La
sete – Giovanni Lucchese – D Editore –
Pagg. 226 – ISBN 9788894830552
– Euro 15,90
Ho
avuto modo di apprezzare la capacità narrativa di Giovanni
Lucchese con L’uccello
padulo,
una storia generazionale fatta di mancanze e di eccessi.
La
Sete, è una grande conferma della capacità di Lucchese
nel descrivere disagi estremi, di rabbia represse, di mostri che ti
divorano dentro, se non alimenti la loro “sete”.
Nel
libro di Lucchese, i capitoli si alternano: un Lui e una Lei si
raccontano, via via fino alla fine, un Lui e una Lei che possono
rappresentare chiunque, due persone che hanno dentro un mostro e che
esplode con rabbia verso il mondo, rappresentato da un altro essere o
cose inanimate poco importa, è il mostro che reclama
vendetta.
Lui,
un uomo qualunque con una vita privata perversa, fatta di incontri
occasionali con uomini che domina con estrema crudeltà.
Lei,
una donna “bene” solo per aver sposato un uomo molto
ricco e di potere, il prezzo da pagare? Essere vittima del suo
carnefice. Riverserà tutta la sua noia e rabbia verso i suoi
sottoposti.
Due
vite parallele, due anime nere che si incontreranno solo per colpa di
un evento tragico.
Questo
non è un libro che ti accarezza. La Sete è un libro che
ti schiaffeggia, l’autore non ha remore nell’usare il
giusto linguaggio per le scene che fa vivere, senza giri di parole e
senza filosofeggiare troppo. È un viaggio dentro i meandri di
anime nere e l’unico modo per affrontarlo è prepararsi
alla crudezza della realtà.
A
fine lettura una domanda viene spontanea: Cosa nasconde ogni essere
umano dietro all’apparente vita normale? Quali sono i mostri o
le perversioni che vi abitano? Perché accade? Domando che non
hanno una risposta semplice perché ognuno è parte
indelebile del proprio vissuto.
Confermo
il mio grande plauso all’autore, non è facile toccare
certi argomenti senza cadere nel banale. Non è facile narrare
come se gli avvenimenti stessero accadendo in quel momento, non è
facile far sentire il dolore sulla pelle del lettore come ha fatto
Lucchese.
Lucchese:
una bellissima Penna
Citazioni
tratte da: La
sete di Giovanni Lucchese
L’ignoranza
non è una benedizione, ma a volte para il culo.
Avessi la
pazienza di farlo, e lui orecchie buone per starmi a sentire,
spiegherei alla Troia che la vita è ben altra cosa.
È
un po’ come cadere, volare a peso morto in un pozzo nero dove
non c’è luce, ma solo aria gelida che ti scorre sulla
pelle. Allungare le mani in cerca di un appiglio, scalciare senza un
preciso motivo, solo per sentirsi ancora vivi e padroni del proprio
corpo.
Urla di terrore ma anche di euforia, certi di trovare un
fondo, da qualche parte più in basso, che fermi la caduta.
E
mi sembra quasi di vederlo, ogni tanto, quel fondo. Qualcosa che
emana una luce debolissima ma accecante in un’oscurità
come questa.
È soltanto un gioco d’ombre nel quale
continuo a urlare.
La
mia vita è un pozzo nero. Una caduta che non finisce
mai.
L’urlo che mi accompagna sempre.
E’ lei la
bestia, la carestia, il diavolo rosso.
La sete.
La
sete non conosce limiti o vergogna, ma niente riesce a placarla,
quanto un paio di tette battute in faccia e una fighetta depilata e
umida, il deterrente numero uno per la mia dipendenza di sesso.
Il
buio nasconde demoni e mostri. Non c’è male peggiore di
quello che non conosciamo, non esiste un diavolo più amico di
quello che teniamo sempre al nostro fianco.
Dell’amore
non so niente, ma credo che quando ami qualcuno devi diventare il suo
ere, migliorargli la vita, difenderlo a ogni costo anche quando sai
che ha torto, farlo sentire protetto e prezioso, costruire un nido
fatto di carne e anima nel quale possa venire a rifugiarsi quando la
vita sta tirando troppo la corda.
Affannarsi
e correre tutto il giorno senza un motivo reale, girare in cerchio
attorno a qualcosa che non capiamo, tirare avanti la carretta con un
lavoro che ci deprime, far finta che tutti gli affari a cui andiamo
incontro durante l’arco intero della nostra vita ci interessino
anche solo minimamente: tutto questo acquista un significato solo nei
brevi attimi in cui ci diamo dentro come sto facendo io adesso.
