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  Letteratura  »  Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazienti, di Pietro Roberto Goisis, edito da ED Enrico Damiani e recensito da Katia Ciarrocchi 26/05/2021
 
Nella stanza dei sogni. Un analista e i suoi pazientiPietro Roberto Goisis – ED Enrico Damiani – Pagg. 368 – ISBN 9788899438746 – Euro 20,00


Un analista e i suoi pazienti
Pietro Roberto Goisis, è un medico psichiatra e psicoanalista, scrive questo libro principalmente per descrivere come e quanto siano importanti le stanze in cui vi è l’incontro tra medico e paziente, quel luogo dove si istaura un rapporto “stretto”, e quanto esse siano fondamentali per la buona riuscita nell’approccio paziente/analista.
Come dice lo stesso autore: “
Lo psicoanalista non è un muro, non è neppure un orecchio neutro. E’ una persona che vive di incontri, che deve curare altre persone, ma anche curare sé stesso. (…) Il paziente si affida, anche lo psicoanalista si affida, benché in modo diverso.”
L’autore narra semplicemente quale sia l’appagamento di chi va in analisi nel sentirsi pienamente avvolto e forse coccolato nella libertà di esprimersi senza essere condizionato o giudicato, e nello stesso tempo, il benessere dell’analista nella soddisfazione che l’ambiente da esso creato sia parte della buona riuscita dell’analisi stessa. Una corrispondenza reciproca che va avanti da secoli, sin dal creatore della psicoanalisi Sigmund Freud, che è sicuramente il primo a dare importanza alla “stanza” di incontro tra terapeuta e paziente.

La prima e più famosa adolescente della psicoanalisi è stata Dora, una diciottenne vista e raccontata da Freud nel 1901. Molti terapeuti esperti in adolescenza hanno in seguito criticato la gestione del caso – peraltro interrotto dopo soli tre mesi di trattamento – per l’eccessiva attenzione che era stata data al punto di vista e alla posizione del padre della ragazza.
Trentacinque anni dopo lo stesso Freud incontra un’altra diciottenne. Margarethe Walter. Nel 2006, lei, l’ultima paziente freudiana ancora in vita, ricorda in un’intervista che l’ormai anziano analista lo accolse nel suo studio al 19 di Berggasse a Vienna. Le fece delle domande alle quali rispose sempre il padre. Freud taceva. A un tratto disse al signor Walter in un tono cordiale, come se fosse la cosa più naturale: «La prego, vada nella stanza accanto. Vorrei parlare con sua figlia da solo». Girò la sedia verso di lei, le si avvicinò e le si rivolse apertamente: «Adesso siamo soli», e immediatamente la tensione si allentò. E lei parlò e parlò.
«Lui ha esaudito per la prima volta il mio perenne desiderio di aprirmi a qualcuno: Sigmund Freud è stata la prima persona che abbia davvero mostrato interesse nei miei confronti, che volesse sapere qualcosa di me, l’unico che realmente è stato ad ascoltarmi».

Goisis, fa un’analisi lucida di ciò che succede all’interno della stanza dell’analista, un via vai di persone che dopo un primo approccio decidono se rimanere e intraprendere un percorso, o se andare e non tornare più: un’attesa e un arrivo, un parlare e un ascoltare, un narrare e un sentire parallelo. Sono due sconosciuti che si incontrano e, ognuno, in modo diverso, con paure e aspettative da colmare per soddisfare i propri bisogni.
L’autore traccia il suo percorso professionale, fatto di sbagli e incertezze che sono servite a rafforzare il suo essere psicoanalista, ma aperto e disponibile nella sua professione, prima ancora come essere umano che come Dottore, la stanza, quindi, è vista anche metaforicamente per costruire un rapporto sano tra analista e paziente.
Sotto molti punti di vista un libro interessante, l’empatia mostrata dall’autore è fondamentale per la buona riuscita di un percorso psicoanalitico per la persona, paziente una volta solcata la soglia della stanza dello psicoterapeuta.
Goisis illumina le pagine, e al lettore arriva tutto l’amore che esso ha per il suo lavoro: ti viene voglia di passare quel confine, di entrare nella stanza, accomodarti e lasciare che le parole colmino tutte le mancanze.
Un libro che consiglio ai professionisti del campo perché avrebbero molto da imparare da “Nella stanza dei sogni”; professionisti che troppo spesso, si perdono dietro la teoria lasciando a cosa la parte più umana e questo si ripercuote negativamente sul percorso del paziente.


Citazioni tratte da: Nella stanza di sogni. Un analista e i suoi pazienti

Cose che possono succedere e mi sono successe solo lì, in quel luogo. Come senza un campo da tennis non ci sarebbe mai stato Andrè Agassi, se non ci fosse una stanza non esiterebbe alcun terapeuta, nessun paziente. A volte ho perfino la sensazione che sia magia, che riesca a tirare fuori il meglio di me, qualcosa che neppure so di possedere, che altrove non saprei trovare, che mi sorprende.

