Luigi
Pirandello
a
cura di Maria Allo
E
niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna vero
il sasso; vero un filo d’erba; ma l’uomo? Sempre
mascherato…
Pirandello
è un autore sperimentale e di grande attualità, anche
se il vero Pirandello resta ancora lontano da noi. Una vera
solitudine critica (Ferroni) [1] pesò,
negli anni dieci e venti su Pirandello e celebre rimase il dissidio
che oppose Croce a Pirandello riguardo alle idee estetiche espresse
da quest’ultimo nell’Umorismo. Eppure, innumerevoli
intellettuali e tutto il teatro italiano e occidentale ne furono a
lungo influenzati. La sua denuncia al conformismo quotidiano e la
critica amara alla vita comune, in tutte la sua produzione, (dalla
poesia al poemetto, dalla critica letteraria e teatrale alla
saggistica, alla novellistica al romanzo, passando per l’ibrido
del racconto lungo e del romanzo breve), dimostrano che il professore
siciliano, educato in Germania, aveva davvero colto nel segno. È
letteratura di un tempo di crisi, di vuoto e di valori, come lo
stesso Pirandello riconosce e che il critico russo Michail Bachtin
(1895-1975) ha definito carnevalesca improntata
cioè, come nel carnevale, al rovescio della normalità e
riflette ancora oggi la vita degli uomini sempre più
automatica, quasi da robot, incapace tanto di riflessione critica
quanto di solidarietà verso il prossimo. Per tutto quasi il
primo decennio del Novecento la produzione pirandelliana riserva, un
interesse marginale al teatro, concentrandosi piuttosto sul versante
della narrazione,[2] un’arte
raffinata e laconica, come dicevo, della dissoluzione dove già
si delinea quella crisi del personaggio che sarà motivo
fondamentale della grande narrativa del primo novecento e della
comicità sintetica e surreale del nuovo secolo (Proust, Joyce,
Tozzi, Pirandello, Svevo). Sono forti i punti di contatto e gli
intrecci tra l’esperienza biografica e artistica di Pirandello
come il volontario allontanamento dai luoghi d’infanzia e il
precoce distacco dai modi della letteratura verista di Verga e
Capuana a un’inedita apertura non solo italiana ma europea.
Spesso la critica ha ignorato che Pirandello, riallacciandosi alle
teorie linguistiche di Graziadio Ascoli[3],
abbia sempre cercato uno stile proprio, e alla fervida elaborazione
dei contenuti non sia mai mancato un lavorio altrettanto intenso
sulla lingua. In numerosi saggi, infatti Pirandello osserva che in
Italia <<i letterati non conoscono altra lingua che quella dei
libri; mentre gli illetterati continuano a parlar quella a cui sono
abituati, la provinciale; ossia i veri dialetti natali. Ne nasce
quindi-egli prosegue-un difetto di stile, una mancanza
d’individualità, di carattere storico, e una deficienza
assoluta di colore storico in una pagina di prosa…>>.
Dati gli studi universitari, è naturale che abbia saputo
sviluppare un’acuta riflessione sulla lingua, in un periodo di
prosa narrativa spesso sfocata e informe. Naturalmente anche la
lezione del De
Vulgari Eloquentia di
Dante è abbastanza evidente quando scrive: <<È
certo altresì che, se ciascun dialetto ha un tipo fonetico e
morfologico e uno stampo sintattico particolare, tutti i dialetti
italiani hanno poi un fondo comune che dà anima e corpo alla
lingua della nazione […]>>. E non era questa in fondo la
teoria dantesca del volgare che <<in qualibet redolet civitate,
nec cubat in ulla [= trad. it. si
manifesta in ogni città, ma non si ferma in nessuna]>>?
