Una
donna di marmo nell’aiuola – Cristina Bove
– Campanotto- Pagg. 128 – ISBN 9788845616679
– Euro 15,00
Un
vero poeta si riconosce da molti dettagli, primo fra tutti dallo
stile personale, originale, e senza dubbio anche dai temi indagati
con le sue poesie. Salta subito all’occhio, alla prima lettura,
anche la forma con i suoi ritmi e la musicalità. Ma queste
caratteristiche sono, vorrei dire, intrinseche al poetare, così
come la metrica, la rima o i versi liberi che, se pure non di
secondaria importanza, assumono un valore aggiunto quando la poesia
esprime pensieri profondi o rimanda ad esperienze per così
dire ‘universali’, sommovendo emozioni e sentimenti
genuini, o evocando atmosfere, risvegliando ricordi, nostalgie,
suscitando speranze e ottimismo, anche.
Questo
breve preambolo mi porta a considerare che nella nuova silloge di
Cristina Bove, “Una donna di marmo nell’aiuola”,
gli elementi sopra accennati si ritrovano tutti, e rendono la lettura
delle poesie molto piacevole.
È
anche vero che, se non si ha una certa familiarità con il suo
modo di poetare, già dalla prima lettura occorre una
attenzione particolare, verso per verso, e successivamente una
ri-lettura che consenta di verificare la comprensione, o di
assaporare, quantomeno, il distillato dell’essenza di ogni
poesia. Questo perché Cristina spazia nei cieli immensi della
sua anima e si rischia di perdersi se non ci si lascia condurre per
mano.
In
questa silloge, in particolare, l’autrice ci offre una sua
lettura in controluce del reale, come attraverso una sorta di
‘diaframma’ del pensiero, che mostra mentre anche
nasconde: sono riflessioni sulla vita, sull’amore, sul tempo,
sulla psicologia dell’io.. ecc.. tutte tematiche molto
complesse, che si lasciano solo parzialmente scandagliare e che
quindi comportano una continua rivisitazione, poiché ogni
volta si coglie appena un minimo aspetto, lasciandone in ombra
un’infinità.
Volendo
fare di questa mia breve recensione qualcosa come una lettura a volo
d’uccello, mi soffermerò soltanto su aspetti salienti,
visibili -appunto- nell’insieme delle poesie, a cominciare da
una strategia molto efficace utilizzata da Cristina in molte poesie
di questa silloge, e cioè l’andatura contrappuntistica
della versificazione, così che, mentre si ascolta una prima
‘melodia’ e se ne coglie il senso, è già a
disposizione una successiva ‘voce poetica’ che in qualche
modo incalza la prima, la ricorda, la riafferma, ma è diversa
pur essendo simile, creando così un effetto di
accordo-relazione tra le varie parti, pur indipendenti dal punto di
vista della musicalità.
Oltre
a questo godibile modo di procedere poetico, si possono agevolmente
rilevare:
-
delle contrapposizioni ‘diafane’ di negativo e positivo,
sfumate dall'uno nell'altro, come rivela già il titolo della
silloge: l’impietrirsi della donna (di marmo) ma sull’aiuola
(sul morbido); altre
contrapposizioni
le troviamo tra vita/morte, calore/gelo, ombra/luce, ecc...
-
l’utilizzo, a volte spiazzante, di metafore, molte delle quali
tratte dal mondo marino, come se l’acqua fosse un valido
supporto per l’effimero che è rappresentato dalla vita
(infine arresa ai silenziosi flutti / mi spiaggerò su quella
stessa riva / male che venga _come una risacca_ - v. ‘Male
calmo’ - pag. 47)
-
talvolta aforismi metaforici come questo, bellissimo: le pietre non
carezzano le pietre / _è compito del sole farle vive_ - v.
‘Esaurivento’ - pag. 67)
-
la categoria della solitudine, insistita, in più d’una
poesia, perché elemento costitutivo di ogni essere umano
-
una lucida consapevolezza del tragico destino comune
-
un rapporto controverso con il tempo, tra la sparizione dei minuti,
l’effimero presente e una presunta eternità
-
una sottesa amarezza, nei versi e, a volte, nei titoli stessi delle
poesie; non disgiunta, tuttavia, da sottile ironia, semplice
escamotage per resistere alle insidie del tempo, ma anche sguardo
intelligente sull’accadere, in generale
-
un ‘nutrimento’ culturale vastissimo, (come già
evidenziato in precedenti mie recensioni di altre sillogi della
Bove), che non smette mai di essere metabolizzato in modi sempre
nuovi
-
e, certamente fondante della poetica boviana, il sentimento di
comunione profonda con ogni aspetto dell’universo (condiviso
con Walt Whitman, in Foglie d’erba).
E
già, il mondo! Tutto quello che Cristina pone sotto la sua
lente poetica di ingrandimento, è il mondo nella sua stanza: →
ricordi visioni sogni parole illusioni immagini, tutto passato al
vaglio attraverso quell’in_certo ‘diaframma’ del
suo pensiero, anche mentre se ne sta a fare altro... (solo un
esempio, Poi la nave bianca, pag. 79)
Ma
ad andare ancora più in profondità nell’analizzare
le poesie di Cristina Bove si rischia, di nuovo, non di non
comprendere, ma di essere certi di aver compreso bene quel che voleva
dire e nello stesso istante essere certi che voleva dire anche altro,
perché la sua è la poetica del dire-non dire (come
molto ben esplicitato ne’ L’oscuro lato della poesia,
pag. 51).
Una
sfida per il lettore, e forse anche una sfida per la stessa poetessa.
Maria
Carmen Lama
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