La
famiglia Manzoni
– Natalia Ginzburg – Einaudi – Pagg. 494 –
ISBN 9788806234737
– Euro 14,00
Il
bandolo della matassa
Testo
dalla difficile classificazione, semmai fosse necessario classificare
sempre tutto. Non una biografia in senso stretto, non una biografia
romanzata, tutt’al più una biografia indiretta e perché
basata su copioso materiale epistolare e perché il polifonismo
generato da siffatta corrispondenza è vergata da molteplici
voci, tutte protagoniste. É come se la Ginzburg facesse di
questo lavoro tardivo una summa della sua narrativa dalla complessa
memoria familiare imbevuta e nutrita. Una famiglia intesa in senso
lato che fa perno su un suo protagonista, in questo caso il più
grande romanziere della letteratura italiana, per irradiare nella
fitta rete di relazioni che l’esistenza regala a tutti noi, non
solo i membri della genealogia: nonni, figli, nipoti, generi e nuore
con i rispettivi nuclei familiari, ma anche, necessariamente, amici,
conoscenti, servitù, compaesani, e per finire gli italiani
tutti.
Manzoni
insomma è qui un ritratto da ricostruire, da assemblare,
incrociando la rappresentazione di sé che le sue lettere
rimandano alla rappresentazione che ne scaturisce dalle varie lettere
che i suoi familiari e amici e conoscenti scrivono al pari di lui.
In
sostanza, terminata la lettura, ci si ritrova arricchiti da tante
informazioni spicciole, quotidiane che scandiscono l’esistenza
in un naturale susseguirsi di gioie e dolori, predominano in realtà
questi ultimi e per chi incline a certa malinconia, i più
interessanti. Affascina leggere della sopportazione del dolore,
dell’indifferenza che si accompagna alla lontananza, del
ricercare e quasi inseguire un’amicizia sfumata senza motivo
apparente (leggi C. Fauriel, una delle parti più affascinanti
della narrazione traslata), del convivere infine con le proprie
disillusioni. Una vita lunga, quella del Manzoni, che lo vede
sopportare tanti lutti e l’imperfezione delle relazioni umane,
lui stesso padre a metà e figlio rifiutato. Affascinante la
restituzione dell’epoca, quasi l’intero XIX secolo, e
anche oltre perché il libro si chiude con il congedo al
figliastro Stefano , morto nei primi del ‘900, un’epoca
in cui il peggior disagio è la convivenza con il proprio corpo
che si ammala e produce sofferenza in un susseguirsi di rimedi che
passando per gli inevitabili e ripetuti salassi, porta sempre ad
inevitabile morte. L’aspetto strettamente connesso al concetto
di salute e di malattia è trasversale a tutte le
corrispondenze e quindi all’intero testo, è portatore di
curiosità che rasentano l’alchimia se non la
superstizione condita dalla rassegnazione al volere divino,
rappresentano una fonte preziosa del sentimento del tempo e in certi
casi riescono a stemperare l’eterna tensione che tale groviglio
epistolare ricama. Sapevate voi che Teresa Borri Stampa, la seconda
moglie di Manzoni, in odor di menopausa, ma eternamente malata
immaginaria, fu alle soglie dei suoi cinquant'anni, prossima al
limitare della vita in una tremenda notte che invece la portò
a sgravarsi delle due gemelle che portava in grembo? Pur trovandosi a
leggere della morte dei due piccoli, quella che subentra è una
sottile ironia, non voluta da nessuno, tanto meno dalla nostra
Natalia che scompare nel testo come nella migliore “eclissi
dell’autore” di stampo verista, ma prodotta forse solo
dallo stridere dei tempi, è solo un attimo ma il sentimento
che genera è quello, presto incanalato da nuove tensioni,
nuovi lutti, eterne minacce. Affascinante.
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