Intervista
a Massimo Maugeri, autore del romanzo Identità distorte, edito da Prova
d'Autore.
Questo tuo primo romanzo,
dalla trama complessa e imprevedibile, che mescola sapientemente la spy story
al noir, nonché alla psicologia, pone molti quesiti, anche perché il concetto
di realtà viene ad essere analizzato spietatamente, distinguendo fra ciò che è,
ma non è detto che sia, e l'apparenza. La finalità dell'elaborato esula dalla
vicenda stessa, proponendo domande inquietanti a cui non potrebbero esserci risposte
adeguate, o comunque tranquillizzanti. Mi chiedo, anzi ti chiedo, come mai ti è
venuta un'idea del genere? E' evidente, secondo me, che il romanzo ha un
preciso messaggio che gradirei tu esplicitassi per il
lettori.
Intanto ti ringrazio per le belle parole. Te ne sono molto grato.
La veste noir di questo libro, in realtà, è solo – appunto - un “abito”. Un
pretesto. Sono d'accordo con te quando dici che la finalità dell'elaborato
esula dalla vicenda stessa… nel senso che questo romanzo è pregno di metafore e pone molte domande.
Molte e inquietanti. Pone domande sull'uomo, sulla sua identità, sulla sua
essenza primigenia. Quella domanda che ricorre nel corso della narrazione (chi
sono io?) è una domanda che nasce dalla notte dei tempi e che ritorna oggi, con
particolare forza e virulenza, tra le pieghe di questa società ultratecnologica
e iperveloce. Credo che se oggi l'uomo trovasse il
tempo e il coraggio per interrogarsi, per guardare a fondo dentro se stesso,
verrebbe travolto da questa (banale?) domanda. E credo che sarebbe un
travolgimento salutare (non ci sono risposte senza domande). È una domanda che
mi sono posto anch'io e che continuo a pormi. Chi sono io? Cosa voglio? Dove
sto andando? Ripeto, credo sia importante porsi
domande come questa. Il grosso rischio è che questa società ultratecnologica e iperveloce – bellissima, per certi versi – possa generare
effetti narcotizzanti che inibiscono la formulazione di domande essenziali (che
nascono dalla notte dei tempi, dicevo) come quelle che ho riportato sopra.
Ecco, da questo punto di vista il romanzo non ha messaggi da dare (non credo
che la narrativa debba fornire messaggi) ma “trasuda” un invito. Quello alla
riflessione. A guardarci dentro. A chiederci chi siamo. E dove stiamo andando.
Naturalmente c'è anche altro.
Concordo sul fatto che ci
sia dell'altro, altro che può emergere più chiaro nel corso di successive
riletture, perché il ritmo della narrazione, frenetico, addirittura incalzante,
impone di non fermarsi, quasi di correre per sapere quello che accadrà.
Peraltro, mi sembra di comprendere che i protagonisti siano semplicemente
uomini, esseri quasi in balia di eventi da loro provocati e che sfuggono al
loro controllo proprio per l'inconsapevolezza di quel che sono intrinsecamente.
Penso che la gestazione
di questo romanzo non sia stata breve e non solo per gli inderogabili impegni
di lavoro e di famiglia, ma perché la trama, mai avulsa da quell'invito di cui
hai accennato, scorre linearmente, senza incertezze o inceppamenti. Come ti è venuta
l'idea di questa storia e qual è stata la genesi dell'opera?
L'idea che sta alla base di questo libro è nata all'improvviso, in
maniera inattesa. In effetti, più che di idea parlerei di… “immagine”. A un
certo punto – ero in uno stato di dormiveglia – ho visto un uomo che entrava in
un ascensore e poi – dopo un breve tragitto ascensionale – ne usciva nei panni
di un'altra persona. Questa immagine – sorta, appunto, all'improvviso – mi ha
travolto. Ci ho pensato per giorni. Che cosa significava? Cosa voleva dire?
