Antonio
Gramsci: sono trascorsi 130 anni dal giorno della sua nascita,
di
Piera Maria Chessa
Antonio
Gramsci nacque
ad Ales, un paese allora in provincia di Cagliari, situato nella
subregione della Marmilla, il 22 gennaio del 1891, e morì a
Roma il 27 aprile del 1937.
Dalla
moglie Julia Schucht, musicista russa, ebbe due figli: Delio, il più
grande, e Giuliano, il secondo, che Gramsci non conobbe mai perché
nacque quando lui era già in carcere, condannato da Mussolini
per la sua opposizione al regime fascista.
Gramsci non fu solo
un politico, ma anche giornalista, filosofo, critico letterario e
linguista.
I suoi scritti, numerosi, sono conosciuti e studiati
in tutto il mondo, tra questi Le
lettere dal carcere e I
quaderni dal carcere, pubblicati
tutti, purtroppo, dopo la sua morte.
Nel primo volume, tra le
tante lettere, vi sono anche quelle dedicate alla moglie, che viveva
in Russia insieme ai due figli, nonchè quelle spedite alla
famiglia d’origine, che abitava a Ghilarza, un paese non
distante da Oristano, dove Gramsci trascorse l’infanzia e parte
della giovinezza prima di trasferirsi a Torino dove, grazie a una
borsa di studio, potè frequentare l’Università.
Bella
e struggente in particolare una delle lettere scritte alla madre,
nella quale spiega il motivo per cui lui è stato condannato e
incarcerato. E poi ancora le tante inviate alla cognata Tania,
sorella di Giulia, che fece sempre da tramite tra lui e la famiglia,
e che gli fu vicina durante la detenzione, e quelle mandate ai suoi
amici.
I
quaderni dal carcere raccolgono
invece i frutti dei suoi studi, vari e approfonditi, nati dalle
molteplici letture e dalle riflessioni che di volta in volta ne
scaturivano.
E’ difficile raccontare in poche parole la
vita di un uomo come Antonio Gramsci, il suo pensiero sui più
svariati argomenti: politici, storici, letterari, musicali, e non
solo; ma anche la sua storia personale, il rapporto con la moglie
lontana, quello con i figli, ai quali cercava, da padre, di dare
consigli con i suoi scritti e di trasmettere loro dei buoni principi.
Come si può intuire, le difficoltà di un dialogo a
distanza erano notevoli.
E poi c’erano i tanti problemi di
salute di un corpo già estremamente fragile fin da quando era
un bambino, che non potevano non peggiorare nel corso degli anni
trascorsi in carcere.
Nonostante ciò, quanta forza e
determinazione oppose all’intensa sofferenza fisica e
psicologica quest’uomo così lungimirante e dal pensiero
lucidissimo! Di lui dissero, quando lo condannarono: “Per
vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
Il 4 giugno del 1928 fu infatti condannato a 20 anni, 4 mesi e 5
giorni di reclusione. Lo allontanarono dalla famiglia, dal suo
impegno politico e sociale, ma non riuscirono a farlo tacere.
Dopo
essere stato a lungo in diversi penitenziari, le malattie fisiche e i
disturbi nervosi diventarono in Gramsci però sempre più
frequenti, così come anche i suoi ricoveri in alcune cliniche,
fino a quando, nell’ottobre del 1934, riuscì a ottenere
la libertà condizionale. Nell’aprile del 1937 gli fu
finalmente concessa la piena libertà.
Le sue condizioni a
quel punto erano diventate tuttavia così critiche che, colpito
da una emorragia cerebrale il 25 di quello stesso mese, morirà
esattamente due giorni dopo, il 27 aprile. Aveva quarantasei anni.
Fu
un uomo severo ed esigente prima di tutto con se stesso, ma
ugualmente capace anche di tenerezza con la moglie e soprattutto con
i figli, ai quali chiedeva però anche rigore e disciplina
nello studio e nel rispetto degli impegni presi.
Ha lasciato a
tutti noi un’eredità straordinaria che non è
andata persa, e che non deve perdersi neppure con le nuove
generazioni. A noi tocca il compito e il dovere di tenerla in vita e
di saperla trasmettere.
***
Concludo
riportando la lettera che Antonio Gramsci scrisse alla madre poco
prima di sapere della condanna a oltre vent’anni di reclusione.
“Carissima
mamma, sto per partire per Roma. Oramai è certo. Questa
lettera mi è stata data appunto per annunziarti il trasloco.
Perciò scrivimi a Roma d’ora innanzi e finché io
non ti abbia avvertito di un altro trasloco. Ieri ho ricevuto
un’assicurata di Carlo del 5 maggio. Mi scrive che mi manderà
la tua fotografia: sarò molto contento.
A quest’ora
ti deve essere giunta la fotografia di Delio che ti ho spedito una
decina di giorni fa, raccomandata. Carissima mamma, non ti vorrei
ripetere ciò che ti ho spesso scritto per rassicurarti sulle
mie condizioni fisiche e morali. Vorrei, per essere proprio
tranquillo, che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque
condanna siano per darmi.
Che tu comprendessi bene, anche
col sentimento, che io sono un detenuto politico e sarò
un condannato politico, che non ho e non avrò mai da
vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la
condanna le ho volute io stesso, in certo modo, perché
non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto
a dare la vita e non solo a stare in prigione.
Che perciò
io non posso che essere tranquillo e contento di me stesso. Cara
mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché
sentissi quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo
dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente.
La
vita è cosí, molto dura, e i figli qualche volta devono
dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il
loro onore e la loro dignità di uomini. Ti abbraccio
teneramente.
Nino”
A
Gramsci dedicai, tantissimi anni fa, la mia tesi di laurea, e oggi,
ricordando i 130 anni dalla sua nascita, voglio riproporre un testo
scritto per lui e per la moglie Giulia nel lontano 2007.
Piccola
cosa, un omaggio il mio a un uomo di grande statura non solo
intellettuale e politica ma anche umana, di cui sono orgogliosa di
essere conterranea.
***
Julca
Un
amore nacque
in quei giorni lontani
tra te, uomo di
un’isola antica,
e la bella musicista straniera.
Vi
unirono le vicende del tempo,
la vostra stessa diversità,
la
tua determinazione,
la sua non voluta fragilità.
Pochi
i momenti vissuti insieme,
tante le lettere scambiate,
come
le incomprensioni
e gli aiuti reciproci negati.
Fu
un rapporto profondo, importante,
un amore distante,
difficile
da difendere o recuperare,
in fondo, da salvare.
|