Non
fa rumore il pianto d’un bambino – Laura
Vargiu – MigrAzioni – ISBN 9788894456813
– Euro 9,00
La
silloge di poesie Non
fa rumore il pianto d’un bambino,
della poetessa e scrittrice Laura
Vargiu, ci
lascia subito sgomenti e privi di parole che non siano banali o molto
abusate, fin dalla lettura del primo testo. I suoi versi sono, per
così dire, atipici, per niente scontati. Io proverò a
parlarne lasciandomi guidare dall’intuito e dalla loro
bellezza.
Le sue poesie descrivono la vita in tutta la sua
drammaticità, nello specifico, la guerra e i soprusi che ne
derivano, il dolore e la disperazione degli adulti, donne e uomini, e
quella dei piccoli.
E questo dolore, così profondo, viene
raccontato e denunciato attraverso uno stile pacato, dosato in ogni
sua parola. Non usa toni alti, Laura, eppure dai suoi versi salgono,
intense e laceranti le urla silenziose delle donne e il pianto dei
bambini, “che non fa rumore” perché coperto
dall’indifferenza e dall’insensibilità di
tanti.
Ma L’autrice questa sofferenza cerca di guardarla
con occhi ben aperti, non volge lo sguardo altrove, la condivide e la
capisce. Solo in questo modo il suo dolore sembra alleggerirsi, per
la capacità, in realtà poco diffusa, di sapersi
immedesimare nell’altro, in chi non ce la fa e lascia che la
paura prevalga, ma anche in chi cerca di opporsi a qualcosa che è
troppo grande per poterla sconfiggere da soli. Si può solo
provare a scappare, per non morire.
La
silloge incomincia con una breve ma significativa Nota dell’editore,
seguita da un’interessante presentazione dell’Autrice che
spiega come la raccolta sia nata, e quali siano stati i motivi che
l’hanno spinta a scegliere proprio questi testi tra tanti altri
da lei composti.
E allora leggiamo insieme alcune parti delle
poesie che compongono questa bella silloge, benchè tutte
meritino di essere lette interamente e approfondite con
attenzione.
Il primo testo è un bel Canto intitolato I
cieli di Gerusalemme.
In esso l’autrice ricorda probabilmente un suo viaggio, e il
dolore al quale ha assistito e interiorizzato profondamente.
“Si
riflettono i cieli di Gerusalemme
negli occhi dei bambini che
non li hanno mai visti
e in quelli dei vecchi che ancora li
piangono,
sventolando nei colori di una bandiera
che non
trova più la strada di casa”
Ed
ecco ora alcuni versi tratti da La
pelle non dimentica.
La conclusione amara alla quale si arriva talvolta nella vita.
“Le
ferite di ieri
sono le cicatrici di oggi
già orme
appassite su sentieri futuri,
tutto scivola via
ma tutto
resta
Perché
lei, la pelle,
non dimentica.”
Vi
è nella raccolta una poesia struggente che Laura Vargiu dedica
“Alle madri mediterranee, a tutte le madri che hanno perso i
figli per mare”. Si intitola La
madre di Tunisi.
“Urlo
a squarciagola il tuo nome,
vuota ormai d’ogni altra
parola
per far tacere il silenzio del mare,
odioso
frastuono di segreti di morte
che il mio antico cuore di
madre
non si rassegna ad ascoltare.”
Nella
poesia Un
giorno ecco
cosa scrive Laura:
“Un
giorno
e solo quel giorno,
i miei passi troveranno le
parole
che non ho mai cercato
tra le pagine bianche
delle
strade d’inchiostro”
Anche
nel testo I
tetti di Torino troviamo
dei versi molto profondi che non possono non far riflettere.
“Rosseggiano
i
tetti di Torino
tra i silenzi della sera,
quando
s’accendono di storie
venute da lontano che raccontano
sogni
d’emigrate speranze e profumi d’altri
cieli
rapiti e amalgamati dal tempo”
La
poesia La
rosa di Damasco è
dedicata “Al dramma del popolo siriano”.
Estrapolo
alcuni versi .
“Spirano
i tuoi petali
avvizziti e inermi
lungo sentieri di profughe
marce
Dimenticati
sotto
sguardi spenti e vacui
dei cieli nostri d’indifferenza
saturi.”
Concludo
con il testo poetico “Non
fa rumore il pianto d’un bambino“ dedicato
“Al dramma dimenticato dello Yemen e del suo popolo”.
“Non
fa rumore il pianto d’un bambino
che sanguina fra mille
sparute stelle
né di una madre il grido di dolore
che
pur ferisce l’infinita notte d’una terra
dov’è
tramontata ormai l’alba
e il vuoto nome di Dio riempie
i
crateri affamati delle bombe”
Che
dire ancora? Forse soltanto che il libro va letto con calma e
attenzione, come ben dice l’editore che ci introduce a questa
lettura. E forse, quando si arriverà all’ultima pagina,
come è capitato a me, verrà voglia di ricominciare.
Una
raccolta che consiglio di leggere, che fa soffrire, ma che, nello
stesso tempo, può spingerci a fare una scelta ben precisa:
quella di essere meno indifferenti al dolore che ci circonda.
Piera
Maria Chessa
https://pieramariachessa.wordpress.com/
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