C'era - e c'è –
sicuramente una componente psicologica. Ed è probabile che l'ascensore sia
simbolo di qualcosa (ancora oggi non ho ben capito cosa). Non avevo dubbi sul
fatto che quell'immagine avesse a che fare con la crisi d'identità. Una crisi
d'identità che sentivo forte a livello collettivo. Quell'immagine – trasposta
in letteratura – si sovrapponeva perfettamente al cosiddetto tema del doppio
(da me molto amato) e già affrontato da Dostoevskij
(“Il sosia”), Stevenson (“Lo strano
caso del dottor Jekyll e di Mr. Hyde”), Wilde (“Il ritratto di Dorian
Gray”), Pirandello (“Il fu
Mattia Pascal”, “Uno, nessuno e centomila”) e molti altri. Cominciai a pensare
a una storia. Perché quell'uomo si trovava nell'ascensore? Perché ne usciva
“trasformato” in un'altra persona? Com'era possibile una cosa del genere?
Correva l'anno 1999. Accesi il computer e cominciai a scrivere le prime righe.
Un sogno, o la memoria di
un sogno, sono quindi all'origine di questo libro. Mi hai preceduto circa il
tema del doppio, citando tutti autori famosi che si sono cimentati sul tema. A
mio parere, però, il romanzo che più ti ha ispirato è stato “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, tanto che in alcuni
momenti mi è parso di vedere in Stefano Re alcune caratteristiche di Vitangelo Moscarda. Comunque
l'eventuale similitudine è solo questa, perché il tuo libro ha una sua completa
autonomia e una notevole originalità. In un'opera come questa la chiusura, cioè
il finale, diventa molto difficile, perché il ritmo, incalzante, viene a
cessare di colpo. Devo dire che in proposito sei stato molto abile, precedendo
l'ultima pagina con una riflessione, molto bella, di uno dei personaggi, e poi
hai fatto calare il sipario con una trovata sorprendente, anche se logica.
Hai studiato a lungo come
comporre le ultime pagine, oppure hai trovato la soluzione quasi per caso?
Amo molto il doppio pirandelliano, non c'è dubbio. In questo
libro, però, a ben pensarci, vado un po' oltre il “doppio”. In
effetti ci sono ben tre identità che si intrecciano tra loro (Re, Crivi, Spencer). Una sorta di “triplo”. Me ne sono accorto
dopo un po' che avevo concluso la scrittura.
Rispondo alla tua domanda…
Ho iniziato a scrivere con un'idea generale in testa. Poi, nel
corso della stesura, se ne sono aggiunte altre; compreso il colpo di scena
finale. Peraltro, mentre scrivevo, è accaduto un evento epocale: l'11
settembre. In un certo senso mi sono trovato costretto a infilarlo nella
storia.
Identità distorte è un
romanzo di sicuro valore e se non vado errato non è più in catalogo. C'è la
speranza in una ristampa?
Prima o poi lo ripubblicherò, non ho dubbi. Ma non subito.
Da voci varie sono al
corrente di un prossimo evento letterario che ti riguarda. Ce ne vuoi parlare,
puoi anticiparci qualche cosa? E infine, quali sono i tuoi progetti, ovviamente
letterari, per il futuro?
Una delle cose a cui tengo di più in questo momento è la chiusura
del mio nuovo romanzo. Conto di finire la prima stesura entro il mese prossimo.
Si tratta di un romanzo forte, intenso, duro, che miscela modernità e mito, globale e locale. Un progetto narrativo molto ambizioso.
Forse ancora più ambizioso di “Identità distorte”, con cui ha qualche elemento
in comune.
Grazie, Massimo, per le
tue esaurienti risposte e, oltre a formularti sin d'ora gli auguri per il tuo
nuovo romanzo, auspico che la ristampa di Identità
distorte avvenga al più presto, perché è un'opera di grande attualità e che
merita di essere letta.
Identità distorte
di Massimo Maugeri
In copertina autoritratto
frazionato in tre di Salvador Dalì
Casa Editrice Prova d'Autore
www.provadautore.it
Narrativa romanzo
Pagg. 154
ISBN: 9788888555614
Prezzo: € 10,00