Alda
Merini, la Poetessa dei Navigli
di
Piera Maria Chessa
Alda
Merini,
il cui nome per intero era Alda Giuseppina Angela Merini, nacque a
Milano il 21 marzo del 1931, e morì, sempre a Milano, il primo
novembre del 2009.
Fu poetessa, scrittrice, e notevole autrice
di aforismi. Suo padre era Nemo Merini, figlio di un conte comasco
che venne diseredato per aver sposato una contadina, Emilia
Painelli.
Era una persona colta e affettuosa, molto amato dalla
figlia. La madre, al contrario, si dimostrò sempre severa e
poco incline alle dimostrazioni di affetto, oltrettutto già
intenzionata a decidere per la figlia un futuro di moglie e di
madre.
Alda, che completò con buoni voti il primo ciclo
di studi, amava molto la lettura, cosa poco gradita dalla madre. Fu
tuttavia proprio il padre, dopo gli studi elementari, a imporle un
corso di tre anni per poter entrare nel mondo del lavoro. La vita
però per lei aveva deciso ben altro.
Nel 1943, mentre si
trovavano in un rifugio, la loro casa venne distrutta da un
bombardamento. La madre, Alda e il fratello più piccolo, Ezio,
raggiunsero con mezzi di fortuna Vercelli, dove si fermarono, tra
tante difficoltà, per tre anni, ospiti di una zia, mentre il
padre e la sorella più grande rimasero a Milano. Solo in
seguito la famiglia potè ricongiungersi.
Tornati a
Milano, Alba si dedicò allo studio del pianoforte, oltre che
alla scrittura. Fu in quel periodo che una sua poesia venne recensita
da Giacinto Spagnoletti, critico letterario, poeta e narratore, che
ne aveva intuito la bravura. Quel giorno, felice ed emozionata,
rientrò a casa con la recensione tra le mani e la mostrò
al padre. Al contrario di ciò che si aspettava, lui la
stracciò, dicendole che la poesia non procurava il pane. Aveva
all’incirca quindici anni.
Purtroppo, molto presto, nel
1947, Alba incominciò a manifestare i primi sintomi di un
profondo disagio psicologico. Fu ricoverata per la prima volta in una
clinica milanese e le venne diagnosticato un disturbo bipolare. Vi
rimarrà per un mese.
Rientrata a casa, incomincia a
frequentare diversi intellettuali, tra i quali anche David Maria
Turoldo e Luciano Erba. La prima pubblicazione arriva nel 1950.
Ancora grazie a Giacinto Spagnoletti, due sue poesie entrano a far
parte dell’Antologia
della poesia italiana contemporanea- 1909-1949. L’anno
successivo, il 1951, su indicazione di Eugenio Montale e Maria Luisa
Spaziani, altri due testi vengono inseriti in Poetesse
del Novecento.
Nel
1953 Alba si sposa con Ettore Carniti. Sarà un matrimonio
difficile.
In quello stesso anno viene finalmente pubblicato il
suo primo volume in versi, La
presenza di Orfeo.
Nel 1955, una seconda raccolta, Paura
di Dio,
e in seguito, Nozze
romane.
Muore
improvvisamente il padre, e poco dopo nasce la prima figlia,
Emanuela.
Nel 1957, due anni dopo, la secondogenita, Flavia. Ma
presto incomincia un lungo periodo di crisi e sofferenza, che andrà
dal 1964 al 1972. I terribili anni trascorsi in ospedale si alternano
con alcuni rientri in famiglia. Vedranno la luce così altre
due figlie, Barbara, nel 1967, e Simona, nel 1972, che vengono
tuttavia date in affido.
Dopo un lungo periodo di silenzio, la
Merini nel 1979 riprende a scrivere, molti dei suoi testi hanno come
tema la difficile esperienza vissuta nell’ospedale
psichiatrico. Sono poesie dense, dolorose, ma estremamente lucide e
di grande bellezza.
Tuttavia per la poetessa sembra non esserci
pace. Nel 1981 muore il marito, i suoi problemi di salute la tengono
lontana per un po’ dal mondo letterario, dal quale viene
praticamente ignorata.
Dopo tanti tentativi e altrettante
delusioni, la raccolta alla quale ha lavorato a lungo finalmente
viene pubblicata, il titolo è La
Terra Santa.
Durante
il periodo di isolamento la Merini conosce l’anziano medico e
poeta Michele Pierri, che apprezza molto le sue poesie. Sarà
un incontro di notevole importanza per la sua vita, nonostante la
differenza di età. Si sposano nel 1984 e vanno a vivere a
Taranto, dove si fermano per alcuni anni. Nel frattempo proseguono le
pubblicazioni delle opere.
Nel luglio del 1986 però la
poetessa deve ricorrere alle cure del reparto di neurologia
dell’Ospedale di Taranto. Nel 1987 ritorna a Milano, dove
l’aspettano ancora mesi difficili. Il marito Michele, infatti,
già molto ammalato, si aggrava, morirà nel gennaio del
1988. Per Alda sarà una grandissima perdita. Continua tuttavia
a scrivere e ad incontrare gli amici, che la sostengono standole
vicino. Pubblica anche il suo primo libro in prosa, L’altra
verità. Diario
di una diversa.
Seguiranno altre pubblicazioni, e finalmente vivrà un periodo
più sereno e gratificante.
