Malanova, di
Cristina Zagaria
Recensione e intervista a cura di Salvo Zappulla
Raccontare una storia realmente accaduta, dai
contenuti forti e drammatici, quali i soprusi e la violenza sessuale, e raccontarla in prima persona
lasciando parlare la vittima, richiede grande sensibilità e delicatezza, oltre
che estrema professionalità. Cristina Zagaria, giornalista de “La Repubblica”, donna
impegnata nel sociale, in questo libro (Malanova,
edito da Sperling & Kupfer, pagg. 193, €. 17,00) ha preso spunto da un fatto di cronaca
avvenuto a San Martino di Turianova in Calabria, per scrivere questo romanzo,
che va oltre la mera violenza esercitata su una tredicenne ingenua che aveva
creduto di incontrare il suo principe azzurro e invece si ritrova tra le
grinfie di un branco di lupi famelici. Malanova non vuole essere una risposta
al fenomeno della violenza sui minori. ma una denuncia
sociale che offre molti spunti di riflessione. Ignoranza, pregiudizi duri a
morire, prevaricazioni possono diventare una trappola mortale in un paesino
dell'entroterra calabro dove un malinteso senso dell'onore vorrebbe che gli
scandali venissero insabbiati. Le malenove, le male
notizie devono rimanere circoscritte entro le mura di casa. Così Anna Maria
Scarfò da vittima, si trasforma in carnefice. Ha osato denunciare, ha osato
alzare la testa e chiedere giustizia. Lei, una piccola donna del sud, ha osato
infrangere le regole dell'omertà, e ora a subirne le conseguenze è tutto il
paese finito tristemente nelle cronache dei giornali. Un paese che le si
rivolta contro, additandola, perseguitandola, minacciandola per costringerla ad
andarsene. La verità ha mille sfaccettature e ognuno ha la sua da imporre. Così
i ruoli si invertono, Anna Maria diventa il bubbone da estirpare, la ragazzina
svampita che si concede con leggerezza. Vittima due volte: degli insani piaceri
di un branco di delinquenti e dell'ipocrita vigliaccheria di buona parte della
comunità. Le donne soprattutto, determinate a difendere i “loro” uomini. L'uomo
è uomo, si sa, è cacciatore, è quello che porta un pezzo di pane, qualche scappatella
gli può essere perdonata, l'importante
che la sera rientri a casa. Ma ci sono
anche elementi di grande riscatto in questa storia, personaggi di profondo
spessore umano a fare
da contrasto: l'avvocato che difende Anna Maria nel processo, una
donna caparbia ed estremamente determinata a ristabilire la verità, i
carabinieri descritti con slanci poetici dall'autrice, i genitori della
ragazzina disposti a sostenerla fino in fondo. Oggi gli aguzzini di Anna Maria
Scarfò hanno scontato le loro pene, hanno ripreso le loro attività e
probabilmente ritengono quei fatti solo un incidente di percorso, ma la vittima
della loro violenza si porterà dentro un rapporto deviato nei confronti del
sesso. Certi traumi infantili
si ripercuotono negativamente per l'intera esistenza. La maggior parte delle nostre fobie e delle
nostre insicurezze trovano le loro radici nella nostra infanzia, i traumi
subiti in età evolutiva hanno effetti nefasti, a volte irreversibili, mostri
tentacolari che in anni
di abusi e di sofferenze si sono
radicati nell'animo. Un romanzo intenso e coinvolgente, a tratti commovente,
tremendamente attuale, duro,
scritto con chiarezza, senza equivoci e pietismi superflui. La
tensione emotiva della trama cresce vertiginosamente con lo scorrere degli
eventi. Cristina si addentra in un viaggio esplorativo nei labirinti dell'animo
umano, apre voragini di miserie, percorre tragitti di profonda inquietudine con
finezza di scrittura e acume narrativo. Una storia che suscita orrore,
fastidio, risentimento, tristezza ma anche tanta tenerezza, apre alla speranza,
ci fa capire che non bisogna arrendersi mai anche quando tutto sembra perduto.
Un concentrato esplosivo
di sentimenti contrastanti, con la sua severa morale, in grado di smuovere le
coscienze.
Cristina
Zagaria, ha
35 anni. Nasce a Carpi, nel modenese, ma è solo una prima tappa. Vive cinque
anni a Bergamo e poi torna in Puglia, a Taranto, città della sua famiglia, dove
si diploma e si sente a casa. Però, appena laureata in Lettere, all'Università
di Bari, riparte.
Frequenta la scuola di giornalismo di Bologna e diventata
giornalista professionista A 25 anni viene assunta dal quotidiano La
Repubblica e lavora nelle redazioni di Bologna, Bari, Roma, Milano.
