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  Libri e interviste  »  L'intervista di Renzo Montagnoli a Carlo Bordoni, autore di “Il cuoco di Mussolini”, edito da Bietti 05/03/2009
 

Intervista a Carlo Bordoni, autore del romanzo Il cuoco di Mussolini, edito da Bietti.

 

 

Il cuoco di Mussolini è il tuo ultimo lavoro, ambientato in una Toscana sconvolta dalla guerra e nell'estate del 1944. Senza svelare la trama, peraltro di assoluta fantasia, tranne per le caratteristiche di alcuni noti personaggi, penso che sia un romanzo affascinante, basato com'è sul contrasto fra un mondo al crepuscolo (quello del fascismo) e sull'incerta alba di una nuova società, rappresentata nel caso specifico da un ragazzino, diventato cuoco suo malgrado di Mussolini. Come ti è venuta questa idea di scrivere un'opera ucronica solo per quanto concerne un'ipotesi larvata, anche se attendibile o meglio ancora possibile, mentre estremamente realistica nel descrivere la psicologia dei personaggi?

 

Potrà sembrare strano, eppure all'origine del “Il cuoco di Mussolini” c'è un sogno. Anzi, per l'esattezza due frammenti di sogni che, per una ragione inspiegabile (dal momento che non ricordo mai cosa ho sognato), si sono fissati stabilmente nella memoria. Il primo è uno squarcio di guerra, dove ero trascinato al fronte da un soldato tra esplosioni, raffiche di mitra, fumo e feriti. L'ho utilizzato per l'incipit del romanzo ed è rimasto, anche qui, un'immagine da incubo da cui il giovane protagonista si sveglia angosciato. Perché nel '44 la guerra c'era davvero. Il secondo è uno di quei flash inspiegabili che si possono giustificare solo con una digestione difficile: ero accanto a Mussolini, in posa, per una foto ricordo. Forse perché siamo nati nello stesso giorno, il 29 luglio? Il mio tentativo di mettergli una mano sulla spalla, come si fa quando si è in gruppo davanti al fotografo, è bloccato da un'occhiataccia del duce. Non esageriamo, ragazzo. Troppa confidenza!

Questi due frammenti hanno continuato a ronzarmi nella testa finché non ho deciso di costruirgli attorno una storia. Non poteva che essere una storia ucronica, cioè una possibilità fantastica (ma verosimile) che mi affascina molto e che non è molto utilizzata in letteratura. Anche se ha delle possibilità di sviluppo inimmaginabili ed estremamente coinvolgenti.

 

 

Si potrebbe pensare che i sogni siano  effettivamente veritieri e cioè che poi si trasformino, sempre o quasi, in realtà. In questo caso lo spunto onirico, fuso con la creatività, si è concretizzato in una bella storia, piacevole da leggere e anche molto interessante per alcuni aspetti. Benché a Mussolini sia riservato un ruolo di primo piano, la vicenda è imperniata, giustamente, sulla figura del giovane cuoco, la speranza di un futuro in un mondo ormai morente. E' esatta questa mia interpretazione?

 

 

Certo. Il protagonista è il ragazzo senza nome, mentre Mussolini è visto attraverso i suoi occhi. Sono occhi innocenti che guardano il mondo senza pregiudizi e con la speranza, propria dei giovani, che la realtà possa essere diversa da quella che appare in quel momento tragico che il nostro Paese ha vissuto in quegli anni.

 

 

Secondo me uno dei pregi di questo romanzo sta nel fatto che non può essere considerato di parte, nel senso che non lo intendo un'apologia del fascismo e nemmeno dell'antifascismo. I due personaggi principali, Mussolini e il giovane cuoco, sono visti come esseri umani in preda ai problemi contingenti; in particolare rilevo come psicologicamente la figura del duce sia resa in un modo che con ogni probabilità corrisponde alla verità: è un uomo finito, in preda alle proprie paure e che tuttavia cerca di illudersi che per lui esista ancora un futuro, magari da borghese. Questa fine descrizione psicologica è frutto di una ricerca praticata su testi storici o è un tentativo di immedesimazione nei panni di un uomo disperato, oppure sono l'uno e anche l'altro?

 

Temevo l'una e l'altra cosa. Da una parte la figura di Mussolini trattata come uomo degno di “pietas”, privo della consueta retorica accusatoria, rischiava di attirarsi un'accusa di revisionismo (non si possono dimenticare le accuse rivolte a suo tempo a uno storico come Renzo De Felice). Dall'altra il riferimento alla scelta libertaria del giovane protagonista poteva far pensare a un certo antifascismo di maniera che oggi non avrebbe senso. Troppo facile e scontato, quasi stucchevole. Ho cercato di evitare entrambi i rischi attraverso un'attenta equilibratura dei toni e delle parole.

