Vulnera
– Lucio Lami – Gruppo Albatros Il Filo – Pagg. 78 –
ISBN 9788856703382
– Euro 13,00
Le
cicatrici non rimarginabili della storia
Vulnera: titolo
latino ma chiaramente riconducibile all’area semantica delle
‘ferite’ di ogni genere per il primo libro di poesie di
Lucio Lami, giornalista, saggista, narratore, premiato con
prestigiosi riconoscimenti, ma soprattutto inviato speciale e
corrispondente di guerra per moltissimi anni in giro per il mondo. Da
questa intensa - e spesso avventurosa - esperienza su vari fronti
bellici, a diretto contatto con protagonisti famosi o anonimi di
vicende tragiche e atroci, sono nate le poesie di Vulnera,
edite in versione anche inglese e spagnola (Il Filo, 2008)
Scritti
sui taccuini di guerre nel luogo stesso dell’evento, spesso la
sera, i componimenti riversano in versi asciutti e scanditi
l’emozione e la riflessione amara che ancora premevano l’animo
e non era possibile esprimere nel resoconto giornalistico,
necessariamente lucido ed imparziale. Afganistan, Iran, Belfast,
Mauritania, Beirut, Ciad, Cambogia, Bolivia, Angola, Marocco,
Samarcanda, Algeria…: come in un atlante geografico impazzito
scorrono le immagini dei tanti focolai bellici ancora e da anni
accesi nel mondo, lontano dall’Occidente, “dagli occhi |
di mondi apatici, ‘civili’” (pag, 17), che guardano
la guerra solo sugli schermi tv, dopo pochi minuti invasi da ben più
rassicuranti ‘reality show’
Invece
questi versi di Lami, una sorta di ‘commentarii de bello
universali’, ci riportano d’un tratto, con la forza e
l’incisività che solo la parola poetica possiede, alla
‘vera realtà’ che sta oltre lo schermo televisivo
e le vetrine eleganti delle metropoli: schegge di macrostoria fissata
con occhio commosso e sapiente, che emergono dai componimenti, ognuno
dei quali inquadra e mette a fuoco, con un ‘click’
definitivo, liricamente perentorio, un tassello di vita calato nel
suo paesaggio reale e al tempo stesso nella sua storia millenaria. Un
incontro-scontro al limite della sopravvivenza, spesso tra conviventi
nello stesso paese, in un’inesausta e per lo più
impossibile ricerca di dialogo con quelli che Lami, con felice
antitesi, chiama “nemici-fratelli” (pag 19).
L’afgano
comandante Barakot caduto per la “gloria” dei mujaheddin,
il volontario irlandese Bobby Sands, il cui orfano impara che
“l’odio, più che l’amore | passa in eredità”
(pag. 11), il cronista Miguel, ucciso dalla polizia peruviana per
aver condotto l’autore in una zona off limits, eppure
ricca del fascino dei padri Inca, “balaustrata di granito sul
creato, sulla maestà delle Ande” (pag. 26), e ancora la
“silenziosa Ly”’, adolescente cambogiana, che ha
perso il sorriso e ha “occhi prosciugati” per la violenze
subite (pag. 27) o il “cocalero bambino”, morso da un
serpente in Bolivia, che attende paziente e rassegnato la sua
‘malasorte’ (pag. 21): questi e altri ancora i personaggi
e gli scenari che si snodano in una “perlacea luce dell’orrore”
e che suonano come dignitoso appello contro ogni guerra, in versi
che, nel contrasto tra la bellezza del “silenzio cosmico |
trapuntato di stelle” (pag. 16) e la brutalità delle
raffiche di bombe e artiglieria, richiamano alla mente l’Ungaretti
di Allegria e la sua disperata ricerca di un “paese
innocente”.
Così,
mettendole a fuoco in liriche ben strutturate, quasi narrative,
lontane da ogni enfasi retorica ed impeccabili sul piano stilistico e
per sapienza lessicale, Lucio Lami ci offre le sue ma anche le
nostre vulnera, svela una piaga aperta sul fianco
nascosto di un universo globalizzato, eppure spesso simile alle tre
scimmiette insensibili.
Una
silloge breve ma eticamente e civilmente alta, che riporta la voce
della poesia, sulla scia di altri illustri esempi - da Quasimodo a
Sereni - nell’orbita che da sempre, secondo noi, a lei compete:
farsi coscienza, amara, spesso inascoltata ma autentica, in una
società purtroppo così distratta e impoetica. “Homo
sum: nihil humani a me alienum puto”: a questa ineguagliata
frase di Terenzio, a questa ‘humanitas’ ci invita ancora
questo testimone coraggioso e vulnerato del suo tempo. Grazie, Lucio.
Patrizia
Fazzi
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