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  Letteratura  »  Sparse impressioni di lettura su Pascoli, di Giuseppe Piazza 18/03/2022
 
Sparse impressioni di lettura su Pascoli

di Giuseppe Piazza



Nella nota bibliografica alla sesta edizione di Myricae il poeta facendo la storia delle prime liriche, umanamente, ci dice che dopo Romagna, che è del 1880, o giù di lì, seguì un considerevole intervallo, perché “stretto dalle necessità della vita, il canto non usciva dalla gola serrata”, testimonianza questa che più ci avvicina alla conoscenza umana e poetica della sua straordinaria personalità e serietà di sentire nel profondo l’autenticità della propria creazione artistica, laboriosa e fertile nelle sue intuizioni e creazioni che sanno felicemente trasportarci dal mondo classico verso dimensioni umili di fraterna solidarietà nell’ accettazione di una esistenza raccolta e intima, che si assapora anche al soffiare delle raffiche di vento rabbioso, stando raccolti davanti ad un focolare scoppiettante, che per suggestione di atmosfere campagnole classiche porta il pensiero verso l’esemplare poemetto in latino “Il vecchio di Corico” e la sua mensa carica di vivande non comprate. Ma l’orizzonte della sua sensibilità poetica, indagatrice di suoni ed echi impercepibili può anche portarci ad incontrare nella loro essenza più evanescente e misterica temi crepuscolari e romantici dal sapore medievale, come avviene ne “Il maniero” in cui è possibile notare la differenza del suo medioevo da quello del Carducci, specie del Comune rustico, variato ed animato questo da presenze umane palpitanti, mentre quello figurato dal Nostro appare popolato più di ombre e rumori invisibili, propri di un romanzo o di una ballata gotica. Si pensi per tali sospensioni di fascino e mistero a “Il Libro” che, aperto sopra il leggio nell’altana ,sfogliato da una presenza invisibile ed inquieta , veglia e scruta il silenzio per raccontarci le ansie della mente che si illude di trovare e sentire l’indicibile altrove della vita, che si connota decadentisticamente al di là di ogni intenzione romantica per farsi simbolo figurale del volto invisibile del mistero, del senso occulto delle cose che il poeta per intermittenti e fugaci illuminazioni avverte nel suo animo e svela per e con la voce palpitante di un fanciullino che vive, ride e piange dentro di sé ingenuamente e che porta il poeta a meditare su una umanità affrancata dall’odio e a considerare tutti gli uomini come fratelli e soprattutto buoni e contenti di poco, “anche se ciò che più piace è il molto”, che però ingombra e stordisce. Il fanciullino per la sua innocenza primitiva e solidale porta conseguentemente all’ideologia socialista come dottrina politica umanitaria e la poesia per tanto non poteva essere che l’espressione di sentimenti buoni e fraterni che ci richiamano il mito vichiano dell’umanità gentile e ridente, vista ora attraverso gli occhi di un fanciullino, che ancora non ha sperimentato la ferocia delle passioni e dei contrasti sociali, che da lì a poco avrebbero travolto la Belle Epoque e il sogno illimitato del trionfo del Progresso. Per tale ragione viene meno ogni positiva spiegazione della Storia che governa il mondo, dominato da oppressione e morte che sgomentano la sensibilità solidaristica del poeta, così da spingerlo a racchiudersi e bloccarsi in un suo nido protettivo, che lo porta ad idoleggiare la serenità della sua infanzia, nella calda protezione della famiglia e della casa, specie quando su di essa si abbatterà la violenza dell’assassinio del padre e delle morti frequenti e precoci dei suoi familiari, che disperdono ogni idillio campagnolo e domestico soffocato anche e soprattutto da un meditare cosmico sulla vita di questo mondo, che perde ogni attrattiva umanamente romantica per divenire “un atomo opaco del male”, in cui angosciosamente il male, al pari di quello cosmico leopardiano e di quello più intimo e palese di Montale, suscita delle domande inquietanti e senza risposte logicamente plausibili, anche perché stilisticamente, come è stato notato, il poeta porta all’estremo quel processo di rarefazione dell’elemento logico-narrativo, come avviene , per esempio, ne” Il gelsomino notturno”, in cui la vita più segreta e indecifrabile della natura umana, intuibile solo per arcane corrispondenze, pare esprimersi in reticenti allusioni erotiche, “dentro un’urna molle e segreta”, dove si prepara a formarsi una nuova creatura, per gli sposi novelli, amici del Poeta, ai quali la lirica