Intervista
di Renzo Montagnoli a Massimo Baldi, autore della silloge poetica Le quattro stagioni di un viaggiatore
solitario, edito da Edizioni Creativa.
Questo libro sviluppa diversi temi quali l'amore, le riflessioni
sull'esistenza, la religione e riporta anche alcuni aforismi. Quali motivi
inducono un uomo, nel caso specifico tu, a trasporre in versi le proprie
emozioni e sensazioni e con quale scopo?
Premetto che scrivere è
stata, sin dall'età adolescenziale, una passione irrefrenabile, un insopprimibile
desiderio di libertà.
I motivi principali che
mi hanno spinto a pubblicare
questa silloge e alcuni aforismi sono la voglia di trasmettere
agli altri le mie emozioni, il piacere di condividere riflessioni su temi
importanti quali l'amore, la religione e la vita in ogni sua forma e
manifestazione e la necessità del confronto dialettico con i lettori come
costante motivo di crescita e autocritica.
Le tematiche del libro
riflettono, inevitabilmente, il mio carattere e la mia sensibilità, il modo di
“leggere” il mondo oltre le sterili apparenze; alti e bassi, che sono presenti
nel libro, rappresentano pennellate di colore puro sul quadro della vita.
Come Vivaldi dividi i periodi della vita in quattro stagioni ed è
perfettamente comprensibile, ma perché di
un viaggiatore solitario? In fin dei conti hai l'amore per tua moglie e
quello ti accompagna che lei sia con te, oppure no. Allora, se la vita è un
viaggio, un percorso, che significato ha quel “solitario”?
Sicuramente la mia
compagna di vita è il dono più bello che abbia mai ricevuto da Dio; io e Lei
diventiamo il viaggiatore, anzi siamo quel viaggiatore del libro e, attraverso
i suoi occhi, la vita diventa una meravigliosa e continua scoperta.
Il termine “solitario”
assume per me due significati abbastanza contrastanti: da un lato racchiude
qualcosa di bellissimo ed appagante perché rappresenta l'individualità che
rende ciascuno di noi esseri unici e imperfetti (per fortuna), contro qualsiasi
omologazione che ci spersonalizza e ci spoglia di noi stessi, dall'altro
nasconde, neppure troppo velatamente, una punta di amarezza in quanto io e Lei, talune volte, ci siamo confrontati con persone
superficiali, che ragionavano in maniera materialistica, insincera ed
egoistica.
Essere solitari, comunque, non vuol dire
porre delle barriere agli altri anzi è l'esatto contrario in quanto il
solitario ha coscienza di sé e dei propri limiti e il suo confronto con il
mondo è leale e sereno perché avviene dopo aver compiuto il viaggio più
meraviglioso e difficile, quello dentro la propria anima.
O forse è solo la nostra anima che compie il viaggio, un'essenza
incorporea che dona la vita a una materia inerte e poi l'abbandona quando la
carne ha compiuto il suo ciclo per ritornarsene nell'infinito, nell'eternità.
Sentimenti nobili, che condivido, ma che purtroppo contrastano con
un mondo fatto di apparenza e non di sostanza, in cui non sembra esserci posto
per quella spiritualità innata in ognuno di noi. E questa mia divagazione
finisce per il richiamare un'altra domanda: che cos'è per te la poesia?
La poesia è arte sublime
e nobile, è capacità di astrarre da qualsiasi contesto l'essenza extracorporea,
è sapersi mettersi in ascolto e intimo contatto con la Natura, è a-temporale,
senza limiti di spazio, la poesia sono ali per guardare oltre.
La poesia è l'anima che
parla, è un fluido magico che unisce, divide, ricongiunge ma che sempre eleva
l'Uomo a vette nobili.
La poesia, scontrandosi
con il mondo moderno e con la civiltà dell'usa e
getta, è anche (e purtroppo) sofferenza, è lacerante grido interiore.
La poesia è ricerca del
proprio Io e delle proprie origini, la poesia per me è aria, è la vita stessa.
E a proposito di poesia vige la stessa regola che c'è per la
narrativa, cioè se non si leggono testi di altri è impossibile scriverne di
propri. Quali sono i poeti che su di te hanno esercitato maggiormente il loro
ascendente e per quali motivi?