Consapevole che non avrebbe mai riscosso il favore dei puristi,
Pirandello precisa: ma << la lingua che vive, nella quale- per
dirla con Ascoli- la proposta individuale, la creazione, il rifiuto,
la riforma, la diffusione, l’uso sono avvenimenti ed effetti
incessanti…>>. In apparenza sembra che Pirandello,
a differenza di D’Annunzio e Verga, si curi in modo secondario
dello stile e che la lingua costituisca lo strumento per eccellenza
della comunicazione. In realtà la provocatoria assenza di
stile, l’immediatezza comunicativa, l’uniformità
espressiva sono l’esito pratico dell’umorismo, che
presuppone un certo distacco tra la voce narrante e la narrazione,
tra il punto di vista e le cose. La modernità della
lingua pirandelliana registra una graduale evoluzione nel corso del
tempo, divenendo sempre più asciutta, scientifica e
meticolosa. Gli anni trascorsi a Bonn, in Germania, dove vive dal
1889 al 1891 (si era trasferito a causa di un forte contrasto con un
professore dell’università romana) sono anni importanti
per la sua formazione, perché ha modo di confrontarsi
direttamente con la cultura tedesca, apprezzando gli autori romantici
(Goethe, Heine, Tieck, Chamisso) e leggendo le opere di Schopenhauer
e di Nietzsche. E nel 1891 si laurea con una tesi del dialetto di
Girgenti. Ritornato stabilmente a Roma nel 1892, dopo aver rinunciato
al lettorato di italiano presso l’università tedesca,
Pirandello introdotto negli ambienti letterari da corregionali
trapiantati a Roma, Ugo Fleres e Luigi Capuana, abbandona per il
momento i versi per concentrarsi nella scrittura narrativa. Il
Turno,[4] secondo
romanzo breve o racconto lungo in trenta capitoli di un centinaio di
pagine, fu composto da Pirandello ventottenne nel 1985 (S. C. Sgroi
1990). Opera giovanile dunque, non tra le opere più note, dopo
l’exploit d’esordio con L’esclusa nel 1893 quando
già la poetica dell’umorismo era in corso di
maturazione. Entrambi i romanzi quanto i vecchi e giovani riflettono,
nell’argomento e nell’ambientazione, l’esperienza
siciliana dell’autore. Ritroviamo, infatti, il motivo del
matrimonio, così come il contrasto con uomini prepotenti e
possessivi, che richiamano il rapporto tormentato del giovane
Pirandello con il suocero Calogero Portolano. Come vedremo, saranno
proprio la semantica e la dialettica delle relazioni a rappresentare
il cuore pulsante del romanzo. In una lettera da Roma ai suoi, del 20
dicembre 1895, Pirandello così scrive: <<Sto
per finire il turno che è un romanzo, non però delle
proporzioni del Marta Ajala a cui ora ho dato per titolo
L’esclusa>>(Pir., p. 63). Esso verrà pubblicato
sette anni dopo, nel 1902, presso l’editore Giannotta di
Catania, quando Pirandello è già trentacinquenne. Una
seconda edizione vedrà la luce 13 anni dopo, nel 1915, presso
l’editore Treves di Milano, ed una terza edizione apparirà
a distanza di altri 14 anni, nel 1929, presso la Bemporad di Firenze,
riveduta e corretta. Almeno tre sono dunque le edizioni rilevanti di
questo romanzo pirandelliano, come ora si evince dalle varianti
riportate nell’edizione curata da M. Costanzo (Cost.
pp.983-1000). La personale posizione di Pirandello nel dibattito
sulla questione della lingua in Italia ha certamente influito sulle
sue scelte di lingua come scrittore, e in particolare nel dinamismo
testuale del Turno. Fin dai suoi primi romanzi (L’ esclusa,
1901; Il turno, 1902; il Fu Mattia Pascal, 1904; I vecchi e i
giovani,1912; Si gira, 1914) e dai racconti (più tardi riuniti
nei 24 volumi della raccolta di Novelle per un anno) <<appare
chiaro quello che si potrebbe chiamare l’impulso anarchico e
antisociale, dell’opera pirandelliana. L’umorismo e la
dialettica sono le armi di cui lo scrittore si serve per disintegrare
e far esplodere la sua materia apparentemente umile e dimessa.