L’elenco dei suoi
scritti è lunghissimo, impossibile parlare di tutti, tra i
tanti occupano un posto importante anche i suoi Aforismi.
Sono
questi gli anni in cui la poetessa viene inserita tra i più
grandi poeti contemporanei. Vince diversi premi e porta avanti delle
importanti collaborazioni con fotografi, artisti, attori e
registi.
Nell’ultimo decennio della sua vita, dal 2000 in
poi, la scrittura della Merini si modifica. E’ il tempo della
cosiddetta “fase mistica”. Inizia per lei un nuovo
percorso, la composizione di testi in cui approfondisce la sua
personale ricerca di Dio, quel Dio che fin da giovane, come lei
stessa dice, aveva perduto. Sono molte le opere scritte e pubblicate
in quegli anni. Tra le altre, Magnificat,
un incontro con Maria (2002), La
carne degli angeli (2003), Corpo
d’amore (2004), Cantico
dei Vangeli (2006), Francesco,
canto di una creatura (2007), Padre
mio (2009).
Alla
fine del 2009, il primo giorno di novembre, Alda Merini muore. Ha
settantotto anni.
Un grande dispiacere per i tanti estimatori
che l’hanno amata e apprezzata come donna, come poetessa, come
scrittrice.
Rimane di lei una produzione vastissima, ma anche la
sua difficile storia, all’interno della quale ha combattuto
fino a quando le è stato possibile, cadendo e rialzandosi,
perché dotata di un’arma formidabile: la sua
scrittura.
Un amore nato fin da bambina, e che si è
consumato con lei.
“Sono
nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, /
aprire le zolle / potesse scatenare tempesta. / Così
Proserpina lieve / vede piovere sulle erbe, / sui grossi frumenti
gentili / e piange sempre la sera. / Forse è la sua
preghiera.” ( Da “Vuoto d’amore”)
Di
seguito, un po’ di testi scelti tra i tanti che vanno a formare
le sue numerose raccolte.
I
poeti lavorano di notte
I
poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di
loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il
linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi
notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di
offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben
più rumore
di una dorata cupola di stelle.
(Da
“Destinati a morire”)
Dimmi
almeno
Dimmi
almeno che oscura meraviglia
già ti prende di me, che
trovi bella
questa sommessa ed umile giunchiglia
che già
ti paragona ad una stella;
dimmi che me divina e me
presente
senti dentro il tuo letto di piacere,
dimmi che un
bacio fuga dolcemente
tutte le smanie e tutte le chimere.
Dei
miei molti rami, delle mie figlie adorate
io non so nulla,
quando le vedo le spettino
hanno chiome grondanti e precise,
e
loro si arrabbiano come puledrine avverse,
delle mie quattro
figlie io non so nulla
se non che le sento nelle mie viscere.
Tu
te ne sei andata
Tu
te ne sei andata
hai lasciato dietro di te
il chiaro
profumo dell’ombra,
o fiore di questo mio corpo
o
specie martoriata di figlia,
tu te ne sei andata
uno spazio
di vento
che ha indurito il mio cuore.
(Da
“Destinati a morire”)
Viene
il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di
sole
e di crudissimo legno
siedono gli ammalati,
non
hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non
hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate
nel grembo
a guardare fissi la terra.
Padre,
se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la
parola
per parlare con trepidi linguaggi
d’amore a
chi mi ascolta?
Ormai
vecchia di anni e senescente,
dove trovare un filo di erba
buona?
Che sai dei miei conventi, della grazia
matura delle
sante, delle grandi
anime folli? Che posso io trovare
tra
gli osanna dell’uomo di cultura?
Altrove è il
canto, altrove è la parola
e Dio non la pronuncia.
(Da
“Ballate non pagate”)
I
versi sono polvere chiusa
I
versi sono polvere chiusa
di un mio tormento d’amore,
ma
fuori l’aria è corretta,
mutevole e dolce ed il
sole
ti parla di care promesse,
così quando
scrivo
chino il capo nella polvere
e anelo il vento, il
sole,
e la mia pelle di donna
contro la pelle di un uomo.
(Da
“La Terra Santa”)
Lavandaie
Lavandaie
avvizzite
sul corpo del Naviglio
con un cilicio
stretto
stretto intorno alla vita,
lavandaie violente
come
le vostre carni,
donne di grande fede
sopravvissute al
lutto
della bomba di Hiroshima…
Lavandaie
corrotte
dall’odore del vino,
ossequiose e
prudenti
fortissime nell’amore
che sbattete
indumenti
come sbattete il cuore.
(Da
“La Terra Santa e altre poesie”)
Il
pastrano
Un
certo pastrano abitò lungo tempo in casa
era un pastrano
di lana buona
un pettinato leggero
un pastrano di molte
fatture
vissuto e rivoltato mille volte
era il disegno del
nostro babbo
la sua sagoma ora assorta ed ora felice.
Appeso
a un cappio o al portabiti
assumeva un’aria
sconfitta:
traverso quell’antico pastrano
ho
conosciuto i segreti di mio padre
vivendolo così,
nell’ombra.
(Da
“La gazza ladra”)
***
E
infine, un’appassionata raccomandazione ai giovani.
A
tutti i giovani raccomando
A
tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non
guardateli superficialmente,
perché in essi è
racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con
dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma
soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la
terra
per tanti anni, non per costruirvi tombe,
o
simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di
noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste
realtà
quotidiana.
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