Dal 2007 vive e lavora (sempre per La Repubblica) a Napoli, conquistata dalla
città e, per la prima volta, decisa ad abbandonare i suoi vagabondaggi. In
questi anni si è sempre occupata di cronaca nera e giudiziaria, ma ha lavorato
anche per le pagine locali e nazionali della cultura e della politica.
Nel 2006 il suo esordio letterario, grazie a Luigi Bernardi, con il romanzo
"Miserere: vita e morte di Armida Miserere” (Dario Flaccovio). Tra le sue pubblicazioni: un saggio sugli scandali universitari,
"Processo all'Università. Cronache dagli atenei
italiani" (Dedalo Edizioni, gennaio 2007); “L'Osso Di Dio” (Dario
Flaccovio, novembre 2007), storia vera di 'ndrangheta, vincitore del premio
Zocca Giovani 2008 e miglior libro dell'anno per Umbrialibri 2009; "Perché
no" (Perdisa Pop, ottobre 2009), un romanzo breve ambientato a Napoli e
ispirato a un caso di cronaca; “Malanova” (Sperling & Kupfer, ottobre
2010), storia vera di Anna Maria Scarfò, prima donna in Italia sotto scorta
perché è stata minacciata di morte, dopo aver denunciato i suoi stupratori.
Di recente Cristina Zagaria è stata in
Sicilia, ospite al Taobuk di Taormina organizzato da Antonella Ferrara.
Cristina, questa è
una storia durissima per tutti gli effetti che si porta dietro, perché hai
voluto raccontarla?
«Ci sono piccole storie italiane che per problemi di
spazio, per micidiali regole (non sempre lineari e chiare) o per puro caso non
vengono raccontate dai giornali e dalle televisioni sempre a caccia dell'ultimo
scoop. Parallelamente al mio lavoro di giornalista, perciò, mi piace andare a
scovare queste piccole storie, lavorarci con calma, con i tempi delle vecchie
inchieste e poi raccontarle con il ritmo del romanzo...che trovo sia uno strumento
narrativo di grande diffusione. Questa storia l'ho scelta perché spesso noi
italiani ci infervoriamo in battaglie in difesa della donna in paesi lontani,
magari di religione musulmana (vedi l'eco del caso dell'iraniana Sakineh), ma non sappiamo quello che
succede nei nostri paesi del Sud».
Malanova a mio parere è un romanzo che si proietta in
positivo, spinge a seguire l'esempio della protagonista, a incoraggiare altre
vittime che hanno subito la stessa sorte. Sei d'accordo? Ritieni che la
Giustizia sia efficiente?
«In questo caso la giustizia ha funzionato bene,
anche se con un processo dilaniante e lungo anni e che ha permesso agli
imputati di scegliere formule di giudizio con pene ridotte (e su questo ci
sarebbe da aprire un dibattito). Nella storia di Anna Maria Scarfò, comunque, lo Stato c'è. Ci
sono i
carabinieri, i giudici e c'è la legge sullo stalking che le assicura prima una
scorta e poi una nuova vita in località protetta. Ma Anna Maria, per esempio,
non ha mai avuto un vero sostegno psicologico. Se non ci fosse stata al suo
fianco una donna forte e culturalmente preparata come l'avvocato
Rosalba Sciarrone non so come sarebbe andata a finire. Comunque senza
dubbio è una storia di riscatto e forza, un esempio positivo, anche per questo
ho scelto di raccontarla».
Cosa si può fare di concreto per arginare il fenomeno
della violenza sulle donne?
«Parlarne, senza pudore né paure. E poi ci vorrebbero leggi
ancora più incisive, prima accennavo agli imputati che nel processo di Anna
Maria Scarfò hanno potuto scegliere il rito abbreviato con uno sconto di pena
di un terzo. Forse per certi reati non dovrebbero essere ammessi sconti.
Anche per quanto riguarda lo stalking, al momento c'è un vuoto normativo: la
vittima dalla denuncia alla fine del processo non è tutelata».
Come si fa a conciliare l'attività giornalistica con
quella di scrittrice, non c'è il rischio che si confondano i ruoli?
«Che
significa confondere i ruoli? Io sono una giornalista e scrivo storie vere.
Quello che cambia per me è solo il modo di lavorare (per i romanzi ho più
tempo) e lo stile (nei romanzi posso permettermi periodi lunghi, aggettivi,
descrizioni che sul giornale non troverebbero mai posto) per il resto il lavoro
e il ruolo, per quanto mi riguarda, sono identici».