Kaputt
– Curzio Malaparte - Adelphi – Pagg. 476 – ISBN
9788845923715
– Euro 22,00
Da
che parte stai?
Durante
la seconda guerra mondiale, Malaparte che aveva già vissuto
giovanissimo la guerra come volontario, a soli sedici anni, durante
il primo conflitto ( si ricordi che morirà alla soglia dei
sessanta anni in seguito alle lesioni polmonari da iprite) e che ne
aveva criticato aspramente la conduzione con “Viva Caporetto”
poi divenuto “La rivolta dei santi maledetti”, è
un personaggio scomodo al regime. Dopo l’entusiastica adesione
in prima linea, con la partecipazione alla Marcia su Roma, dopo
l’accettazione dello squadrismo più bieco, dopo
l’assassinio Matteotti - fu testimone a processo a favore
dell’imputato principale – il colpevole materiale, non
quello ideologico, dopo la rottura con Mussolini e la sua
estromissione dal partito nel 1933 in seguito alla sua critica a
fascismo e nazismo, lo ritroviamo corrispondente di guerra per varie
testate giornalistiche, testimone diretto nei principali fronti,
soprattutto quelli del nord Europa e dell’est più
prossimo alla Russia: Finlandia, Polonia, Ucraina. Questo lavoro è
la sintesi di quella esperienza, traslata in carta per i giornali e
per una sua rivisitazione più letteraria in un manoscritto poi
smembrato in tre parti consegnate al ministro di Spagna ad Helsinki,
al segretario della legazione di Romania a Hensinki e all’addetto
stampa della legazione romena nella capitale di Finlandia per poi
giungere “dopo una lunga odissea” a Roma. A detta del suo
autore è un libro crudele per il fatto che la grande tragedia
della guerra offre uno spettacolo unico che la sua penna non esita a
cesellare e a rendere ancor più crudele con l’obiettivo
di fare protagonista della scrittura non già la guerra,
utilizzata come sfondo integratore, ma l’idea di disfatta , di
rottura, di schianto secco che è quello prodotto dalla morte
dell’Europa. Un’araba fenice che si spera risorga dalle
sue ceneri. Quelle ceneri descrive il testo ma non come nel
successivo “La pelle” , a posteriori, nell’onda
lunga del passaggio dello tsunami bellico devastante, ma in divenire,
negli anni compresi tra il 1941 e il 1943 quando, caduto il regime,
Malaparte farà rientro nella sua villa a Capri per concludere
l’ultimo capitolo dello scritto, il più simile a “La
pelle”. Le altre pagine in realtà non lo sono, manca il
lirismo, manca la teatralità, emerge invece un disperato
bisogno di raccontare che ha la meglio su tutto. Malaparte si
rappresenta infatti alle prese con conversazioni che intrattiene con
personaggi eminenti: ambasciatori, principi, funzionari, e l’oggetto
del suo narrare è sempre una crudele e disturbante galleria di
impressioni, visioni, fermo immagini che restituiscono un complicato
insieme di cui però non riesce a superare la frammentarietà.
Sono quadri singoli, feroci, oggettivi e al tempo stesso visionari,
comprendere dove termini la realtà, nuda e cruda, e dove
intervenga il surrealismo visionario non è semplice. Può
trattarsi di un canestro contenente ventimila occhi umani scambiati
per ostriche prive di guscio, o di busti di soldati emergenti da una
landa immensa e innevata posizionati col braccio teso, congelato, a
mo’ di segnaletica o ancora cavalli anch’essi congelati
nel Ladoga le cui acque ghiacciate restituiscono solo la testa, in
superficie, in attesa di un disgelo che li restituirà come
sfatte e marcescenti carcasse. Ci sono poi le condizioni disperate
del ghetto di Varsavia, le notizie dei pogrom, i tentativi di aiutare
qualcuno, se possibile. In realtà proprio questo aspetto è
particolare perché Malaparte è dentro le stanze degli
ufficiali tedeschi e conversa con loro o si intrattiene con
l’invasore nelle residenze più ricche delle terre
conquistate e contemporaneamente accoglie e riporta le storie dei
vinti, dei conquistati, dei piegati e in modo, rappresentato sempre
come fosse un fatto del tutto fortuito e occasionali, diretto li
aiuta. Difficile capire, difficile trovare una collocazione al bene,
in questo caso. Tutto è passeggero, irreale e tremendamente
vero; la scorza narrativa non chiarisce, lascia perplessi, attoniti;
restituisce probabilmente le contraddizioni implicite al fenomeno
bellico. Tutto è secco, schiantato, kaputt.
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