L’umorismo mette allo scoperto le ipocrisie dei rapporti umani
e la solitudine senza scampo dell’individuo; la dialettica,
distruggendo le impalcature provvisorie del senso comune, giunge a
investire alle radici il presupposto stesso dell’unità
sostanziale della persona, che tende a dissolversi in una serie di
atti incoerenti e in un gioco di apparenze e di fatti fittizi>>. Nel
Turno il caso si beffa sistematicamente dei piani architettati da un
padre per far concludere alla figlia un matrimonio economicamente
vantaggioso così tutte le relazioni interpersonali, persino
quelle più intime e familiari, caratterizzate da una profonda
mancanza di dialogo, costringe i personaggi ad uno stato di desolante
solitudine. In definitiva il primato del denaro sui sentimenti
complicherà irrimediabilmente le interazioni familiari,
portando a conseguenze del tutto inaspettate. Nel romanzo, il vecchio
Don Diego si sposa per ben sei volte e pur di non rimanere da solo e
di esorcizzare la morte si illude di trovare nella compagnia
dell’altro, un antidoto contro la solitudine. Tra padre e
figlia, moglie e marito, suocero e genero, nella maggior parte dei
casi, parlare non è mettere a nudo pensieri ed emozioni in
maniera spontanea, ma subordinare ‘la parola’ alla
realizzazione di un progetto economico o al soddisfacimento di un
bisogno strettamente personale. Questo furore distruttivo che
demolisce i suoi personaggi, e più spesso li denuda e li
scarnifica, illumina il nucleo genuino di sofferenza al di sotto
delle maschere variopinte; quella logica tormentata e delirante
contengono già in sé evidentissimi i germi di uno
svolgimento drammatico, e approderanno senza discontinuità
alla dialettica sofferta e tormentosa delle commedie e delle tragedie
composte fra il ’16 e il ’36. Il romanzo, ricco di
varianti, non è antifiorineggiante, ma piuttosto composito,
aperto com’è alle diverse suggestioni delle tradizioni
linguistiche italiane. Si possono individuare nella composizione del
romanzo pirandelliano, almeno sette strati con altrettanti registri
stilistici diversi. Lo strato dialettale siciliano, discretamente
presente, in cui il dialetto materno affiora variamente e abilmente:
<< lui […] inebbriato, scappò […] (1902,1915,
Cos. P.986 gli scappò (p.226).[5] Troviamo
il morfema diminutivo affettivo- uccia
(Rohlfs $ 1041[6])
con termini
di parentela in usiallocutivi: Mammuccia
mia, sic. Mammuzza mia: << Sì sì,
sempre con te, mammucciamia!
diss’egli a se stesso>>.
(p.239).
Lo stesso morfema diminutivo, nella variante -uzza e con valore
peggiorativo/dispregiativo, appare nel lessico cittaduzza,
che ora sostituisce il sintagma piccola città delle due
precedenti edizioni 1902 e 1915: <<Ah, se invece di nascere in
quella triste cittaduzza moribonda, fosse nato o cresciuto in una
città viva, più grande, chi sa! chi sa! la passione che
aveva per la musica gli avrebbe forse aperto un
avvenire>> (pp.223-224).
Il suffisso ampliato -rello(Rohlfs $ 1082) con valore vezzeggiativo
viene usato in combinazione con nomi propri: Nociarello,
sic Nuciareddu. L’accrescitivo -one (Rohlfs $ 1095)
appare combinato sia con aggettivi che con sostantivi: Contentone,
sic cuntintuni “molto contento” (Cons.): <<Scappata
[Stellina] Contentone! Marcantonio Ravì si lasciò
cadere su la seggiola, come fulminato. – Scappata…
con chi? – Se lo sa lei, – rispose
allegramente don Diego, scrollando le spalle. – O sola o in
compagnia, è tutt’uno. Ho qui la… come si chiama?
la… la cosa del Tribunale… – Siamo
già a questo? – esclamò il Ravì,
rimettendosi in piedi. – Il Coppa, è lui…
quell’assassino! M’ha rovinato la figlia… E voi,
vecchio imbecille, ve la siete lasciata scappare?” Diavolone,
sic. Diavuluni: <<Ma che diavolo dite, don Pepe! – scattò
su don Marcantonio. – Vi portano al macello, e sta bene?
