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  Letteratura  »  Vulnera, di Lucio Lami, edito da Gruppo Albatros Il Filo e recensito da Patrizia Fazzi 11/07/2022
 
Vulnera – Lucio Lami – Gruppo Albatros Il Filo – Pagg. 78 – ISBN 9788856703382 – Euro 13,00



Le cicatrici non rimarginabili della storia



Vulnera: titolo latino ma chiaramente riconducibile all’area semantica delle ‘ferite’ di ogni genere per il primo libro di poesie di Lucio Lami, giornalista, saggista, narratore, premiato con prestigiosi riconoscimenti, ma soprattutto inviato speciale e corrispondente di guerra per moltissimi anni in giro per il mondo. Da questa intensa - e spesso avventurosa - esperienza su vari fronti bellici, a diretto contatto con protagonisti famosi o anonimi di vicende tragiche e atroci, sono nate le poesie di Vulnera, edite in versione anche inglese e spagnola (Il Filo, 2008)

Scritti sui taccuini di guerre nel luogo stesso dell’evento, spesso la sera, i componimenti riversano in versi asciutti e scanditi l’emozione e la riflessione amara che ancora premevano l’animo e non era possibile esprimere nel resoconto giornalistico, necessariamente lucido ed imparziale. Afganistan, Iran, Belfast, Mauritania, Beirut, Ciad, Cambogia, Bolivia, Angola, Marocco, Samarcanda, Algeria…: come in un atlante geografico impazzito scorrono le immagini dei tanti focolai bellici ancora e da anni accesi nel mondo, lontano dall’Occidente, “dagli occhi | di mondi apatici, ‘civili’” (pag, 17), che guardano la guerra solo sugli schermi tv, dopo pochi minuti invasi da ben più rassicuranti ‘reality show’

Invece questi versi di Lami, una sorta di ‘commentarii de bello universali’, ci riportano d’un tratto, con la forza e l’incisività che solo la parola poetica possiede, alla ‘vera realtà’ che sta oltre lo schermo televisivo e le vetrine eleganti delle metropoli: schegge di macrostoria fissata con occhio commosso e sapiente, che emergono dai componimenti, ognuno dei quali inquadra e mette a fuoco, con un ‘click’ definitivo, liricamente perentorio, un tassello di vita calato nel suo paesaggio reale e al tempo stesso nella sua storia millenaria. Un incontro-scontro al limite della sopravvivenza, spesso tra conviventi nello stesso paese, in un’inesausta e per lo più impossibile ricerca di dialogo con quelli che Lami, con felice antitesi, chiama “nemici-fratelli” (pag 19).

L’afgano comandante Barakot caduto per la “gloria” dei mujaheddin, il volontario irlandese Bobby Sands, il cui orfano impara che “l’odio, più che l’amore | passa in eredità” (pag. 11), il cronista Miguel, ucciso dalla polizia peruviana per aver condotto l’autore in una zona off limits, eppure ricca del fascino dei padri Inca, “balaustrata di granito sul creato, sulla maestà delle Ande” (pag. 26), e ancora la “silenziosa Ly”’, adolescente cambogiana, che ha perso il sorriso e ha “occhi prosciugati” per la violenze subite (pag. 27) o il “cocalero bambino”, morso da un serpente in Bolivia, che attende paziente e rassegnato la sua ‘malasorte’ (pag. 21): questi e altri ancora i personaggi e gli scenari che si snodano in una “perlacea luce dell’orrore” e che suonano come dignitoso appello contro ogni guerra, in versi che, nel contrasto tra la bellezza del “silenzio cosmico | trapuntato di stelle” (pag. 16) e la brutalità delle raffiche di bombe e artiglieria, richiamano alla mente l’Ungaretti di Allegria e la sua disperata ricerca di un “paese innocente”.

Così, mettendole a fuoco in liriche ben strutturate, quasi narrative, lontane da ogni enfasi retorica ed impeccabili sul piano stilistico e per sapienza lessicale, Lucio Lami ci offre le sue ma anche le nostre vulnera, svela una piaga aperta sul fianco nascosto di un universo globalizzato, eppure spesso simile alle tre scimmiette insensibili.

Una silloge breve ma eticamente e civilmente alta, che riporta la voce della poesia, sulla scia di altri illustri esempi - da Quasimodo a Sereni - nell’orbita che da sempre, secondo noi, a lei compete: farsi coscienza, amara, spesso inascoltata ma autentica, in una società purtroppo così distratta e impoetica. “Homo sum: nihil humani a me alienum puto”: a questa ineguagliata frase di Terenzio, a questa ‘humanitas’ ci invita ancora questo testimone coraggioso e vulnerato del suo tempo. Grazie, Lucio.



Patrizia Fazzi





 
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