Il
viaggio della capitale.
Torino, Firenze e Roma dopo l’Unità d’Italia –
Attilio Brilli – UTET - Pagg. XIX 152 – ISBN
9788851149673
– Euro
15,00
Tre
città per tre capitali in dieci anni: Torino, Firenze, Roma,
ovvero il ‘viaggio’ delle capitali d’Italia, come e
perché è cambiata la loro fisionomia in seguito al
rapido mutamento di ruolo politico. Questo l’interessante
argomento trattato nel saggio Il
viaggio della capitale di
Attilio Brilli, opera che ben si inserisce nell’approfondimento
della storia risorgimentale nei suoi variegati aspetti messo in moto
dal ricorrere del 150° anniversario dell’Unità
d’Italia,
Se
il traguardo dei centocinquanta anni è sicuramente importante,
appare quasi di breve respiro per l’età di uno Stato,
anche per i molteplici mutamenti e avvenimenti che ne hanno segnato
il corso. Così molte sono le riflessioni che, dal piedistallo
delle 150 candeline, sono scaturite esaminando e ripercorrendo la
nostra storia nazionale. Attilio Brilli, Ordinario di Letteratura
Anglo-americana all’Università di Siena e grande esperto
di letteratura di viaggio, a cui ha dedicato molte raffinate e
fortunate opere, ha in questa occasione scelto come protagoniste del
‘tour’ le tre città che si alternarono nel ruolo
di capitale del nuovo stato italiano. Così, attingendo al suo
ricchissimo bagaglio di conoscenze storico-culturali e relative
all’interesse dei viaggiatori stranieri per il ‘bel
paese’, ha operato una ricostruzione attenta delle
testimonianze dell’epoca, offrendo un quadro significativo del
dibattito incrociato sorto intorno a questi spostamenti e delle vere
e proprie mutazioni urbanistiche che ne conseguirono. Sono
soprattutto Firenze e Roma, ‘città reliquiario’
per secoli inalterate, ad essere d’improvviso scosse dal loro
sonno compiaciuto in virtù (o per colpa?) dell’innalzamento
al rango di capitale con conseguente sconvolgimento dell’impianto
cittadino.
Non
a caso il Prof. Brilli da inizio al libro ricordando il boato che nel
1865 svegliò i fiorentini: ‘l’aulo cerchio’
delle mura medievali era stato fatto saltare e la città
perdeva il suo centro più antico, rimaneva come ‘scoperta’.
Un atto fragoroso e simbolico di un liberarsi dell’abbraccio
della storia, con il rischio, ben intuito e stigmatizzato dallo
scrittore Henry James, di perdere, insieme al centro storico
trecentesco, anche la propria anima più vera. In luogo della
cerchia muraria protettiva, dal cui abbattimento scamparono solo le
porte, a tutt’oggi “totem goffi” in mezzo al
traffico, i fiorentini avranno i viali in stile francese (la
cosiddetta “haussmannizzazione”), mentre con la scomparsa
del Mercato Vecchio e del Ghetto ebraico – luoghi malsicuri e
bui certamente da risanare – il cuore fiorentino diverrà
l’attuale Piazza della Repubblica: invece che limitarsi a
restaurare e dare aria e dignità nuova a questi luoghi
antichi, si preferì demolire e ricostruire, certamente anche
sulla scorta di forti interessi economici e speculativi. A fronte di
un’opinione pubblica anglosassone indignata e che organizzò
proteste a livello internazionale, come la lettera al “Times”
della scrittrice anglo-fiorentina Vernon Lee - a riprova del grande
legame tra la città di Dante e la cultura angloamericana –
fu salvato per fortuna il Cimitero degli Inglesi, perdendo però
il suo austero senso di solitudine (tanto più oggi ormai
ridotto ad aiuola spartitraffico nel rombante scorrere di auto...).
Uno
sconcerto che aumentò per i troppo drastici interventi agli
argini dell’Arno (rettifili al posto degli antichi caseggiati,
lungarni trasformati interrompendo il rapporto fiume-città) e
divenne però efficace sbarramento di fronte alla proposta di
‘ammodernare’ Ponte Vecchio trasformandolo in una sorta
di cristal bridge...!