Signori miei, scherzate o dove avete il cervello? Metter di fronte
così due giovanotti a cui il sangue bolle nelle vene? Io son
padre di famiglia, santo e santissimo diavolone>>! Possiamo
inoltre rilevare lo strato popolare costituito da brutte parole,
insulti e imprecazioni. Questi insulti, a volte, quasi di
auto-denigrazioni, lessemi indicanti momenti di auto- aggressività
(birichina, imbecille, matto, morto di fame, pazzo, stupido,
vecchiaccio, vigliacco epiteti- insulto come asinaccia, animale,
babbeo, impostore, carogna. [Pepè] appena impugnata la
sciabola, era diventato più pallido di una carogna,
pp.224-45). <<Ma
se puzzi di carogna, lontane un miglio>>! (p.269). Nella
trama del tessuto linguistico del Turno si riscontrano anche lo
strato vernacolare e quello letterario toscano <<… Lasciati
servire da me! – ribattè il Coppa, fermandosi in
mezzo allo scrittojo […] Non ve lo avevo detto io che colui
sarebbe stato la vostra rovina e la rovina di mia figlia>>? [il
Ravì parla a don Pepè] (p.299). Lo
strato idiolettale, purnon essendo particolarmente spesso, testimonia
la volontà di ricerca di un autore che modifica lessemi del
patrimonio linguistico italiano: <<Si ricusa assolutamente di
seguire il marito! E jersera m’è rimasta in casa,
capite? signorinissima!Oggi la stessa storia. Non vuole neanche
vederlo! >> dice don Marcantonio Ravì] (p.234).
Interessante risulta pirandelliana del Turno, costituita da nomi veri
non fittizi, che rinviano a una precisa realtà italiana, con
uno sfondo di esperienza autobiografica: Don Diego Alcozèr
, settantaduenne (p.214,278)
<<Don
Diego fino fino, piccoletto, che gli arrancava accanto con lesti
brevi passetti da pernice, tenendo il cappello in mano o sul pomo del
bastoncino, come se si compiacesse di mostrar quell’unica e
sola ciocca di capelli, ben cresciuta e bagnata in un’acqua
d’incerta tinta (quasi color di rosa), la quale, rigirata,
distribuita chi sa con quanto studio, gli nascondeva il cranio alla
meglio>>. <<
Donna Carmela Mèndola, l’accanita vicina (p.30 6) della
si-donna Rosa Ravì, è la portavoce del vicinato>>. La
nomina ad accademico d’Italia, le acclamate tournées per
il mondo e quindi il Premio Nobel (1934) consolidarono la fama di
Pirandello, ma andrebbe per esempio ripensata da capo, sulle orme di
Gramsci e Sciascia, la sicilianità[7] del
continente Pirandello e studiare l’enorme contributo da lui
dato alle avanguardie teatrali del Novecento.
©
Maria Allo
[1] Edizioni
scolastiche Bruno Mondadori, Il Novecento, vol.III, Tomo 2;
[2] F.
Gioviale, La poetica narrativa di Pirandello. Tipologia e aspetti del
romanzo, Patron Bologna1984;
[3] Altieri
Biagi, M. L. La lingua in scena, Edizioni del Centro Nazionale di
Studi Pirandelliani, Caos- Agrigento;
[4] Tutte
le citazioni del Turno pirandelliano e il numero delle pagine si
riferiscono a Pir. = Pirandello L., Il Turno, in L.P., Tutti i
romanzi, a cura di G. Macchia con la collaborazione di M. Costanzo,
Intr. Di G. Macchia, Mondadori, Milano, 1973, 1984, Vol., PP.211-315
(<<note ai testi e varianti>>), pp.980-1000
[5] Rohlfs=
Rohlfs G., Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi
dialetti, Einaudi, Torino, rist.1970, 3 voll. (orig. Ted.1949-1954);
[6] Tutte
le citazioni del Turno pirandelliano e il numero delle pagine si
riferiscono a Pir. = Pirandello L., Il Turno, in L.P., Tutti i
romanzi, a cura di G. Macchia con la collaborazione di M. Costanzo,
Intr. Di G. Macchia, Mondadori, Milano, 1973, 1984, Vol., PP.211-315
(<<note ai testi e varianti>>), pp.980-1000
[7] VS/II=
Vocabolario siciliano, a cura di G. Piccitto, Centro di studi
filologici e linguistici siciliani, Catania-Palermo, vol.I .
https://nugae11.wordpress.com/
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