Auto
da fé – Elias Canetti – Adelphi –
Pagg. 548 – ISBN 9788845916540 – Euro 15,00
Dissoluzione
dell’Io
La
tripartizione del romanzo – “Una testa senza mondo”,
“Un mondo senza testa” e”Il mondo nella testa”-
è già una chiave di lettura, chiara, del contenuto di
questo corposo romanzo, il primo lavoro di Canetti, in assoluto e
anche il suo unico romanzo. Lo è perché contiene il
riferimento ai due poli che entrano in collisione per tutta la durata
della narrazione: la realtà e la rappresentazione della
stessa. Una è data dall’elemento tangibile, qui chiamato
il mondo, l’altra è l’insieme dei pensieri –
la testa- , anche essi reali, si badi bene, che interpretano la
realtà, per poi trasformarla a tal punto da farla precipitare
nel piano dell’irrealtà. La fabula inoltre è
racchiusa intorno alla dispercezione del personaggio principale,
Kent, l’uomo dei libri, che , come una forza centripeta, in un
disperato mulinello trascina tutti gli altri personaggi. Non sono
tanti in verità, se non nella rappresentazione contenuta nella
seconda parte, la meno fluida.
Si
tratta, in poche parole, dell’esistenza di un sinologo che
possiede una dotazione libraria invidiabile, avendo investito in essa
la gran parte del lascito testamentario paterno. Lo incontriamo
nell’unico momento della sua vita in cui si approccia
gradevolmente e con cognizione di causa a un ragazzetto che lo
intenerisce per la sua passione verso i libri a tal punto da
invitarlo, abita nel suo stesso palazzo, a visitare la sua
biblioteca. L’unico momento di relazione vera e genuina per le
restanti cinquecento e passa pagine, perché una volta
accompagnatolo sull’uscio del suo appartamento e aver varcato
insieme a lui quella porta, non ci resta altro che assistere alla
rappresentazione della sua follia. Gradualmente però, perché
per una porzione di testo abbondante il lettore sarà
completamente rapito da un semplicissimo meccanismo di
immedesimazione che Canetti mette in atto con destrezza per poi farci
prendere le dovute distanze dal caso patologico. La presentazione del
protagonista è infatti quanto di più gradito possa
leggere un lettore, uno come noi, che vive per ritagliarsi lo spazio
vitale da dedicare alla lettura, che spende i suoi soldi per
acquistare i libri e che smania per leggerli tutti, ben sapendo che
una sola vita non gli basterà. Lo stesso lettore che qualche
volta si sarà soffermato a pensare quanto l’atto
egoistico del leggere lo estrometta dal consorzio umano, anche
semplicemente nello spazio e nel tempo tutto ascritto alla famiglia.
Terminata però questa prima parte che crea anche un
interessante sviluppo narrativo - il protagonista si sposa - si apre
una seconda parte in cui la rappresentazione del caos pare essere il
tratto distintivo. Ho faticato parecchio a leggerla e non ho più
ritrovato quella piacevolezza che lievemente era stata destata dalla
prima parte. Tutto è diventato cupo, l’involuzione del
personaggio senza speranza alcuna, il mondo che poi gli gravitava
attorno sempre più complesso. Solo quando il povero Kien è
tornato a domicilio, dopo una serie di surreali peripezie, ho potuto
nuovamente godere della narrazione e gustarmi il finale, naturalmente
anche esso frutto dell’ennesima ossessione. Sicuramente il
romanzo si imprimerà nella mia memoria di lettore per la
caratterizzazione straniante dei personaggi, per le loro ossessioni,
per il loro agire in conseguenza di un’errata rappresentazione
della realtà. Kent tra il possesso compulsivo dei libri e la
sua incapacità di relazionarsi con chicchessia, la moglie
dalla gonna blu a baluardo di una verginità che vorrebbe
concedergli senza che le sia pretesa e la sua deriva compulsiva verso
il possesso del denaro, infine il violento ex poliziotto ora
guardiano di portineria e il suo spioncino verso l’esterno. Un
romanzo ricco, corposo, a tratti pesante e prolisso a cui è
difficile però dare un giudizio negativo.
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