Ho letto molti poeti e
molta poesia e ogni lettura e rilettura mi ha lasciato impronte importanti;
sicuramente, però, alcuni poeti hanno lasciato dentro di me un'orma profonda:
Ungaretti, per la sua poesia diretta, espressiva e le immagini che riesce ad
evocare (ad esempio in ‘Veglia' non è possibile non
compenetrarsi nel soldato giacente l'intera notte accanto al compagno morto),
Neruda per la sua poesia di impegno politico e assai impegnativa, che trasuda
anche sensualità e passione. Un poeta e filosofo che ama la vita e in cui intimamente mi
identifico.
Pavese, per la
particolarità della poesia-racconto (‘I mari del Sud' sono un esempio di come
si faccia poesia raccontando e si racconti facendo poesia).
Ma forte, e non meno
decisivo sulla mia poesia, è
l'influsso dei classici, Leopardi in primis.
Ho notato che in questa tua raccolta il verso è assolutamente
libero, però ho ritratto anche l'impressione che le poesie siano state scritte
in epoche molto diverse. Questo nel senso che in talune c'è una tendenza al
classicismo, mentre altre sono più immediate e di linguaggio attuale. E' così?
Le tue osservazioni sono
corrette sia relativamente al tipo di verso che al periodo in cui sono state
scritte le liriche; il verso rappresenta per me l'onda del mare, si allunga a
riva e ritorna placidamente nell'oceano. Questo rifluire, sempre uguale nel
movimento ma mai nella lunghezza del “respiro”, evita la scelta di una forma
metrica piuttosto che un'altra e il rischio di rimanere intrappolato in una
sorta di “gabbia”. Ovviamente, il tipo di verso e la tendenza ad un linguaggio
attuale o classicheggiante
dipende dagli influssi ricevuti nel periodo in cui le poesie sono state
scritte: diciamo che oggi tendo a scrivere in un linguaggio attuale e la
“ciliegina” sulla torta sono gli impetuosi ritorni di fiamma del classicismo.
Secondo te,
oggi la poesia ha ancora un significato?
Questa è una domanda a
cui è difficile rispondere perché una qualunque opera, per avere un senso, deve
avere chi scrive e chi legge; e se si guardano i dati statistici, freddi ma
purtroppo inoppugnabili, devo dire che la poesia sembrerebbe relegata in una
sorta di nicchia per pochi eletti. E se, ancora, guardo i costumi, le mode del
momento, la superficialità di oggi risponderei di no, non ha alcun senso la
poesia; tuttavia, però, la poesia è qualcosa che ci appartiene intimamente perché
la poesia è l'anima, è eterna, e non posso (e non voglio pensare) che abbiamo
perduto anche l'anima; sta al poeta adeguarsi al cambiamento per raggiungere la
parte più profonda degli altri, la coscienza pura, senza però dimenticare che
la poesia non accetta alcun compromesso in quanto libera espressione del cuore.
Occorre forse trovare un
nuovo modo di fare poesia, nuovi modi per promuoverla, facendo capire che il
profitto (perché la poesia è tutto tranne che profitto) non può essere la
chiave di tutto, anzi rappresenta la più veloce discesa agli inferi.
Pertanto, la poesia ha un
senso ancora, secondo me e ai poeti è affidata la difficile responsabilità di
ridestare le coscienze.
Quindi, almeno in prospettiva, la poesia potrebbe tornare in auge,
stante il suo valore salvifico. Certo che in una società come la nostra , in cui l'unico valore è rappresentato dal successo,
l'umiltà di un poeta non trova spazio e del resto sappiamo bene che la poesia
ha tirature limitate, da prodotto di nicchia, nonostante sia per lo più
agevolmente leggibile e comunque generalmente in tempi più rapidi di un
romanzo. L'anima non si è persa, ma si è dimenticato o si ignora il nostro
passato, il che rende difficilmente gestibile il presente e impedisce di
programmare il futuro, dando vita a una moltitudine di esseri umani senza vita.
I valori fondanti della società sono stati persi ed ecco pertanto il dramma
dell'uomo odierno, sempre più solo, sempre più omologato e privo di speranze.
