Sandro
Serreri: “ Quel
che resta ” . Fara Editore. Rimini,2018.
La
raccolta di versi di Sandro Serreri che si annuncia al lettore con il
titolo: “Quel che resta” (FaraEditore,2018) ha raggiunto
il secondo posto nel concorso letterario bandito annualmente dalle
stesse edizioni di Rimini tese costantemente alla ricerca di voci
nuove nel panorama letterario nazionale ed internazionale.
La
prima netta sensazione ricevuta nella lettura delle cinque sezioni: “
Quel che resta del giorno; I sapori del giorno; Annusando il giorno;
Colorerie e Suonerie” è stata quella di trovarsi di
fronte al ricordo di quelle agende da scrivania, formate da fogli
leggeri trattenuti al centro da due ganci di metallo che,
all’occorrenza, oltre a segnare i giorni si utilizzavano per
appunti, memorie e altro ancora.
Quei
fogli qualche volta venivano staccati, piegati e messi nel portafogli
per ricordarci gli appuntamenti, i numeri telefonici le vicende della
giornata.
Oggi
lo Smartphone provvede a queste occorrenze.
I
giorni sono scanditi quasi come il movimento del metronomo: in alto i
numeri romani, in basso le date del giorno e del mese. La scelta del
corpo poetico è ancora indicativa: le ottave: otto capoversi
senza rima e senza metro, utilizzate con il metro della narrazione.
I
mesi scelti in questa complessa partitura vanno da marzo a luglio e i
giorni si allineano sul pentagramma delineato dai mesi scelti.
I
ricordi, principalmente questi, sono la materia essenziale che spinge
l’autore a metterli a disposizione del lettore partendo
dall’intimità delle “sudate carte” sulle
quali sono stati tramutati in versi; la chiave di lettura
rappresentata dalla quotidianità ; le pause di silenzio
rappresentate dalle ombre; i traboccanti profumi che promanano da
oggetti e soggetti circostanti, per finire ai vivaci colori che sono
proposti sulla tavolozza variegata posseduta dal Nostro.
L’autore
ci fa ascoltare (interpreta) la caducità del tempo, padrone
del dialogo posto da sfondo al divenire delle umane esistenze: “
Quel che resta del giorno / è una lampada accesa /”
(pag.11) e la possibilità di sottrarre “ alla polvere”
“qualche pagina scritta” (pag.11).
In
verità l’autore riserva al lettore sul finale il dramma
di tutta la raccolta riassunto in questi versi: “ (…)
Poi, do la carica alle suonerie di sempre / e mi accascio sui neri
tasti suonando Mozart.” (pag.98).
Un’
esecuzione memorabile. Una buona prova di esercitazione quotidiana.
La delicatezza di condurre il lettore, in centocinquanta
componimenti, lontano dal peso del vissuto lasciandolo nel leitmotiv
solare, dolce, profumato, scegliendo come emblema il fiore: “
Oh, poi, quei fiori che non appassiscono! / (…) dal profumo
intenso, inesistente / adagiati sulle pagine stampate / dove qualcuno
li ha cantati / dopo il dono e il bacio notturno/. Sì, sono
molto belli e fanno scena / anche se sono vivi, ma morti.”
(pag.13).
Per
ben due volte si affaccia la sinestesia: “profumo intenso,
inesistente” e “ anche se sono vivi, ma morti.”
L’innesco della ricerca della bellezza e l’effimera
durata del fiore paragonata all’esistenza umana.
L’intera
raccolta è permeata dalla volontà di conquistare il
senso nascosto del nostro respiro, del nostro essere, della gioia di
vivere i momenti intrisi dei ricordi e del presente, senza l’ansia
del futuro: “Nelle case dei nostri vecchi, l’aria /
immobile, puzza di naftalina / e di minestra, poverissima, e d’urina
/(pag.60); ancora: “ Cercano, cercano di nascondere l’odore
/ del dolore nelle corsie degli ospedali / (…) Sono odori
forti, disorientanti / che annullano la superbia dell’eternità.”
(pag.61).
Versi
meravigliosi affidati ancora una volta ai sensi, all’onda
azzurra che attraversa l’oceano dei nostri occhi che leggono
questi versi, disegnando con una sinestesia (odore del dolore) la
narcosi dell’Infinito.
Bisogna
leggere l’intera raccolta e associarsi ai giudizi espressi
dalla Giuria a riguardo: “ (…) Ho molto apprezzato
l’intensità materica dei versi capaci di lasciare una
traccia tangibile.” (Giovanna Iorio). “Una narrazione
poetica sotto forma di puntuale diario quotidiano” (Valeria
Raimondi).
In
noi il profumo del pane, rappresentato anche in copertina, ha
riportato alla memoria la strenua lotta della Civiltà
Contadina combattuta contro lo spopolamento delle aree agricole e che
Serreri immortala nei versi a pag.41 e pag.56:
“ A
tavola, il buon pane, quello che sa di mulino / di fatica, di sudore,
affettato e inzuppato / quotidiana sostanza, essenza delle nostre
vite / molto comuni, a dire il vero! Ma anche molto / vere,
soprattutto quando lei o Filippo, chiedono: / Mi passi il pane? con
disarmante semplicità /. ” (pag.41),
L’enjambement
armonizza gran parte dello spartito poetico, così le
similitudini annunciate dai “come”.
“(…)
Si percepisce la sapiente “chimica” di ricordi e
sensazioni e si resta avviluppati nella tavolozza di sensazioni e
colori.” (Giovanna Iorio,pag.7).
Vincenzo
D’Alessio
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