Cerchiamo intensamente relazioni, soffriamo se ci mancano. Abbiamo bisogno di sentire la presenza, benevola e accogliente, di chi sta con noi. Viviamo profondi sensi di abbandono e di perdita se i nostri interlocutori vengono meno. Vogliamo parole di conforto.
Poi, a volte, ci basta stare in quello spazio, lo spazio della stanza, come se fosse una capsula iperbarica lanciata nello spazio. La abitiamo, la facciamo nostra, il tempo si dilata.

«Mi sembra che lei giudichi gli uomini con lo stesso criterio che utilizzerebbe per un campo di carote: è vero che a prima vista sembrano tutte uguali, spunta solo la parte verde, più o meno rigogliosa, ma solo tirandole fuori dal terreno ne può valutare qualità e bontà. Ecco, a me pare che lei, per evitare carote di cattiva qualità, rinunci a priori a mangiarle. Forse potrebbe provare a giudicare la carota solo dopo averla raccolta!»

L’attesa, appunto.
C’è chi la riempie di niente, forse la scelta più “sana”; chi, invece, di varie forme e modalità.

Anche l’inconscio ha un’anticamera.
Almeno il mio ce l’ha.
È una sala d’aspetto con una porta che si chiude da sola.
Tu apri, entri, a te la scelta delle sedute.

Penso che si esca dall’infanzia quando ci si accorge che i propri genitori hanno dei difetti.
E che si esca dall’adolescenza quando si accettano questi difetti.
(…)
Penso che si diventi adulti quando ci si deve occupare dei difetti dei propri genitori.

Dicono che bisognerebbe sempre lasciare un tempo tra la scrittura di una mail e il suo invio, hanno scritto anche delle piccole regole. Io non ne rispetto nessuna, botta e risposta. Azione, reazione. Oppure non rispondo mai. Mica sono un millenial per niente!

Una schioppettata. Le parole, come proiettili, viaggiano nella mia direzione. Lo schivo, non mi toccano, ma mi feriscono profondamente. Si stampano sulla parete alle mie spalle. Avverto un senso di calore, interno e sul viso. Il cuore batte forte, le mani vibrano, un prurito sale rapido lungo le gambe fino alle cosce.

«Che non so assolutamente se ho diritto a stare qui…».
«Perfetto, ecco il cuore del problema! Per poter chiedere e ricevere qualcosa hai bisogno che qualcuno ti autorizzi. E in questo modo che si realizza la dipendenza che ti imprigiona. Ma il punto fondamentale è  che l’hai potuto dire, e credo che da questo momento niente sarà più come prima. Almeno qui, tra noi due».

La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo.

Eppure io credo che se ci fosse un po’ più silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire… Roberto Benigni (Film: La voce della luna)

La maggior parte delle persone creative desidera esprimere la propria gratitudine per aver potuto beneficiare dell’opera di chi ci ha preceduto. Ogni mia realizzazione è debitrice ad altri membri, sulle cui spalle poggiano i nostri piedi. Cerchiamo di usare i talenti che abbiamo per esprimere il nostro sentire più profondo, per esternare la nostra ammirazione per tutti i contributi di chi è venuto prima di noi, e per aggiungere qualcosa a quel percorso. (Steve Jobs)

Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero. Wolfgang Gorthe, Faust

La costanza e la ripetizione non sono mai stati un problema per me. Nelle abitudini e nelle consuetudini ho trovato sempre sicurezza, una sorta di garanzia di continuità.

Perché mi sono ammalata? Cosa è successo nella mia testa per scatenare questo inferno?
Si nasce o si diventa così? Centrano di più i geni o l’ambiente? Il corpo o la psiche?

Perché se le cose le vedi in chi ti sta vicino, in qualcuno a cui vuoi bene, viene più facile pensare, riflettere, uscire dalla propria testa e cercare di capire.

Con il tempo ho coniato due nuovi concetti. Il primo è stato “l’arcipelago degli omosessuali”. Così ho iniziato a chiamare le persone che progressivamente sono arrivate da me dichiarandosi tali.
Perché questa definizione? Tutti sappiamo cosa sia un arcipelago: è un insieme di isole, talmente numerose che in alcuni casi è addirittura impossibile contarle, perfino definirle geograficamente e dettagliatamente. Non esiste “una” omosessualità, ci sono le persone omosessuali, e quindi una vasta gamma di modalità con le quali questa identità viene vissuta ed espressa; ossia una pluralità di manifestazioni che ci ricorda di considerare come ogni individuo sia veramente unico, a sé stante.

Tolleranza è la voglia di immaginare che un’altra persona possa avere ragione. Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo

E’ davvero solo e soltanto questo il problema? Cosa avviene nella mente di una donna che, pur conscia che le viene fatto del male, non lo evita?

Ti meriti un amore che spazzi via le bugie. Frida Kahlo

a capire che non si è forti quando si scappa, ma quando si rimane, quando si lotta, quando si affrontano le difficoltà.

C’è un senso di vuoto, un’inerzia che cala lenta come un velo sulla mia mente. Solitudine. Una sorta di languore pigro.

Quanti avvenimenti può contenere un millesimo di secondo, una frazione infinitesimale di tempo? Quanto oltre ci si può spingere con la mente dentro quella realtà parallela?

Oggi siamo prigionieri di pensieri che sgomentano.

Mi piace poter pensare alla scelta di parole, poterle cambiare quando non mi sembrano efficaci…


Katia Ciarrocchi



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