è dedicata per il loro giorno di nozze. E trascorrendo le nostre brevi considerazioni in questo labile e fraterno omaggio al Pascoli incontriamo l’inobliabile figura della madre morta che pare materializzarsi nei ricordi più stranianti e pietosi per farsi consolatrice e consolazione dei triboli e delle ansie che sopraggiungono nel nel sentire l’incubo della malattia e della morte da cui si guarisce morendo, come liminarmente appare nel sogno sempre più carico di simboli e valori che tendono a prefigurare inviti umani a non prevaricare e a non uscire fuori dal proprio cerchio economico ed esistenziale, quasi sulla stessa risonanza dell’ostrica del Verga, anche se con meno drammaticità sociale. E’ questo, come apprendiamo anche dagli scritti in prosa, un progetto culturale ed umano tinto di socialismo utopistico, che pur senza le forti motivazioni morali, per esempio di un Manzoni, sembra proprio completare l’ideologia pascoliana. L’accontentarsi di poco, come amava ripetere, che in sé ci pare una visione da bohemienne, sta agli antipodi del vitalismo aristocratico del suo celebre fratello, Maggiore e minore, come amava definire il divino Gabriele, cultore di un sensualismo decadente legato al mondo letterario europeo, da cui il Pascoli non sembra sfiorato nel suo sentire le intime vicissitudini spirituali e psicologiche del Decadentismo, in cui la sua poesia per forma e contenuti si eleva magistralmente, offrendosi altresì come moderno serbatoio linguistico di primissimo piano, al cui seme molti attingeranno per il suo grande afflato umano e sentimentale che lo portano ad assimilare religiosamente il mondo classico visto nei temi più umili e toccanti di umana pietà, come avviene nei celebrati e premiati poemetti latini, dove il poeta ama alzare gli occhi da quei suoi libri fascinosi per guardare ed incontrare quelli della vita, intesa questa come infinita e fertile scoperta delle possibilità emozionali e reali della parola poetica, che sa divenire impressione pittorica in un palinsesto di nature agresti e simboliche, percorse da suoni marginali come avviene nei versi di” Patria” o in quelli di “ Mezzanotte”, per privilegiare impressionisticamente il tono soffuso di una notte magica, dove nella città notturna, come canta Laforgue in Apoteosi veglia un folle, che qui non è un parigino o un mistico o un romantico, ma un solitario che cerca il Vero, cioè è un positivista, un filosofo che si affatica ad aprire una conchiglia nell’immenso mare dell’Essere, che ci richiama la visione dello sconosciuto che sfoglia e risfoglia senza tregua il libro del mistero. E per limitare questo breve e saltuario vagabondare nell’inesauribile mondo poetico del Pascoli, ci piace indugiare su quel quadretto familiare evocato ne “Il rosicchiolo”, che ci apre il mondo umile e povero di un tugurio di contadini, dove ai bambini si dava al posto del gommoso succhietto dei nostri giorni un tocco di pane duro da rosicchiare, il cui sapore emblematicamente faceva scoprire anzitempo al bambino la sua reale futura appartenenza sociale di umile .Ed infine si deve ricordare ad onore e vanto della sua poliedrica sensibilità artistica ed umana il poemetto Italy in cui l’attenzione del lettore viene subito catturata dalla significativa epigrafe che vi premise - sacro all’Italia raminga -. “La vicenda cantata è quella di una famiglia di contadini, emigrati da anni in America e del loro ritorno in patria, al focolare antico, al paese d’origine” ciò che fondamentalmente colpisce è la descrizione che l’emigrazione comporta la solitudine e l’estraneità dell’emigrato condannato a correre “per terre ignote”, e l’auspicio che l’Italia un giorno possa richiamare i suoi figli dispersi. A questo punto bisogna segnalare lo stravolgimento politico ed umanitario che tali parole avranno in seguito nelle prospettive nazionalistiche, più che socialistiche del Pascoli, quando in occasione della guerra alla Turchia per la conquista della Libia del 1912, scriverà il famoso discorso “ La grande proletaria si è mossa” che ci dice come il Pascoli, pur essendo per natura e formazione legato a motivi umanistici e ai temi del “nido”, abbia subito il fascino aberrante delle ideologie nazionalistiche del suo tempo che gli facevano assumere il ruolo di poeta vate civile, riconoscendo un valore sociale ed umano alla guerra per creare un luogo protettivo agli erranti Italiani, per virtù di una colonia gestita dalla madre patria.

Giarre 13 -03-2022




 
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