Ciao
mamma, esclamo con troppa euforia attirando la s attenzione. Mi vede
e il suo sorriso si allarga rivelando una storta di denti gialli
mentre spalanca gli stessi occhi azzurri dolcissimi di sempre,
l’unica cosa rimasta viva sul teschio secchito che una volta
era la sua faccia.
Smuovevano le montagne quegli occhi. Ora sono
a malapena in grado di mettermi a fuoco.
Come sempre sento
qualcosa sgretolarsi dentro di me, torno a essere il bambino di
cinque anni che dipendeva in tutto e i tutto da quel sorriso, e che
aveva paura di ricambiare il saluto le persone senza la sua mano
sulla spalla che lo spingeva a farlo.
Oggi mi sento vecchio,
malato e così stanco da non avere più voglia neanche di
guardare l’orologio. Sono una carcassa ammuffita, un’anima
nera chiusa in un corpo in decomposizione tenuto in vita da un filo
così sottile che sta per spezzarsi lasciandomi volare via per
sempre in un cielo scuro senza fine. Un cielo che incombe sempre di
più su di me e che sembra stia per inghiottirmi da un momento
all’altro.
Provo fastidio verso questa vecchia morente che
mi tiene in chiodato qui a guardarla agonizzare, mentre quello che
vorrei fare è uscire, muovermi, andare a caccia di qualcuno.
Lo Zingaro ha risvegliato la sete invece di placarla. È come
l’eroina, ogni do serve soltanto a farti desiderare di più
quella che ti farai dopo.
Anche
lei ha una bestia dentro, tale madre tale figlio, ma la sua carnivora
e ormai è dappertutto, non si sa neanche da dove sia partita e
anche se lo sanno comunque non me l’hanno detto, tanto cambia
poco. Le è entrata nelle ossa, scorre nelle vene, sta anche in
quei suoi occhi che continuano a fissarmi come se fossi la cosa più
preziosa al mondo. La guardo e mi sembra di vedere sue cellule malate
e impazzite prendermi per il culo dietro al sottile strato di pelle
che mi separa da loro. E ‘una strada a senso unico, questa.
Non
scherzano questi mali, si vedono con le lastre, quelle racchie scure
che sembrano ombre sulla carta lucida ti sorridono mentre le guardi,
sembra che vogliano dirti hai visto, povero idiota? Ho fregato pure
te, che pensavi toccasse solo gli altri.
Anche
mia madre girava per casa tutta la notte, non dormiva mai. Aspettava
che i rumori in strada le dicessero che non era l’ultimo essere
umano rimasto sulla terra, che il resto del mondo si svegliasse
allineandosi al suo bisogno di sentirsi viva. Oggi passa dal sonno a
una veglia annebbiata fatta di dolore e delirio, gli unici pensieri
che le passano per la testa sono vaghi ricordi di episodi inutili
appartenenti al passato e il bisogno continuo di un’altra dose
di antidolorifico.
I
vecchi tempi sono sopravvalutati, il passato ci sembra sempre
migliore di come in realtà era.
È
nei momenti d’emergenza che riconosciamo i nostri limiti,
l’ansia è una luce che si accende sui nostri difetti
permettendoci di guardarli meglio, individuarli, studiare un piano
d’azione per smussare gli angoli.
Sono
uno che gioca in riserva con la vita, mi muovo sempre all’ultimo,
un attimo prima che sia troppo tardi, a volte qualche secondo dopo.
Non
indossare nessuna maschera è la maschera più difficile
da indossare.
E
sì, lo so che non siete voi ad aver massacrato la ragazzina
tanti anni fa ma non fa niente, oggi avete pagato per qualcun altro.
L’universo funziona così.
Noi
esseri umani non saremmo in grado di sognare se i sogni non fossero
fatti di una materia così fragile e cosi incline all’essere
infranta. Adoriamo le cose più facilmente distruttibili, ci
innamoriamo delle idee più vaghe, desideriamo più di
ogni altra cosa quella che è più facile distruggere.
Che
una catena diventa d’oro, se la avvolgi intorno al cuore,
proprio come una cintura di cuio può regalare la salvezza
eterna quando la stringi attorno al collo giusto.
Gira
come una ruota ‘sta vita di merda. Prima o poi arriva per
tutti.
Katia
Ciarrocchi
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