Di questo problema mi interesso da lungo tempo e in particolare ne tratta il
mio poema Canti celtici, in cui questa perdita di identità viene evidenziata
con la caduta dei concetti di famiglia, di spiritualità e di patria, intesa
però quest'ultima solo come famiglia allargata.
Sei di questa opinione e, se sì, come è possibile porre rimedio,
ovviamente come poeta?
Concordo pienamente con
le tue affermazioni, sono amare considerazioni ma esprimono appieno la realtà
di oggi. Si sta andando incontro ad un disastro di gravità incalcolabile,
speriamo di non toccare il fondo (forse è stato già toccato?) e di accorgerci
in tempo degli abissi in cui abbiamo proiettato l'Uomo e la sua anima.
La verità è che i valori
di famiglia, amicizia, vita di coppia mancano totalmente perché i modelli
dominanti diffondono dappertutto la cultura della competizione e
dell'arrivismo, il che provoca isolazionismo e scatena biecamente i nostri
peggiori e bassi istinti.
Il poeta cosa potrebbe
fare, secondo me?
Innanzitutto, non
piegarsi alla logica del profitto ma restare fedele a se stesso e difendere la
poesia per quello che è, Arte.
Il poeta non deve
ripiegarsi su se stesso, con il falso pretesto alcune volte di essere una voce
(la migliore) fuori dal coro, deve uscire da quei Salotti letterari in cui
talune volte si chiude.
Il poeta deve rivolgersi
a categorie di persone come gli emarginati sociali, per recuperarli ad una
visione più umana e spirituale della vita, deve cercare di promuovere la Sua opera nel contesto in cui
opera e lavora, come momento di pura evasione e di profonda riflessione.
Il poeta deve essere in
contatto con il mondo esterno ma al tempo stesso rimanerne distaccato e deve
essere capace di elaborare gli eventi attraverso la Sua coscienza e la sua
sensibilità.
Il poeta non deve
smettere di credere che, in fondo ad ogni Uomo della Terra, esista ancora la
speranza di risorgere; se il poeta smette di credere, la poesia stessa muore.
E la poesia,
sopravvissuta a secoli di barbarie e periodi di rinascita, non si è persa e non
si perderà mai, secondo me.
Il poeta prima di tutto è uomo e come tale, se si accorge di un
pericolo per la collettività – e lui in genere ne ha sentore prima per l'innata
capacità di osservazione - , non deve ritirarsi
sull'Aventino, come se la cosa non lo riguardasse, ma deve gridarlo nel miglior
modo che sa fare, cioè con la poesia. Ho rilevato, un po' dalle risposte
precedenti, un po' dai contenuti della tua silloge, che tu ti poni in modo
fortemente critico nei confronti dell'attuale società, non tanto esponendo i
pericoli, ma parlando di quei valori che ancora conservi. Questo è giusto,
perché l'esempio è il miglior modo per distinguersi; l'essere sempre e comunque
noi stessi è una forza ignorata dagli altri trascinati nel baratro e quindi ha
una sua funzione emulativa per niente trascurabile. La domanda che ti faccio
ora è altrettanto difficile. Di come ci siamo ridotti è sotto gli occhi di
tutti quelli che sanno vedere, ma del perché siamo in queste condizioni
presuppone un'analisi più attenta, con tante correlazioni. E' comunque indispensabile
saperlo, perché l'origine del male è il presupposto per la sua cura. Allora,
perché abbiamo perso i valori e per colpa di chi?
A questa domanda è
difficilissimo dare una risposta precisa perché siamo in una fase talmente
avanzata del degrado che dovremmo, secondo me, ripercorrere più di un secolo
all'indietro per cominciare a capire qualcosa.
Mi spiego: la rivoluzione
industriale, ad esempio, ha trasferito l'uomo dalla campagna verso la città e,
di fatto, lo ha allontanato dalla Natura, ha dato all'uomo l'illusione che le
macchine avrebbero lavorato per lui, restituendogli in tal modo più tempo per
dedicarsi a se stesso ma, al contrario, le macchine lo hanno reso suo schiavo
inconfessato.
