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  Letteratura  »  Alda Merini, la Poetessa dei Navigli, di Piera Maria Chessa 30/03/2021
 
Alda Merini, la Poetessa dei Navigli

di Piera Maria Chessa



Alda Merini, il cui nome per intero era Alda Giuseppina Angela Merini, nacque a Milano il 21 marzo del 1931, e morì, sempre a Milano, il primo novembre del 2009.
Fu poetessa, scrittrice, e notevole autrice di aforismi. Suo padre era Nemo Merini, figlio di un conte comasco che venne diseredato per aver sposato una contadina, Emilia Painelli.
Era una persona colta e affettuosa, molto amato dalla figlia. La madre, al contrario, si dimostrò sempre severa e poco incline alle dimostrazioni di affetto, oltrettutto già intenzionata a decidere per la figlia un futuro di moglie e di madre.
Alda, che completò con buoni voti il primo ciclo di studi, amava molto la lettura, cosa poco gradita dalla madre. Fu tuttavia proprio il padre, dopo gli studi elementari, a imporle un corso di tre anni per poter entrare nel mondo del lavoro. La vita però per lei aveva deciso ben altro.
Nel 1943, mentre si trovavano in un rifugio, la loro casa venne distrutta da un bombardamento. La madre, Alda e il fratello più piccolo, Ezio, raggiunsero con mezzi di fortuna Vercelli, dove si fermarono, tra tante difficoltà, per tre anni, ospiti di una zia, mentre il padre e la sorella più grande rimasero a Milano. Solo in seguito la famiglia potè ricongiungersi.
Tornati a Milano, Alba si dedicò allo studio del pianoforte, oltre che alla scrittura. Fu in quel periodo che una sua poesia venne recensita da Giacinto Spagnoletti, critico letterario, poeta e narratore, che ne aveva intuito la bravura. Quel giorno, felice ed emozionata, rientrò a casa con la recensione tra le mani e la mostrò al padre. Al contrario di ciò che si aspettava, lui la stracciò, dicendole che la poesia non procurava il pane. Aveva all’incirca quindici anni.
Purtroppo, molto presto, nel 1947, Alba incominciò a manifestare i primi sintomi di un profondo disagio psicologico. Fu ricoverata per la prima volta in una clinica milanese e le venne diagnosticato un disturbo bipolare. Vi rimarrà per un mese.
Rientrata a casa, incomincia a frequentare diversi intellettuali, tra i quali anche David Maria Turoldo e Luciano Erba. La prima pubblicazione arriva nel 1950. Ancora grazie a Giacinto Spagnoletti, due sue poesie entrano a far parte dell’
Antologia della poesia italiana contemporanea- 1909-1949. L’anno successivo, il 1951, su indicazione di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani, altri due testi vengono inseriti in Poetesse del Novecento.
Nel 1953 Alba si sposa con Ettore Carniti. Sarà un matrimonio difficile.
In quello stesso anno viene finalmente pubblicato il suo primo volume in versi, 
La presenza di Orfeo. Nel 1955, una seconda raccolta, Paura di Dio, e in seguito, Nozze romane.
Muore improvvisamente il padre, e poco dopo nasce la prima figlia, Emanuela.
Nel 1957, due anni dopo, la secondogenita, Flavia. Ma presto incomincia un lungo periodo di crisi e sofferenza, che andrà dal 1964 al 1972. I terribili anni trascorsi in ospedale si alternano con alcuni rientri in famiglia. Vedranno la luce così altre due figlie, Barbara, nel 1967, e Simona, nel 1972, che vengono tuttavia date in affido.
Dopo un lungo periodo di silenzio, la Merini nel 1979 riprende a scrivere, molti dei suoi testi hanno come tema la difficile esperienza vissuta nell’ospedale psichiatrico. Sono poesie dense, dolorose, ma estremamente lucide e di grande bellezza.
Tuttavia per la poetessa sembra non esserci pace. Nel 1981 muore il marito, i suoi problemi di salute la tengono lontana per un po’ dal mondo letterario, dal quale viene praticamente ignorata.
Dopo tanti tentativi e altrettante delusioni, la raccolta alla quale ha lavorato a lungo finalmente viene pubblicata, il titolo è
 La Terra Santa.
Durante il periodo di isolamento la Merini conosce l’anziano medico e poeta Michele Pierri, che apprezza molto le sue poesie. Sarà un incontro di notevole importanza per la sua vita, nonostante la differenza di età. Si sposano nel 1984 e vanno a vivere a Taranto, dove si fermano per alcuni anni. Nel frattempo proseguono le pubblicazioni delle opere.
Nel luglio del 1986 però la poetessa deve ricorrere alle cure del reparto di neurologia dell’Ospedale di Taranto. Nel 1987 ritorna a Milano, dove l’aspettano ancora mesi difficili. Il marito Michele, infatti, già molto ammalato, si aggrava, morirà nel gennaio del 1988. Per Alda sarà una grandissima perdita. Continua tuttavia a scrivere e ad incontrare gli amici, che la sostengono standole vicino. Pubblica anche il suo primo libro in prosa,
 L’altra veritàDiario di una diversa. Seguiranno altre pubblicazioni, e finalmente vivrà un periodo più sereno e gratificante.
L’elenco dei suoi scritti è lunghissimo, impossibile parlare di tutti, tra i tanti occupano un posto importante anche i suoi Aforismi.
Sono questi gli anni in cui la poetessa viene inserita tra i più grandi poeti contemporanei. Vince diversi premi e porta avanti delle importanti collaborazioni con fotografi, artisti, attori e registi.
Nell’ultimo decennio della sua vita, dal 2000 in poi, la scrittura della Merini si modifica. E’ il tempo della cosiddetta “fase mistica”. Inizia per lei un nuovo percorso, la composizione di testi in cui approfondisce la sua personale ricerca di Dio, quel Dio che fin da giovane, come lei stessa dice, aveva perduto. Sono molte le opere scritte e pubblicate in quegli anni. Tra le altre, 
Magnificat, un incontro con Maria (2002), La carne degli angeli (2003), Corpo d’amore (2004), Cantico dei Vangeli (2006), Francesco, canto di una creatura (2007), Padre mio (2009).
Alla fine del 2009, il primo giorno di novembre, Alda Merini muore. Ha settantotto anni.
Un grande dispiacere per i tanti estimatori che l’hanno amata e apprezzata come donna, come poetessa, come scrittrice.
Rimane di lei una produzione vastissima, ma anche la sua difficile storia, all’interno della quale ha combattuto fino a quando le è stato possibile, cadendo e rialzandosi, perché dotata di un’arma formidabile: la sua scrittura.
Un amore nato fin da bambina, e che si è consumato con lei.


Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenare tempesta. / Così Proserpina lieve / vede piovere sulle erbe, / sui grossi frumenti gentili / e piange sempre la sera. / Forse è la sua preghiera.” ( Da “Vuoto d’amore”)


Di seguito, un po’ di testi scelti tra i tanti che vanno a formare le sue numerose raccolte.

I poeti lavorano di notte

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.

(Da “Destinati a morire”)

Dimmi almeno

Dimmi almeno che oscura meraviglia
già ti prende di me, che trovi bella
questa sommessa ed umile giunchiglia
che già ti paragona ad una stella;
dimmi che me divina e me presente
senti dentro il tuo letto di piacere,
dimmi che un bacio fuga dolcemente
tutte le smanie e tutte le chimere.


Dei miei molti rami, delle mie figlie adorate
io non so nulla, quando le vedo le spettino
hanno chiome grondanti e precise,
e loro si arrabbiano come puledrine avverse,
delle mie quattro figlie io non so nulla
se non che le sento nelle mie viscere.

Tu te ne sei andata

Tu te ne sei andata
hai lasciato dietro di te
il chiaro profumo dell’ombra,
o fiore di questo mio corpo
o specie martoriata di figlia,
tu te ne sei andata
uno spazio di vento
che ha indurito il mio cuore.

(Da “Destinati a morire”)


Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.


Padre, se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la parola
per parlare con trepidi linguaggi
d’amore a chi mi ascolta?

Ormai vecchia di anni e senescente,
dove trovare un filo di erba buona?
Che sai dei miei conventi, della grazia
matura delle sante, delle grandi
anime folli? Che posso io trovare
tra gli osanna dell’uomo di cultura?
Altrove è il canto, altrove è la parola
e Dio non la pronuncia.

(Da “Ballate non pagate”)

I versi sono polvere chiusa

I versi sono polvere chiusa
di un mio tormento d’amore,
ma fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il sole
ti parla di care promesse,
così quando scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.

(Da “La Terra Santa”)

Lavandaie

Lavandaie avvizzite
sul corpo del Naviglio
con un cilicio stretto
stretto intorno alla vita,
lavandaie violente
come le vostre carni,
donne di grande fede
sopravvissute al lutto
della bomba di Hiroshima…
Lavandaie corrotte
dall’odore del vino,
ossequiose e prudenti
fortissime nell’amore
che sbattete indumenti
come sbattete il cuore.

(Da “La Terra Santa e altre poesie”)

Il pastrano

Un certo pastrano abitò lungo tempo in casa
era un pastrano di lana buona
un pettinato leggero
un pastrano di molte fatture
vissuto e rivoltato mille volte
era il disegno del nostro babbo
la sua sagoma ora assorta ed ora felice.
Appeso a un cappio o al portabiti
assumeva un’aria sconfitta:
traverso quell’antico pastrano
ho conosciuto i segreti di mio padre
vivendolo così, nell’ombra.

(Da “La gazza ladra”)

***

E infine, un’appassionata raccomandazione ai giovani.

A tutti i giovani raccomando

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruirvi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.



https://pieramariachessa.wordpress.com/






 
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