In
mezzo a questo immenso cantiere che sommerse Firenze per anni, anche
dopo che Porta Pia aprì la breccia allo spostamento della
capitale a Roma, è triste rilevare dalle pagine del libro che,
accanto alle molte voci degli stranieri, solo pochissime figure
italiane (tra queste spicca il nome di Guido Carocci) si levarono a
deplorare e frenare il mutamento edilizio della ‘culla
dell’arte’, preferendo adeguarsi, per indifferenza o
convenienza, ai tempi nuovi che infliggevano ferite non rimarginabili
nel tessuto più antico della città...Curiosamente
Brilli cita due racconti analoghi da lui rintracciati, uno di
provenienza americana ( 1819) e uno pistoiese (1871), i quali,
attraverso il ricorso alla caduta in un letargo ventennale del
protagonista, esprimono metaforicamente il rifiuto individuale di
fronte alla realtà in trasformazione: rifiuto e assenza che
divengono espressione di una più ben ampia collettività
e anche di una situazione letteraria (atteggiamenti purtroppo
destinati a ripetersi in ambiti successivi).
Se
Firenze non gioisce per il nuovo ruolo, ancor meno ne fu felice la
prima capitale, la Torino dei Savoia, l’ortogonale, efficiente
città da cui era partito il progetto cavouriano e che ora, a
successo conseguito, si trova spodestata in modo ‘proditorio’
del suo rango di sede reale. Porta d’ingresso per l’Italia
ai viaggiatori del grand tour, culla sabauda, fervida
negli anni risorgimentali di caffè letterari e politici,
Torino teme ora per il futuro economico e scattano proteste e
disordini, subito aspramente rintuzzati dal governo. Poi lentamente
strati alti e popolari si adegueranno al passaggio di scettro, con
l’orgoglio di esserne stati propulsori ed esserne divenuti la
memoria, ma anche con la grinta per affrontare nuove sfide.
E
Roma? Un ampio capitolo del libro è stato dedicato alla
definitiva capitale, la Roma papalina ritornata da ‘caput
mundi’ a sede regia e parlamentare e anche lei investita da un
vento di speculazione edilizia che inghiotte la “vastissima,
solitaria, febbricitante, ondulata campagna tra l’agglomerato
urbano e le mura,” descritta da Stendhal e altri scrittori,
trasformando, a suon di compravendite e costruzione di nuove strade e
quartieri, il volto e l’atmosfera della ‘città
eterna’. Ma proprio questo carattere di grandiosità e di
“antico isolamento spaziale e temporale, che la rende unica al
mondo” e quasi “divina”, le permise di inglobare
tra le sue preziose rovine anche gli innesti del presente, compreso
il mastodontico Vittoriale, “icona della nuova Roma che
schiaccia e annienta quella classica”. Anche in questa
ricostruzione del grande cambiamento urbano preziose risultano le
testimonianze letterarie precedenti e seguenti al 1870, da Leopardi a
James, da Gregoriovius a Zola, da Hawthorne a Crowford, dai fratelli
De Goncourt a Pirandello: pagine appassionanti e intense, tutte
rigorosamente e convincentemente riportate nell’opera di
Attilio Brilli.
Il
viaggio della capitale è un’opera saggistica,
ma avvincente come un romanzo, che ci fa ripercorrere questo triplice
succedersi di ‘capitali’ nel flusso delle strutture
urbane, sociali e culturali, con uno stile espositivo coinvolgente e
al tempo stesso rigoroso, un viaggio nella storia del nostro paese
visto con gli occhi e la penna anche degli stranieri e quindi più
disincantato e a volte irridente, ma certamente utile per
riappropriarsi in modo più consapevole e responsabile della
nostra storia e del valore del patrimonio artistico e umano che ogni
angolo di città racchiude e non sempre sappiamo comprendere o
meglio ‘contemplare’, come fa Joseph Allen Smith per
Firenze ‘dalle rive dell’Arno’ nel dipinto in
copertina del libro: un segnale indicativo oggi che troppo spesso
l’occhio del turista e dello stesso abitante del luogo è
distratto, frettoloso, immemore della grande e piccola storia che è
passata e ha trasformato, non sempre in meglio, il suo ambiente
urbano, la sua culla di radici.
Patrizia
Fazzi
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