Il
teatro di Sabbath – Phlip Roth – Einaudi –
Pagg. 467 – ISBN 9788806225360 – Euro 14,00
Uno
strappo nel cielo di carta o la quarta parete
“–
La
tragedia d’Oreste in un teatrino di marionette! – venne
ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari. – Marionette
automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e mezzo, in
via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor
Meis. – La tragedia d’Oreste? – Già! D’après
Sophocle, dice il manifestino. Sarà l’Elettra. Ora senta
un po’ che bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento
culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è
per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse
uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica
lei. – Non saprei, – risposi, stringendomi ne le spalle.
– Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe
terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo. – E perché?
– Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi
della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli
occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde
ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si
sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto.
Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna
consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta. E
se ne andò, ciabattando intraprendente, chiacchierone!”
Ve
lo ricordate il “Fu Mattia Pascal”?
E
se vi dicessi che questo è un Roth pirandelliano?
Mi
credereste?
Prendete
un uomo ultrasessantenne, un satiro vero e proprio, anzi peggio un
Priapo, non tanto per disfunzione erettile quanto per la vacuità
dell’impulso erotico portato ad un parossismo senza limiti. O
meglio prendete il relitto di un uomo che, morta la sua migliore
amante, vagheggia nel nulla assoluto, nell’horror vacui della
sua esistenza al limitare. Entrate nella sua vita accompagnati dai
suoi pensieri e dai ricordi della sua miserabile vita; prendete atto
del fatto che è stato un burattinaio di un teatro dell’
indecenza, sopportate il fatto che sia un eccellente prototipo
dell’antieroe, ogni tanto riemergete come da un lunga apnea
nella orribile scena del presente, riemersi … non faticherete
a capire che ciò che più bramate è tornare
insieme a lui nell’abisso più profondo. La sua vera
identità, il suo io più profondo, graduato sempre da
uno scanzonato sguardo tra ironico e beffardo, sapientemente condito
da un umorismo e da una sagacia senza pari, saranno capaci di
strappare sempre un sorriso dopo avervi tremendamente disgustati. Non
uno strappo nel cielo di carta, ma più di uno, per Sabbath:
ogni volta una sorta di risposta catatonica e poi l’azione
fatta impulso sessuale e puro intento autodistruttivo. Un vortice di
parole, di ricordi, di pensieri. In scena un burattino, più
che un burattinaio; uno fra i tanti.
Di
chi sono le mani che infilano il nostro guanto della vita? Quanto
siamo capaci di stare in scena? Quanto il piano della realtà
collima con quegli strappi? Quanto sono stridenti? Quali infiniti
dubbi alimentano in noi? Quale infine l’ultima scena prima che
cali il sipario? Ammesso che cali! C’è sempre la
possibilità che la finzione travalichi lo spazio scenico e
invada la realtà … e lì comincerebbero i guai:
non sempre è necessario uno strappo nel cielo di carta, certe
volte è sufficiente rompere la quarta parete.
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