E poi alcuni mali sono
sempre esistiti ma sono cambiate le casse di risonanza, mi spiego meglio: se un
secolo fa l'intolleranza tra due popoli già esisteva, così come esisteva dieci
secoli fa e ancor prima, si pensi agli scontri di potere, di religione, questo
fenomeno rimaneva circoscritto ai due soli popoli in conflitto, salvaguardando
così l'integrità nelle relazioni tra altri popoli; oggi con il massiccio
avvento dei mass-media, ogni azione funziona da cassa di risonanza e il primo
errore che scorgo sta nel non aver saputo mettere un freno, un controllo - a fin
di bene s'intende - a tali tecnologie.
Ecco il primo collo di
bottiglia, secondo me: dove la scienza faceva passi in avanti, tanto più la
tecnologia doveva essere attenta alle applicazioni, in modo da non innescare
fenomeni a catena, spesso emulativi e, soprattutto, negativi.
Manca nella tecnologia
una sorta di “controllo etico”, “educativo” e parte dello scempio a cui si
assiste si deve anche a questo.
L'avvento della TV (altra
tecnologia che ha spostato ogni equilibrio) ha lentamente annullato il concetto
di famiglia, il concetto di vita di coppia, azzerando il dialogo all'interno
dei suoi componenti: ecco, la TV
ci ha allontanato ogni giorno di più; e così ogni altra applicazione
tecnologica (cellulari, palmari, notebook). E' innegabile: se do sempre più spazio
agli oggetti, ne darò sempre meno alle persone e alla ricerca di una
spiritualità interiore.
Mi chiedo allora: chi è
che ha voluto tutto questo?
Chi vuole annullare la
nostra volontà, chi vuole azzerare il senso di colpa e le nostre emozioni, chi
vuole omologarci a tutti i costi per essere in grado di controllarci più
facilmente?
Forse la colpa è dentro ciascuno di noi in quanto dovremmo cominciare a comprendere
che ogni strumento deve essere al nostro servizio e non il contrario, che si
può vivere anche senza tanti oggetti ritenuti, a torto, indispensabili,
necessari. Chi l'ha capito, chi ha occhi per vedere e non si rende portavoce di
questo messaggio verso coloro “che non vedono” commette ugualmente un errore.
L'imbarbarimento
collettivo, dove con ciò intendo non solo il mancato rispetto per la vita
altrui ma anche la superficialità e il senso di vuoto con cui molte persone affrontano la vita,
è anche dovuto alla mancanza di “voci fuori dal coro”, di una sorta di
educatori che portino messaggi differenti da quelli che ci omologano rendendoci
“soli”, ossia senza un'anima, che è ben diverso da quel “solitario”, inteso
come essere maturo che ha piena consapevolezza di sé e dei propri limiti, che è
l'anelito del libro e della mia continua ricerca.
Concordo su quasi tutto e, soprattutto, sui problemi sorti a
seguito della rivoluzione industriale alla fine del XVIII Secolo. Gradualmente
ha soppiantato l'esigenza del bisogno da soddisfare con quello che costituisce
lo scopo dell'esistenza, un effetto di devastanti proporzioni che ha sempre più
allontanato l'uomo dalla sua natura originaria. Se aggiungiamo poi gli scempi
della televisione, un mezzo che fra l'altro serve anche a egemonizzare talune
classi e taluni individui, si può ben comprendere l'infelicità della nostra
società. Ritorniamo più direttamente alla poesia e la domanda a questo punto è
di prammatica: hai in corso di stesura altre sillogi con l'intento di una loro
pubblicazione?
Ovviamente continuo a
scrivere poesie e ho intenzione di proporre ai lettori una nuova silloge (in
tempi non brevi, però), più matura e consapevole ma sempre ricca di slanci e
passione; parallelamente, ho in cantiere un progetto accattivante ossia un
Saggio sulla figura del poeta nella società attuale e cosa possa e debba fare
per arginare il degrado socio-culturale di cui abbiamo ampiamente parlato. Ma
preferisco non anticipare nulla perché si tratta di progetti ancora in fase germinale.
Ti ringrazio per le esaurienti risposte e ti saluto con gli auguri
di successo per questo tuo libro.
Le
quattro stagioni di un viaggiatore solitario
di Massimo Baldi
Nota iniziale dell'autore
Edizioni Creativa
www.edizionicreativa.it
Collana Versi Creativi
Poesia silloge
Pagg. 66
ISBN: 978-88-89841-808
Prezzo: € 9,00