Herzog
– Saul Bellow – Mondadori – Pagg. 424
– ISBN 9788804683124
– Euro 14,50
Per
un pugno di pensieri
“Se
sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog.”
Il
Mosè in questione, ben lontano dalla mitica funzione di
conduttore e liberatore del popolo ebraico, come già si evince
dall’incipit perfetto sopra riportato, è un essere umano
a tutto tondo, contraddistinto da dubbi, eterne incertezze,
contraddizioni. È in perenne bilico tra le scarse relazioni
sociali che è riuscito a instaurare nella sua vita: due ex
mogli, due figli nati dai matrimoni naufragati, un fratello affermato
ma distante per via del suo ineccepibile piglio pragmatico, qualche
donna di passaggio, un solo amico, un ex amico, qualche
professionista di contorno. Lui stesso lo è, un accademico, un
promettente studioso in gioventù , ora perso nel genio
creativo dell’ennesima disquisizione filosofica. Herzog è
un filosofo. Il filosofo dell’alienazione, il simbolo della
condizione dell’uomo moderno, egli stesso “il significato
sociale del Nulla”. Herzog è anche i suoi ricordi,
quelli che cede a noi tramite l’espressione tangibile della sua
quasi riuscita alienazione totale: scrive infatti a persone che ha
conosciuto, ma talvolta scomoda anche illustri corrispondenti che
naturalmente non corrispondono affatto o perché morti o perché
distanti o più semplicemente perché impossibili. La
comunicazione è dunque univoca, si realizza nell’atto
materiale dello scrivere su carta delle epistole che, il più
delle volte, ripercorrono una scialba biografia, altre volte sono
invece la risposta a un meccanismo compulsivo che disseta l’alienato.
È inoltre ebreo, fatto di non secondaria importanza che si
riflette sul suo sentire, sul suo essere, sulla sua sconfinata
conoscenza, specchio gentile di quella del suo demiurgo. Herzog è
anche Bellow. Herzog è infine obbligato a essere se stesso,
l’ennesimo uomo incapace di vivere perché “non è
ancora esistito un individuo vero, capace di vivere, capace di
morire. Soltanto ammalati, sciocchi e tragici, o lugubri e ridicoli,
che a volte hanno persino sperato di arrivare all’ideale per
mezzo d’un Miracolo, con la semplice forza del grande desiderio
di arrivarci. Ma di solito costringendo l’intero genere umano a
credere in loro con la prepotenza.”Herzog è un
depressivo che mira all’edonismo, incapace di arrendersi al suo
retaggio ebraico che potrebbe definitivamente schiacciarlo, o meglio
sarebbe dire alienarlo. Herzog è infatti anche un ebreo in
America, incapace di conformarsi, a prescindere. E poi Herzog è
irrimediabilmente imbranato, fuori luogo, sprovveduto al punto tale
da suscitare simpatia immediata, un pasticcione uomo-bambino, un
cuore puro che lentamente, attraverso le lettere, cerca di
ricostruire la sua coscienza frammentata, consapevole dell’unica
verità del quale è certo: niente è
comprensibile, meno che mai il proprio Io. A tutti è dato solo
vivere nella menzogna e assecondarla, smettendo momentaneamente di
scrivere lettere, anche perché esse possono restituire
l’ennesima frammentazione, l’ennesimo episodio …
”L’uomo
è cosa vana, cosa vana. Follia e peccato sono tutto il suo
gioco”: il mantra biblico è sempre un utile monito per
l’ebreo senza patria che alla fine accetta di buon grado di
abitare da inquilino il suo Io.
Personaggio
memorabile e imperdibile.
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