Il
pittore che divora le donne – Kamel Daoud
– La nave di Teseo – Pagg. 160 – ISBN 9788834608807
– Euro 18,00
Notte
al museo
l
lettore che si accosti a questo libro nella convinzione di immergersi
nella lettura di un romanzo – come la sinossi potrebbe, in
parte, indurre a credere – rischierà di restare deluso.
Infatti, nonostante le pagine iniziali abbiano il tono convincente di
un’ “entrée” da narrativa, già il
secondo capitolo insinua il dubbio, più che fondato, sulla
natura di questa pubblicazione dell’algerino Kamel Daoud uscita
lo scorso mese di gennaio con La nave di Teseo.
Vincitore nel
2019 del premio annuale della prestigiosa Revue des Deux Mondes, “Il
pittore che divora le donne” si rivela in definitiva un saggio
piuttosto complesso, anche se attraversato da qualche lieve venatura
da romanzo, per così dire, in divenire. L’io “narrante”
è quello dell’autore stesso che trascorre un’intera
notte all’interno del Museo Picasso di Parigi al cospetto delle
opere (di alcune in modo particolare) del grande Maestro spagnolo,
mentre tutt’intorno la metropoli, cuore di un Occidente spesso
sfuggente per chi proviene da altri mondi, dorme il suo sonno
inquieto fatto di luci al neon, taxi e gente per le strade.
“Questa
notte di ottobre al museo […] ho, in qualche modo, percepito
come un uomo può, realmente, divorare una donna, dipingere il
suo crimine, confessarlo ed essere ammirato per questo cannibalismo
destabilizzante. […]”
La donna “divorata”
era una diciottenne, Marie-Thérèse, che Picasso, classe
1881, incontrò proprio nella capitale francese all’inizio
degli anni Trenta. “Picasso 1932, anno erotico” è
il titolo esplicito di una delle esposizioni presenti in quelle
immense sale museali rese ancor più suggestive dall’atmosfera
notturna, anche per via dell’assenza di visitatori. Le tele
esposte, come una sorta di diario, raccontano una pagina intensa
della vita dell’artista, affondando in un erotismo e in una
antropofagia, di tipo erotico appunto, che Daoud procede a poco a
poco a scandagliare meticolosamente nel corso di quella che per lui
diviene la “notte del destino”, espressione – come
ben sa qualunque studioso del mondo islamico – carica di
richiami alla vicenda del Profeta. Prende così avvio un
discorso molto articolato sull’erotismo in quanto rito di
caccia, nel quale il cacciatore finisce per farsi divorare dalla
preda giungendo a una sorta di “cannibalismo suicida”. La
collezione in questione espone una carnalità che turba e
affascina nel contempo, rappresentata fin nelle ossa del corpo
bramato e fino alla prova che “ogni amore è
cannibalismo”.
È a questo punto che lo scrittore e
giornalista maghrebino, spettatore solitario e privilegiato per
un’intera notte, inizia a immaginare un racconto sconcertante
nella sua semplicità: “un jihadista venuto dalla Siria o
da Timbuctù o da Algeri o dalla periferia parigina, incaricato
di ferire l’Occidente nel cuore del suo cuore: le sue
collezioni d’arte. […] Estendere la catastrofe di
Palmira ovunque, la distruzione di tele, arte e sculture, segni e
curve, ‘fino a purificare la terra di Dio da ciò che non
è Dio’, secondo le grida dei fanatici.[…] Il mio
personaggio si chiamerà, quindi, Abdellah, lo Schiavo di Dio,
mostro nato da carne morta di cadaveri della nostra epoca, il figlio
di una sventura che lui perpetua. Un mostro solitario […] che
resterà, come me, in piedi, qui, affascinato dai dipinti di
questo museo […]. Tentando di cominciare il saccheggio per
curiosità prima di intraprendere la sua missione: sfigurare
l’Occidente.”
Che cos’è, dunque,
l’Occidente, seguendo questi ragionamenti, se non un corpo
femminile, una nudità mostrata ed esibita ovunque a più
livelli? “Una decomposizione morale, una ricomposizione
artistica”. Ecco quindi che i dipinti di Picasso, osceni
secondo l’ottica e i parametri di valutazione del suo
personaggio, diventano per Daoud, che giunge da un villaggio a
trecento chilometri da Algeri, occasione per affrontare e
approfondire tutta una serie di interessanti tematiche legate
all’Islam: il corpo della donna e i rapporti tra i due sessi, i
tabù, l’arte e la rappresentazione della figura umana,
il paradiso con le sue perenni vergini (le huri), l’estremismo
religioso che sfregia la bellezza artistica e uccide senza pietà
alcuna immolando i suoi medesimi strumenti di martirio, le profonde
contraddizioni esistenti all’interno delle società arabe
e, più in generale, islamiche. Il proprio bagaglio culturale
viene analizzato, passato al setaccio e non sempre l’argomentazione
che lui porta avanti è facile da seguire. Emergerà,
alla fine, il ritratto di un mondo arabo in collera (insanabile?) con
quello occidentale, scandalizzato ma anche attratto dalla libertà
di costumi, a disagio dinanzi alla nudità dei corpi che viene
da esso interpretata come insulto alla sfera divina. L’intensa
rappresentazione della carne della giovane Marie-Thérèse,
rappresentata da Picasso, così gravida di clandestinità,
desiderio, orgasmi incessanti, arriva a coincidere con l’Occidente
che è, in breve, un corpo femminile nudo; per questo
l’immaginario jihadista Abdellah intende in un certo qual modo
convertirlo e, quindi, salvarlo attraverso una furia iconoclasta che
esplode rabbiosa contro cose e persone.
“[…]
Mi sono spesso posto questa domanda: a cosa è dovuta questa
collera che ci impedisce di vivere e ci fa accusare il resto del
mondo della nostra sofferenza? […]”
La
risposta a cui giunge l’autore, al termine della sua notte
insonne trascorsa in questo “tempio della carne” che si è
rivelato tale museo parigino, non potrà essere univoca.
Tirando le somme del lungo discorso precedente, le pagine conclusive
del libro sono rivelatrici di considerazioni particolarmente
sorprendenti. Un testo notevole, questo di Kamel Daoud, preciso e
ricco di approfondimenti, che cerca di scavare nel cuore di una
cultura intera (perché l’Islam non è solo una
religione, s’insegna nei corsi universitari di islamistica) con
la quale occorre più che mai confrontarsi. La sua è una
voce interna molto interessante, figlia di quella stessa cultura, che
si interroga in modo costruttivo ed esige persino di trovare
risposte.
Tuttavia, a mio parere, non si tratta di una lettura
consigliabile a tutti; obiettivamente, occorrono anzitutto nozioni
precise che consentano di comprendere appieno certi riferimenti
(storici e dottrinali), nonché di addentrarsi meglio in
diversi passaggi che, altrimenti, rischiano di risultare piuttosto
pesanti. Un romanzo sarebbe stato, forse, più accessibile ai
più, e la veste in questo caso adottata allontana “Il
pittore che divora le donne” dal coinvolgimento della prosa
narrativa. Una pubblicazione, però, pur nella propria
complessità, che colpisce e getta semi importanti, parlando di
erotismo, “la legge più antica del mondo” (e per
niente sconosciuta agli arabi, aggiungerei), e di arte come via
possibile per superare la violenza senza tempo che, purtroppo,
continua a scandire la storia del genere umano.
Laura
Vargiu
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