L’amore
rubato – Dacia Maraini – Rizzoli –
Pagg. 202 – ISBN 9788817066556
– Euro 11,00
L’amore
rubato, di Dacia Maraini, esplicita chiaramente l’intento
di denuncia fin dal titolo quasi ossimorico: l’amore è
un sentimento che “si dona”, non si può estorcere.
La grande scrittrice italiana, a merito recentemente insignita del
“Premio Campiello” per la sua lunga attività
letteraria, ci offre, in questa raccolta di otto racconti ispirati a
vicende vere, un ventaglio di storie incentrate sulla violenza sulle
donne.
Ancora
oggi, dopo un secolo dalle suffragette e decenni di lotte femministe,
le donne occidentali subiscono in modi diversi, ma tutti inquietanti
e subdoli, comportamenti violenti da parte della società e in
modo particolare dalle figure maschili, sia interne che esterne al
nucleo familiare, in un gioco di ruoli fortemente condizionato da
stereotipi antichi e recenti.
Nascono
così dalla penna della Maraini una galleria di donne
oltraggiate da mariti o compagni, di bambine vittime di affetti
perversi o da fanatiche ambizioni paterne, femmine oggetto di stupro
singolo o di gruppo, donne spesso illuse di essere amate e invece
ingannate, picchiate, violate nella loro dignità, a volte
addirittura non credute quando, purtroppo raramente, trovano il
coraggio di dichiarare il dramma subito (si legga il finale di “Lo
stupratore premuroso”). O, peggio ancora, donne uccise, in una
involuzione di prepotente violenza e ritorsione che trova appagamento
solo in se stessa, ma non incontra remore o limiti adeguati nè
nei soggetti che le vivono o vi assistono nè nelle istituzioni
sociali e civili.
Tematica
certo di indubbia attualità, con dolente riferimento ai dati
statistici italiani che nell’anno 2012 parlano di una donna
uccisa ogni due giorni e su cui è doveroso intervenire. Dacia
Maraini la affronta ricorrendo ad una scrittura narrativa incisiva,
asciutta, quasi una telecamera che osserva e descrive gesti, eventi,
dialoghi, focalizzando a volte con uno zoom tenero e attento i moti
interiori dei personaggi femminili oppure trascrivendo i fatti come
un articolo giornalistico o un verbale di processo penale. La sua è
una narrazione quasi neutra, priva di orpelli, ma tesa a mantenere
alta l’attenzione e la vibrazione emotiva del lettore sulla
forza drammatica che emana da ogni singola vicenda. La storia narrata
è calata sempre in un ‘reale’ apparentemente
‘normale’ agli occhi degli altri (si veda ad esempio il
primo racconto “Marina è caduta per le scale”) e
che invece nasconde un vissuto diverso, che poi prorompe in episodi
inaspettati e tragici tra le mura domestiche o le vie urbane.
La
scrittrice ricorre spesso all’uso del tempo presente, quasi a
mostrarci l’azione in presa diretta, oppure usa l’imperfetto
quando la vicenda è ripercorsa all’indietro, (come
nell’ultimo racconto “Anna e il Moro”) da chi con
dolore si rende conto di non aver agito o ‘re-agito’
adeguatamente di fronte a episodi violenti, quasi che fosse più
facile per tutti – vittime o spettatori – chiudere gli
occhi e continuare a illudersi che il teatrino domestico e sociale si
mettesse a posto da sè, in nome dell’abusato e qui
distorto termine ”amore”.
E
così l’amore, quel sentimento di grande valenza
universale, che dovrebbe unire nell’affetto, rispetto e aiuto
reciproco due esseri umani, diventa in queste storie oggetto di
furto, rapina, offesa, danno materiale e morale: amore davvero
‘rubato’ nei confronti non solo di un corpo ma di
un’anima nella sua essenza, colpo inferto ad una prospettiva
vitale che subisce una lesione permanente, una cicatrice indelebile,
come lasciano intendere i racconti “La sposa segreta” o
“La bambina Venezia”.
L’autrice
non interviene nè commenta in prima persona, ma ci affida con
quest’opera una ferma e chiara denuncia nei confronti di certi
modelli culturali derivanti da nodi irrisolti del cosiddetto
progresso sociale, ci offre uno specchio lucido e impietoso del volto
oscuro del rapporto uomo-donna. Rapporto che sta alla base da sempre
del vivere sociale e che, anche ai tempi di internet, non può
essere affrontato o riportato in equilibrio con sofisticati mezzi
tecnologici, ma solo con una presa di coscienza individuale e
collettiva, attraverso un rinnovato processo formativo che in primo
luogo liberi sia il mondo femminile dalle sue stesse paure che quello
maschile da stereotipi di superiorità fisica, di potenza
seduttiva basata sul potere o denaro, di possesso affettivo fin quasi
all’annullamento della personalità altrui.
“Denuncia,...denuncia
tutti, anche il medico. Non avere paura. Non ti nascondere..Vai e
parla..Ne va della tua dignità.”: così si
conclude il racconto “Ale e il bambino mai nato”, dove un
merlo, simbolo di una affiorante consapevolezza, sembra suggerire
alla giovane, vittima di uno stupratore e di un medico insensibile,
l’unica strada percorribile, quella del coraggio della verità,
dell’abbandono di inutili pudori e reticenze nei confronti di
chi viola la sfera più intima e sacra dell’essere.
Un
libro, L’amore
rubato,
sicuramente da leggere e su cui riflettere e che dimostra ancora una
volta la capacità peculiare della pagina letteraria di farsi
interprete attenta della realtà storica e sociale, con la
forza suggestiva che si sprigiona dall’immaginazione e dalla
capacità rielaborativa della parola narrata. Un libro che
conferma la vocazione civile della letteratura e di questa autrice in
particolare, collocandosi idealmente sulla scia del personaggio
avvincente di Marianna Ucria, in quella ‘lunga storia’
che Dacia Maraini ci auguriamo continui per noi a intuire e
ripercorrere in pagine appassionanti.
Patrizia
Fazzi
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