, di più facile accesso anche per coloro che si accostano per la prima volta alla mia poetica.

      La difficoltà maggiore di Promachos non deriva più dal linguaggio, che anzi risulta più scorrevole proprio in virtù della forma narrativa, ma principalmente dall'uso smodato e malizioso dei paradigmi mitici usati, delle loro varianti, delle loro iconotropie, soprattutto dall'innervatura di alcuni elementi per gli addetti ai lavori. Non basterà il semplice dizionario di mitologia greca, il lettore sarà portato a una consapevole ricerca all'interno del vasto parco del mito. Ti faccio l'esempio più semplice: laddove scrivo “muse aptere”, si intendono le sirene, in quanto secondo la mitologia, le sirene erano muse. In seguito, furono punite da Calliope e private delle ali. In sostanza, Promachos è un'opera per synetoi, “intenditori”. Del resto, il fatto che le mie opere non presentino alcuna velleità editoriale, la dice lunga sul mio rapporto con la pubblicazione. Mi sembra di essermi espresso abbastanza nella precedente intervista, durante l'autopubblicazione di Amor di Ninfa, per di più rispondendo ad alcuni detrattori, ancora infastiditi dal fatto che pur “essendo così acclamato” non abbia ancora pubblicato con Mondadori o altri. Qui parliamo di Scrittura e non di Editoria.

     Inoltre, per la stesura dell'opera, mi sono avvalso anche della consulenza del Prof. Franco Sanna per alcune traduzioni e l'ampliamento di alcuni aspetti stilistici. L'approfondimento, invece, dell'aspetto mitologico è stato rafforzato attraverso la consulenza del Prof. Ezio Pellizer, con il quale ho avuto diversi contatti tramite email, altresì usufruendo del Dizionario Etimologico della Mitologia Greca multilingue On Line (DEMGOL), elaborato proprio dal Gruppo di Ricerca sul Mito e la Mitografia dell'Università di Trieste (GRIMM, Dipartimento di Scienze dell'Antichità "Leonardo Ferrero"), di cui lo stesso Pellizer è coordinatore dai primi anni '90, oltre che Professore Cattedratico, Ruolo di Ia fascia, titolare della Cattedra di Letteratura greca presso l'Università di TRIESTE dall'a.a. 1994-95 (http://www2.units.it/~grmito).  

     Alla fine, ciò che realmente mi sottrae alla caduta come mero emulatore di classici è proprio quello di non rivestire tale ruolo. Io non emulo e tantomeno non intendo farlo, essendomi mai presentato in questa veste; i Classici sono i Classici e vanno preservati. Nello stile, c'è molto di mio, uno stile soprattutto personale seppur vicino all'epica e classicheggiante. 

     Per chi volesse approfondire l'ordine concettuale della mia poetica in rapporto ai Classici, potrà farlo visionando il saggio L'Ultimo volo di Icaro presso il sito della Fondazione Cavriaghi (www.antoniocavriaghi.it.gg).   

 

 

L'epica ben si presta a un poema, anche se abbiamo esempi di opere di altro genere. Il ricorso alla solennità dei versi tende in effetti a dare risalto a gesta e a personaggi di particolare rilievo. Tu li cerchi generalmente fra protagonisti e fra figure mitologiche dell'antica Grecia. Non hai mai pensato di ricorrere a nomi di grande rilievo della storia romana o anche di quella successiva (tanto per fare degli esempi, Giulio Cesare o Giovanni dalle Bande Nere)?

 

Vi ho pensato sì, ma ho sempre preferito impiegare il mito e i paradigmi mitici greci, proprio per il loro ampio concetto di “mythos”. Inoltre, l'uso di uno o dell'altro protagonista non cambia, poiché mantengo le mie trattazioni, anche come forma di attualizzazione dell'elemento mitologico, sul piano prettamente concettuale, soffermandomi su canoni eterni e in senso assoluto. Ti faccio un esempio. In Amor di Ninfa, io tratto e sviluppo il concetto di “delirio ninfale”, “possessione dell'arte”, “ispirazione artistica” e così via. I protagonisti sono Eros e Psiche ma potevano essere tranquillamente altre persone. Certo, in questo caso il paradigma mitico di Eros e Psiche si presta a molte congiunzioni nodali con la Ninfolessia, secondo una più omogenea strutturazione diegetica, ma i temi sono sempre gli stessi in qualsiasi ambito e tempo; l'Amore è Amore, il Coraggio è Coraggio.

     Anche la figura dell'eroe rimane in via universale la stessa. Rileggendo il secondo paragrafo della Poetica di Aristotele rileviamo una vasta gamma di eroi, in base alla loro natura e alle loro azioni. Così per esempio, l'eroe che impiego in Promachos è superiore in grado agli uomini ma non al suo ambiente naturale, ovvero il personaggio dell'epica e della tragedia, cioè delle opere alto-mimetiche, sempre secondo Aristotele. In sostanza, alla fine, è una questione preferenziale sui topoi da adottare. Il mio campo d'indagine e studio è la mitologia greca e su quella mi mantengo, ciò però non toglie che io in futuro non possa impiegare un partigiano come “eroe” al posto di un ilota, in un contesto ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

 

Un partigiano come eroe e l'ambientazione nella seconda guerra mondiale. Non penso che tu abbia scritto questo a caso, ma che in fondo ci sia almeno l'intenzione di mettere in versi l'epopea di un italiano che ha saputo e voluto opporsi alla ferocia teutonica e al falso concetto di onore dei repubblichini. E' così?

 

Sì, è così. Penso proprio che in futuro farò il salto tematico. Soprattutto è una sfida con me stesso. In questo periodo, poi, stiamo assistendo a una forte oppressione in campo politico. Ho fatto l'esempio dell'ilota, ma la maggior parte dei popoli ha vissuto conquiste e soprattutto subite da tiranni e colonizzatori. Mi piacerebbe anche scrivere un'opera sui Conquistadores spagnoli, principalmente dal punto di vista dei popoli indigeni. In questi giorni, sto proprio portando avanti lo studio della colonizzazione spagnola e l'approfondimento delle civiltà Azteche, Maya e Inca in rapporto alla campagna di conquista di Cortez e Pizarro, con uno dei ragazzi del sostegno. Il massacro e le barbarie intraprese dai due condottieri sono affiancabili alle terrificanti azioni di Hitler. In ogni modo, vedremo.

 

 

Ci sono programmi per l'immediato futuro?

 

Per adesso, no. Intendo dedicarmi a Promachos. Diciamo che porterò poi avanti lo sviluppo di alcuni saggi sulla poesia, riunendoli in un unico compendio. Forse su Promachos scriverò un altro capitolo. Per adesso è tutto.

 

 

Grazie, Fabrizio e auguri per questo tuo ultimo lavoro che i lettori potranno trovare su Mondogreco molto probabilmente a partire dal 20 del corrente mese.

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014061646 »