La
principessa di Cleves – Marie Madeleine de
Lafayette – Garzanti – Pagg. XXIV-159 – ISBN
9788811363682
– Euro 9,00
La
galleria degli specchi
Non
si può percorrere la storia del romanzo moderno senza aver
letto il Don Chisciotte di Cervantes che agli inizi del ‘600
inaugura il genere fungendo da cerniera tra i vecchi ideali
cavallereschi - fonte di ironia - e i nuovi slanci individualistici,
in una rinnovata lettura della realtà contemplante anche il
piano inclinato della follia; a maggior ragione, non si può
nemmeno ignorare la novità introdotta, sul finire dello stesso
secolo, da questo romanzo che pare poggiare le sue basi esistenziali
proprio sul rinnovamento del genere, anticipando anche i moduli del
fortunatissimo filone psicologico, senza trascurare di invertire i
valori dominanti della società rappresentata. La principessa
di Clèves, opera matura di una dama della piccola nobiltà
introdotta alla corte del Re Sole, poi divenuta la signora del più
prestigioso salotto letterario dell’epoca, è infatti la
storia di una giovane sedicenne che per volere materno sposa, con
benevola accondiscendenza, il principe di Clèves,
introducendosi così nell’intrigante e corrotto mondo di
corte, quella di Enrico II, della regina consorte Caterina de’
Medici e della famigerata amante del re, Diana de Poitiers. Una
giovane ragazza che non conosce l’amore fino a quando non si
sente totalmente attratta e rapita dall’incontro, durante un
ballo al Louvre, con il duca di Nemours che, pur essendo tra i più
desiderabili uomini di corte, interessato persino al matrimonio con
Elisabetta I, non disdegna affatto una parentesi romantica con questa
giovanissima e bellissima ragazza, seppur già ammogliata.
Inizia così la rappresentazione del tormento interiore della
giovane che, finchè è in vita la madre, riesce a tenere
testa alle insidie, non tanto dell’uomo quanto del meschino
ambiente di corte che la circonda, per poi dover contare solo sul suo
estremo senso di onestà che la porta a confessare al marito
l’attrazione provata per un uomo del quale preferisce tacere
l’identità. L'inverosimiglianza di questa condotta è
proprio l’elemento sul quale fa perno la narrazione che, pur
continuando ad avvalersi degli espedienti letterari che richiamano la
tradizione del romanzo cortese, inizia il ribaltamento di
prospettiva, facendo assurgere l’individuo - donna quale essere
capace di farsi portatrice di valori morali diversi da quelli
dell’ambiente nel quale vive e che non sono neanche i medesimi
dei lettori ai quali l’opera che ne narra l’intimo
dissidio è destinata: il romanzo nel ‘600 è
ancora appannaggio delle sole classi sociali elevate, nobili,
occorrerà la nascita della borghesia per farne un genere di
più ampia fruizione. Uno stile impeccabile e la
rappresentazione rigorosa del contesto storico, ampiamente poggiato
su basi documentali inappuntabili, fanno di questo romanzo quindi non
solo un archetipo del romanzo moderno psicologico ma anche un
anticipatore delle tendenze romantiche da bildungsroman oltre che un
gustoso romanzo storico. La trama non manca di colpi di scena e
trionfa in un finale aperto che coincide con un respiro di donna
eccezionale per intuizione e rigore; senza nulla rivelare, non esito
nel dichiarare apertamente che l’analisi offerta dalla
principessa è lucida e brillante e di una modernità che
si sposa, incredibile dirlo a distanza di secoli, con il più
illuminato pensiero di una donna contemporanea ma soprattutto libera.
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