La figura del duce mi è parsa interessante da indagare e da leggere in maniera insolita. Quali sono le sensazioni, i dubbi e i pensieri che affollano la mente di un uomo di potere, quando il potere finisce e si trova improvvisamente solo, ridotto alla semplicità di uomo comune, ma allo stesso tempo incapace di sentirsi “uomo comune” e di uscire senza traumi dal ruolo che ha rivestito? Credo sia una domanda alla quale dovrebbe rispondere la tragedia moderna, cui dobbiamo una dignità letteraria al pari della tragedia classica.

 

 

Penso che tu sia proprio riuscito assai bene ad evitare queste Scilla e Cariddi, ma soprattutto hai fatto di meglio, astenendoti dal giudicare e lasciando la parola ai fatti, alla guerra che si avverte in lontananza, ma in progressivo avvicinamento, e, per motivi opposti, alla residua tremolante illusione di un uomo finito e al pragmatismo di un ragazzo che cerca di sopravvivere sperando in un futuro. Al di fuori di questi due personaggi, quelli di contorno non sono che sulla scia dell'uno o dell'altro. Il romanzo, pur nella fantasia della vicenda, fornisce un quadro estremamente realistico, riallacciandosi di volta in volta a fatti noti, come la strage di Sant'Anna di Stazzema. Senza anticipare ai lettori la conclusione, non pensi che forse sarebbe stato opportuno continuare nel percorso ucronico, oppure quel ritorno alla realtà che tutti sappiamo è stato da te preferito per ricondurre una tragedia alla sua autentica dimensione storica?

 

L'ucronia classica prevede la narrazione di un mondo fantastico del “se”: cosa sarebbe accaduto se la storia avesse cambiato il suo corso. Ma si tratta di un arbitrio, perché le varianti sono infinite e nessuno può dire cosa sarebbe accaduto davvero se, ad esempio, la Germania nazista avesse vinto la guerra (come nei romanzi di Philip Dick o di Robert Harris). Invece trovo che è interessante immaginare cosa ha determinato il reale percorso storico, ricostruendo antefatti probabili, altrettanto fantastici. Una sorta di ucronia rovesciata, che ribalta le aspettative del lettore, ma apre squarci inediti sul nostro passato.

 

 

I riferimenti a Dick e a Harris mi stimolano a effettuarti una domanda di carattere generale. Fra i tanti autori che direttamente, o indirettamente, ti hanno influenzato, qual è quello che ritieni sia stato il più determinante nell'ucronia e perché?

 

Senza dubbio i Dick e gli Harris che ho citato, ma anche tutta la narrativa fantascientifica e fantapolitica di cui mi sono “cibato” fin dall'adolescenza. Credo di rientrare tra quei lettori irregolari e un po' marginali che si sono formati su letture insolite e hanno scoperto più tardi la letteratura ufficiale e i classici. Sono recidivo: negli anni Sessanta avevo scritto un paio di racconti, La tigre nel vento sull'autoritarismo e la guerra e Il giorno del flauto, apparso su “Galassia”, sulla terrificante ipotesi dell'uso delle armi nucleari nella guerra del Vietnam.

 

 

Progetti letterari in corso o per il futuro ne esistono? E se sì, ci puoi fornire qualche anticipazione?

 

Vorrei proseguire sulla via del fantastico, che mi affascina molto. Due i progetti a cui sto lavorando: il primo è ancora appena abbozzato e riguarda un'ucronia al femminile. Invece l'altro testo è praticamente pronto e attende il suo editore: si tratta della veridica storia di Pierre Menard, lo scrittore immaginario creato da Borges. Sulla base dei riferimenti borgesiani, racconto i suoi ultimi anni e l'ossessione di ricopiare il Don Chisciotte di sana pianta. Ambientata negli anni Trenta a Nîmes, è una storia amara e brillante, ricca di riferimenti letterari e storici, sull'alienazione e la senilità.

 

 

Grazie, Carlo, per la piacevole conversazione e mi accomiato con gli auguri di successo per Il cuoco di Mussolini.

 

 

Il cuoco di Mussolini

di Carlo Bordoni

Edizioni Bietti Società Della Critica Srl

www.edizionibietti.it

Narrativa romanzo

Pagg. 157

ISBN: 9788882482138

Prezzo: € 17,50

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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